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ReDigitalEu: ecco la via per l’autonomia digitale dell’Europa


La sovranità digitale europea rappresenta oggi una delle sfide più cruciali per il futuro del continente. Mentre PNRR e RePowerEU gettano le basi della ripresa post-pandemica e dell’indipendenza energetica, emerge la necessità di un terzo pilastro strategico: ReDigitalEU, un piano ambizioso per liberare l’Europa dalle dipendenze tecnologiche che la rendono vulnerabile alle pressioni geopolitiche globali.

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Pnrr e REPowerEU: due binari per la ripresa digitale ed energetica

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è il fulcro della strategia italiana di ripresa post-pandemica nell’ambito di Next Generation EU. Con circa 191,5 miliardi di euro assegnati, il PNRR finanzia riforme e investimenti in sei missioni (dalla digitalizzazione alla transizione ecologica) da realizzare entro il 2026. Ad oggi, l’Italia ha conseguito 270 traguardi (milestone e target) su 621 totali – circa il 43% – ricevendo dall’UE oltre 122 miliardi di euro, pari a circa il 63% delle risorse complessive del Piano. In termini di progetti sul campo, oltre il 60% degli interventi previsti è stato avviato o completato, sebbene gran parte della spesa debba ancora essere effettuata nei prossimi mesi. In sintesi, l’implementazione procede ma con tempistiche serrate e la necessità di accelerare sui cantieri per rispettare le scadenze del 2026.

fonte: openpolis: https://www.openpolis.it/numeri/nel-pnrr-italiano-quasi-120-miliardi-per-ambiente-e-digitalizzazione/

Parallelamente, l’Unione Europea ha lanciato nel 2022 il piano REPowerEU in risposta alla crisi energetica seguita alla guerra in Ucraina. REPowerEU mira a ridurre drasticamente la dipendenza europea dal gas russo, accelerando la transizione verso energie pulite e diversificando le varie fonti. Questo programma, entrato in vigore col regolamento UE 2023/435, aggiunge oltre 100 miliardi di euro ai PNRR dei vari Stati membri, cui è stato chiesto di integrare un capitolo REPowerEU nei propri PNRR, indicando nuovi progetti “verdi” o potenziando quelli esistenti.

fonte: Osservatorio Agenda Digitale, Gennaio 2025

L’Italia ha previsto investimenti nell’ambito del REPowerEU per un valore di circa 11,2 miliardi di euro. Inoltre, l’Italia potrà beneficiare di circa 2,76 miliardi di euro aggiuntivi, destinandoli a interventi per diversificare le forniture di gas, promuovere rinnovabili e idrogeno oltre a migliorare l’efficienza energetica. In sintesi, PNRR e REPowerEU rappresentano il doppio binario degli sforzi di ripresa: uno focalizzato su riforme e investimenti strutturali (anche digitali), l’altro sulla sicurezza energetica e sostenibilità. Entrambi sono strumenti cruciali per modernizzare il Paese e aumentarne la resilienza economica, ma richiedono capacità amministrative e visione strategica per essere attuati efficacemente nei tempi previsti.

Il contesto geopolitico e la risposta dell’Europa alla sfida digitale

Negli ultimi anni, l’Europa ha dovuto fare i conti con crescenti tensioni geopolitiche e commerciali, in primis le politiche protezionistiche degli Stati Uniti sotto l’amministrazione Trump. I dazi USA imposti su acciaio, alluminio e altri prodotti europei hanno innescato una riflessione profonda sulla sovranità economica e tecnologica dell’UE. Trump minaccia tariffe fino al 50% su tutte le importazioni dall’UE, attivando dei pericolosi déjà-vu che rinfocolano il dibattito su come l’Europa possa “sopravvivere e innovare” senza subire ricatti commerciali.

La prima reazione dell’Europa a questo clima ostile è stata puntare sull’autonomia strategica in ambiti tradizionali: difesa e industria pesante. Non a caso, nel pieno delle dispute con Trump, l’UE ha avviato un percorso di rafforzamento della propria difesa comune – quello che potremmo chiamare per sintesi RearmEU – incrementando i bilanci militari e varando iniziative come il Fondo Europeo per la Difesa.

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Parallelamente, la Commissione ha parlato di “open strategic autonomy” per proteggere settori chiave senza scadere però nel protezionismo puro. In altre parole, si cerca un equilibrio: non rispondere ai dazi con altri dazi (che rischiano di danneggiarci da soli), ma piuttosto diventare più competitivi e meno dipendenti dagli umori altrui. Come sintetizza un’analisi, l’Europa deve seguire “un’altra strada. Non dazi e presunta autonomia, ma diventare più competitiva su scala globale”.

