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il 65% delle aziende ha subìto un incidente, solo il 6% reagisce subito


Cresce il rischio cloud: incidenti in aumento, risposta lenta e tool frammentati sono le maggiori criticità.

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Il 65% delle organizzazioni ha subìto un incidente di sicurezza nel cloud nell’ultimo anno; solo il 6% lo ha risolto entro un’ora: il dato emerge dal report Cloud Security Report 2025 di Check Point Software Technologies, che mette a fuoco i punti ciechi che minacciano la resilienza aziendale. Il contesto operativo è quello ben noto del journey to cloud: il 62% delle organizzazioni ha ampliato l’utilizzo di tecnologie cloud edge come SASE, il 57% ha investito su modelli ibridi e il 51% opera ormai in ambienti multi-cloud.

Una corsa irrefrenabile all’innovazione che non è stata accompagnata da un adeguato aggiornamento delle strategie di sicurezza: per questo le imprese sono esposte a rischi sempre più sofisticati e difficili da gestire con i tradizionali approcci difensivi. Il risultato è una superficie d’attacco in continua espansione e controlli frammentati che ostacolano la protezione dei dati, delle identità e dei carichi di lavoro.

Come si tanno muovendo le aziende

Dal report emerge che il 43% dei professionisti intervistati dà la precedenza alla protezione degli asset digitali di valore (dataset proprietari e informazioni dei clienti) e solo in subordine investe per ottenere visibilità sulle minacce (40%) e gestire la sicurezza in ambienti ibridi e multi-cloud (38%). Evidentemente la strategia non paga, dato che gli incidenti di sicurezza cloud sono cresciuti nell’ultimo anno e solo il 9% di chi li ha subiti dichiara di essere riuscito a rilevare l’incidente entro la prima ora. Il 62% ha impiegato oltre 24 ore per porvi rimedio: un ritardo che offre agli attaccanti un’ampia finestra temporale per attuare movimenti laterali, esfiltrare dati e compromettere ulteriormente i sistemi.

Ancora più preoccupante è il fatto che solo il 35% degli incidenti viene individuato tramite strumenti di monitoraggio della sicurezza: nella maggior parte dei casi, la scoperta avviene grazie a segnalazioni di utenti, audit o notifiche esterne, il che indica una grave carenza di visibilità e di correlazione delle minacce in tempo reale. Da qui l’incremento del dwell time, che fa la differenza fra una violazione circoscritta e una crisi diffusa.

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Quando la security è inefficace

Il report mette in luce un altro fenomeno che mina la capacità di risposta delle aziende: la dispersione degli strumenti di sicurezza (tool sprawl): il 71% delle aziende interpellate utilizza più di 10 strumenti diversi per la protezione cloud; il 16% ne gestisce addirittura oltre 50. Una dotazione del genere produce una mole ingestibile di alert, che sommerge i team di security impedendo un’azione efficace contro gli attacchi reali. Basti pensare che il 45% dei team dichiara di ricevere almeno 500 segnalazioni al giorno, uno su quattro supera i 1.000 alert quotidiani.

In questi casi subentra il fenomeno della cosiddetta Alert Fatigue: gli analisti, sopraffatti dalla quantità di notifiche, faticano a distinguere i veri incidenti e rallentano ulteriormente la risposta. La frammentazione degli strumenti, inoltre, ostacola la correlazione dei dati e la coerenza delle policy di sicurezza, con il risultato che la gestione operativa diventa più onerosa e meno efficace.

In questo scenario è l’AI che potrebbe fare la differenza, con la correlazione dei log, l’analisi degli alert e l’automazione della risposta, per questo motivo il 68% delle organizzazioni considera l’adozione dell’AI una priorità assoluta per la cybersecurity. Il problema è nel passaggio dalla teoria alla pratica, perché la maggior parte delle aziende si affida ancora a Web Application Firewall basati su firme (61%), che sono inefficaci contro attacchi polimorfici, exploit zero-day e abusi di API. Inoltre, l’adozione di tecniche di threat intelligence e mitigazione automatizzata resta parziale.

Perché questa arretratezza operativa? Le principali barriere all’implementazione dell’AI in ambito security sono la carenza di personale qualificato (62%), la difficoltà di integrazione con le infrastrutture esistenti (56%), i costi (49%) e la mancanza di trasparenza nei modelli di AI (32%).

Le raccomandazioni degli esperti

A fronte di questo scenario, il Cloud Security Report 2025 invita le aziende a ripensare la sicurezza in ottica decentralizzata, intelligente e automatizzata. I consigli chiave includono il consolidamento degli strumenti con il passaggio a piattaforme unificate, l’adozione di telemetria in tempo reale per una visibilità completa su ambienti edge, ibridi e multi-cloud, e la transizione verso difese basate su AI, capaci di correlare dati, rilevare anomalie comportamentali e automatizzare l’incident response.

È caldeggiata inoltre la modernizzazione della sicurezza applicativa, ossia abbandonare i WAF basati su firme in favore di tecnologie che combinano AI, behavioral analytics e threat intelligence, capaci di proteggere API e microservizi anche contro attacchi sconosciuti o in rapida evoluzione.

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