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cosa si rischia su occupazione ed export


La situazione dazi sembra essere fuori controllo: Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, lancia un allarme: con l’arrivo dei dazi americani sono messi a rischio 70.000 posti di lavoro in Italia, per un totale di 18 miliardi di euro di produzione.

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Questi dati vengono diffusi a seguito del Focus Censis Confcooperative incentrato sui rischi delle strategie commerciali messe in atto dal Presidente Trump verso il mondo, l’Europa e quindi l’Italia. Ad essere coinvolte dalle nuove dinamiche sono soprattutto le imprese che puntano all’internazionalizzazione, ma anche reti artigiane e cooperative.

Dazi Trump: 70.000 posti di lavoro a rischio

Per l’Italia questo momento è particolarmente critico per le imprese, soprattutto per quelle che hanno deciso, o erano in procinto di decidere, per una strategia basata sulle vendite all’estero. E come diretta conseguenza sono a rischio 70.000 posti di lavoro, come spiegato dal report, soprattutto per alcuni comparti.

La perdita di occupazione è calcolata in numeri di posti in meno, con questi settori al primo posto:

  • fabbricazione di macchinari e apparecchiature n.c.a.: -5180 posti;
  • fabbricazione di prodotti in metallo, esclusi macchinari e attrezzature: -4950 posti;
  • industrie tessili, confezione di articoli di abbigliamento e di articoli in pelle e simili: – 4800;
  • produzioni vegetali e animali, caccia e servizi connessi: -3560;
  • commercio all’ingrosso, escluso quello di autoveicoli e di motocicli: -3260;
  • servizi di investigazione e vigilanza; attività di servizi per edifici e per paesaggio; attività amministrative e di supporto per le funzioni d’ufficio e altri servizi di supporto alle imprese: -3210 posti;
  • industrie alimentari, delle bevande e del tabacco: -2820;
  • fabbricazione di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi: -2640 posti.

Seguono anche altri settori, in misura minore, per effetti diretti o indiretti, come le attività legali e di consulenza, le industrie manifatturiere e di fabbricazione di mobili, il commercio al dettaglio e il trasporto.

Le conseguenze dei dazi sulle imprese

L’applicazione di dazi così stringenti è un rischio non solo per l’Italia, ma anche per l’Europa e per i paesi extra UE, ma soprattutto il clima di incertezza si diffonde a macchia d’olio. L’incertezza è diventata una condizione strutturale a cui anche l’Italia deve rispondere con le sue aziende.

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Esportazioni in calo, perdite economiche e meno posti di lavoro potrebbero essere le principali conseguenze immediate dell’introduzione di dazi elevati sui prodotti made in Italy esportati negli USA.

Confcooperative individua anche i settori maggiormente caratterizzati da un calo economico a causa dei dazi, facendo la stima di una perdita complessiva futura di 17,9 miliardi di euro in termini di produzione, soprattutto su questi comparti:

Settore Produzione persa in milioni di euro Valore in percentuale
Fabbricazione di macchinari e apparecchiature n.c.a.  1.845 10,3%
Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco  1.264 7,1%
Fabbricazione di prodotti farmaceutici di base e di preparati farmaceutici  1.222 6,8%
Fabbricazione di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi  1.166 6,5%
Fabbricazione di prodotti chimici  1.049 5,9%
Fabbricazione di prodotti in metallo, esclusi macchinari e attrezzature  1.044 5,8%
Attività metallurgiche  1.026 5,7%
Industrie tessili, confezione di articoli di abbigliamento e di articoli in pelle e simili  929 5,2%
Commercio all’ingrosso, escluso quello di autoveicoli e di motocicli  645 3,6%
Fabbricazione di apparecchiature elettriche  558 3,1%
Fabbricazione di mobili, altre industrie manifatturiere  509 2,8%
Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche  501 2,8%
Attività legali e contabilità, attività di sedi centrali, consulenza gestionale  379 2,1%
Magazzinaggio e attività di supporto ai trasporti  359 2,0%
Trasporto terrestre e trasporto mediante condotte  336 1,9%

I dazi americani però non sono l’unico problema: Maurizio Gardini parla di barriere interne all’UE, che farebbero perdere almeno il 7% della produttività, oltre alla mancanza di una visione di insieme europea per uscire dalle incertezze. La crisi energetica è un altro fattore che contribuisce alle attuali criticità per le imprese.



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