Eppure, mentre investiamo (giustamente) in riarmo e sicurezza energetica, sorge spontanea una domanda: perché non affiancare a questi uno sforzo analogo sul fronte digitale? Alla luce delle lezioni impartite dai dazi di Trump, dalla guerra e dalle crisi delle forniture, molti esperti suggeriscono che l’UE dovrebbe lanciare un programma “ReDigitalEU” – un piano europeo per la sovranità digitale. In alternativa o in parallelo al riarmo tradizionale, “ReDigitalEU” rappresenterebbe un “riarmo tecnologico”: un progetto continentale per mettere al sicuro il nostro futuro digitale, così come REPowerEU tutela quello energetico. Vediamo in cosa consisterebbe questa idea e perché è cruciale.

ReDigitalEU: pilastri per una sovranità digitale europea

Immaginiamo ReDigitalEU come un’iniziativa paneuropea dedicata a rafforzare i punti deboli dell’ecosistema digitale del continente. I suoi assi portanti potrebbero essere: sovranità nei servizi cloud e nelle infrastrutture, sviluppo dell’industria dei semiconduttori, e valorizzazione del capitale umano digitale europeo. Analizziamo ciascuno di questi pilastri.

Cloud sovrano europeo: evitare il “blocco tecnologico”

Oggi l’Europa vive una forte dipendenza tecnologica dagli Stati Uniti, specialmente nel settore cloud. Il mercato europeo del cloud è dominato dai giganti americani: AWS, Microsoft Azure e Google Cloud detengono circa il 65% dei servizi cloud nell’UE, mentre tutti i provider europei messi insieme non arrivano al 16%. Ciò significa che gran parte dei dati europei risiede su server sotto il controllo di aziende statunitensi.

Le implicazioni per la sovranità digitale sono pesanti. Da un lato, l’Europa si espone a rischi sulla continuità operativa: un’interruzione improvvisa o un blocco unilaterale di questi servizi (magari per decisioni geopolitiche o dispute commerciali) potrebbe paralizzare interi settori, pubblici e privati. Dall’altro lato c’è un problema di giurisdizione sui dati: le leggi americane – su tutte il Cloud Act – permettono alle autorità USA di accedere ai dati detenuti da provider statunitensi, anche se archiviati in data center in Europa. Questo è in palese conflitto con le tutele europee (si pensi al GDPR) e ha già causato scontri legali, come nel caso del Privacy Shield invalidato dalla Corte di Giustizia. In sintesi, chi controlla i dati controlla il futuro: e oggi troppi dati europei sono fuori dal nostro controllo.

Un programma ReDigitalEU punterebbe quindi a ridurre la dipendenza dai cloud USA. Come? Da un lato incentivando l’uso di provider europei o infrastrutture nazionali (ad esempio tramite cloud sovrani per la Pubblica Amministrazione); dall’altro sostenendo progetti comuni come Gaia-X, l’alleanza franco-tedesca nata nel 2019 per federare un ecosistema cloud europeo. Gaia-X, sebbene non priva di difficoltà (la presenza di big tech americane nel progetto ha sollevato dubbi sulla sua efficacia), rappresenta un tentativo concreto di creare alternative locali basate su standard UE di interoperabilità e trasparenza. Inoltre, l’UE sta già lavorando a un certificato di sicurezza cloud europeo (EUCS) e a normative come il Data Act per favorire portabilità dei dati e prevenire il lock-in verso fornitori extra-UE. Tutte queste iniziative andrebbero coordinate e potenziate sotto l’ombrello di ReDigitalEU, magari con fondi dedicati a costruire entro pochi anni un’offerta di servizi cloud e infrastrutture autonoma e affidabile in Europa.

L’obiettivo finale? Garantire che in caso di guerra commerciale digitale con gli USA, l’Europa non si trovi “in ostaggio tecnologico”, senza alternative domestiche. Del resto, lo scenario non è fantascienza: se domani, in un’escalation, la Casa Bianca imponesse un “no cloud for EU”, gran parte delle nostre attività digitali rischierebbe il collasso. ReDigitalEU servirebbe proprio a scongiurare questo rischio, assicurando che i dati e servizi cruciali per la nostra economia possano risiedere su suolo europeo e in mano ad aziende europee, al riparo da ingerenze esterne.

