Il presidente dem: doveroso un dibattito nel partito
Stefano Bonaccini, presidente del Partito democratico: i referendum sono stati un azzardo?
«Il Pd non è stato promotore dei referendum, ma considero l’iniziativa autonoma della Cgil come una risposta a un governo inerte rispetto ai diritti del lavoro, alla precarietà e alla questione cruciale dei redditi. Il Paese si sta impoverendo proprio a partire dai redditi da lavoro, sia dipendente sia autonomo. È a fronte di questo che il Pd ha scelto di sostenere la battaglia per i cinque sì. Inutile dire che c’erano idee anche diverse sullo strumento referendario e sul merito dei singoli quesiti, ma la scelta di stare dalla parte dei diritti era abbastanza naturale».
I leader della sinistra non hanno ammesso la sconfitta.
«Quando vota meno di un terzo degli elettori è una sconfitta. Per chi ha promosso e sostenuto i referendum, ma anche per la democrazia. Trovo però grave l’appello all’astensione della destra e offensive le loro parole di scherno verso il risultato. Anche perché hanno partecipato e votato sì più elettori di quanti non abbiano sostenuto tutti i partiti di destra messi insieme alle ultime elezioni politiche».
Alcuni riformisti hanno attaccato i referendum, lei è stato più cauto: come mai?
«Perché quando si discute di diritti dei lavoratori e cittadinanza io ci sono, al di là dei limiti dei singoli quesiti, e dello strumento del referendum per risolvere questi problemi».
Adesso è opportuno andare a una direzione?
«Certo, è doveroso, ma ci andrei per avanzare una proposta che guardi al futuro e non al passato, che raccolga le istanze dei 12 milioni di italiani che hanno votato sì e che provi a parlare anche ai tanti che hanno rinunciato a partecipare, perché sfiduciati o perché non convinti dei quesiti. Ripeto, il nostro compito è avanzare proposte, come abbiamo fatto sul salario minimo, che premetto non basta. I referendum hanno il limite di essere strumenti abrogativi, non di riforma. Il nostro impegno adesso deve essere quello di avanzare proposte di sviluppo, di politica industriale e per il lavoro di qualità. Ogni giorno che non sono a Bruxelles passo il mio tempo dentro le aziende e sul territorio per ascoltare chi lavora e chi fa impresa, confrontarmi con loro, mettere a punto proposte».
Farete una riunione di Energia popolare ?
«No, e non credo che il problema sia lì, anche perché coloro che partecipano alla nostra iniziativa hanno partecipato al voto. Il problema è riportare a votare altri. In ogni caso, come in altre circostanze, porteremo alla discussione del partito proposte e contenuti per rafforzare l’agenda del Pd in materia di lavori, professioni e imprese. Perché parliamo molto e a ragione di lavoro dipendente, ma dobbiamo parlare di più e meglio di lavoro autonomo».
Da dove dovete ripartire?
«Dal rimettere l’agenda economica e sociale al centro del dibattito politico nazionale, a partire dai salari di cui si discute troppo poco nel Paese. Tutta la destra cerca di evitarlo, a partire da Meloni, perché sanno che gli italiani stanno peggio, diminuiscono i servizi a partire dalla sanità, peggiorano gli stipendi e le imprese non investono».
Pd, M5S e Avs sono il nucleo fondante dell’alleanza?
«Certo, ma per vincere bisogna allargare anche a forze moderate, e soprattutto a quella parte di Paese che è insoddisfatta dalle politiche fallimentari del governo, che è sempre più insofferente sulle ambiguità di Meloni sui dazi di Trump e le bombe di Netanyahu, che non si rassegna al declino e alla marginalità dell’Italia».
Come si batte la destra?
«Proponendo l’alternativa, cioè proponendo agli italiani una idea di Paese e di società che è ben di più che essere semplicemente “contro” la destra. Unendo il centrosinistra, condizione non sufficiente ma necessaria per vincere, attorno a un programma chiaro e su pochi punti, con al centro la questione economica e sociale. Aggiungo che chiamerei a darci una mano per farlo le migliori energie e intelligenze, che non mancano nel nostro Paese, che condividono il fatto di battere Meloni e questa destra per costruire un Paese più moderno e più giusto».
La cittadinanza è un tema divisivo nel centrosinistra.
«Non è un segreto che i 5 Stelle hanno sempre avuto su questo tema una posizione diversa, ma in quei tanti ci sono anche nostri elettori e persino iscritti alla Cgil, senza dubbio. Con la consapevolezza che un tema sacrosanto come quello genera timori, in particolare in chi vive nelle aree interne e tra le fasce sociali più deboli. Sono fiducioso che una proposta unitaria sia però possibile. E credo che potrebbero valutarla con attenzione anche coloro che non hanno votato centrosinistra, ma riconoscono che il problema esiste e va affrontato. Lo stesso vale sul fine vita, di cui Meloni insiste a non occuparsi paralizzando ogni iniziativa parlamentare. Tocca a noi avanzare una proposta nuova e alternativa agli italiani».
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