L’industria dei semiconduttori: investire nel futuro digitale europeo

Un secondo pilastro di ReDigitalEU riguarderebbe i semiconduttori, il “cervello” di ogni tecnologia moderna. La recente crisi dei chip ha evidenziato quanto sia critico per l’Europa dipendere quasi interamente da produzione estera (USA, ma soprattutto Asia) per approvvigionarsi di microchip. Attualmente l’UE produce circa il 10% dei microchip mondiali, mentre necessita di importarne in quantità crescente per settori come automotive, industria manifatturiera, telecomunicazioni e difesa. Questa vulnerabilità ha portato l’Unione a varare l’European Chips Act, entrato in vigore nel settembre 2023, con l’obiettivo di mobilitare oltre 43 miliardi di euro di investimenti pubblico-privati e raddoppiare la quota europea di mercato entro il 2030. In pratica, si punta a creare un ecosistema europeo di ricerca, progettazione e produzione di chip all’avanguardia, attirando anche i primi grandi stabilimenti di semiconduttori sul suolo europeo.

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ReDigitalEU dovrebbe dunque sostenere e accelerare questa strategia, coordinando gli sforzi dei vari paesi e aumentando le risorse se necessario. Investire nei chip made in EU significherebbe garantire alla nostra industria forniture sicure di componenti essenziali e, allo stesso tempo, creare posti di lavoro altamente qualificati. Certo, la strada è in salita: costruire una fabbrica di semiconduttori richiede anni e competenze rare. E la concorrenza globale è agguerrita. Un rapporto recente avverte che gli obiettivi UE al 2030 sono difficilmente raggiungibili senza correzioni strategiche significative e investimenti più coordinati tra gli Stati. Questo implica che i 43 miliardi stanziati potrebbero non bastare, e che serve evitare la frammentazione in progetti nazionali scoordinati. Un programma paneuropeo come ReDigitalEU potrebbe fungere da ombrello per canalizzare più fondi (magari da un Chips Act 2.0 futuro) e assicurare coerenza tra iniziative nazionali. Il vantaggio sarebbe duplice: resilienza tecnologica (meno dipendenza dalle forniture asiatiche in caso di nuove crisi) e competitività economica, perché una forte industria europea dei semiconduttori significherebbe innovazione e valore aggiunto prodotti nel vecchio Continente e non altrove.

Competenze digitali e talenti: frenare la fuga e attrarre cervelli

L’ultimo, ma decisivo, pilastro di ReDigitalEU riguarda il capitale umano. Non c’è sovranità digitale senza persone con le giuste competenze per progettarla e implementarla. Su questo fronte, l’Europa soffre due problemi intrecciati: da un lato una carenza di specialisti ICT (programmatori, esperti di AI, cybersecurity, ecc.) rispetto alla domanda; dall’altro il fenomeno della fuga di cervelli, con tanti giovani talenti europei che emigrano verso la Silicon Valley o grandi aziende straniere, attratti da stipendi e opportunità migliori. Emblematico è il caso dell’Italia che, ogni anno, vede migliaia di laureati in discipline tecnico-scientifiche trasferirsi all’estero. Ma oggi assistiamo anche al fenomeno inverso: talenti in fuga dagli USA. Paradossalmente, le politiche anti-immigrazione e i tagli alla ricerca dell’amministrazione Trump hanno reso gli Stati Uniti meno accoglienti per scienziati e innovatori. Un sondaggio pubblicato su Nature nel 2025 rivelava che il 75% dei ricercatori attivi negli USA valuta di lasciare il Paese, indicando Europa e Canada come mete preferite. Allo stesso tempo, i leader europei hanno fiutato l’opportunità: l’UE ha annunciato fondi (circa 500 milioni di euro in due anni) per rendere l’Europa un polo di attrazione per ricercatori disillusi dagli Stati Uniti. Sebbene questa cifra sia ancora piccola rispetto ai budget americani, segnala la volontà di invertire il flusso di cervelli.

Nell’ambito di ReDigitalEU, sarebbe fondamentale investire in formazione, ricerca e incentivi per i talenti digitali. Ciò significa aumentare le borse di studio e i dottorati hi-tech, finanziare centri di eccellenza e startup deep-tech, semplificare le procedure per attrarre esperti stranieri (un “visto tech” UE) e creare condizioni contrattuali competitive per trattenere i nostri migliori ingegneri e scienziati. L’Europa può offrire qualità della vita, stabilità e valori democratici: leve non monetarie che, unite a maggiori investimenti, possono convincere molti innovatori che qui esiste un futuro promettente. In altre parole, ReDigitalEU dovrebbe combattere la fuga di cervelli trasformandola in “circolazione di cervelli”, portando in Europa nuove competenze invece di perderle. Del resto, senza le persone giuste non si costruiscono né cloud sovrani né chip all’avanguardia: la competizione globale è prima di tutto una competizione per i talenti.

Intelligenza Artificiale: il nuovo asse strategico della sovranità digitale europea

L’Intelligenza Artificiale rappresenta sempre più il fulcro su cui si gioca la nuova sovranità tecnologica globale. L’Europa, pur disponendo di solide basi scientifiche — con circa il 20% delle pubblicazioni scientifiche mondiali in materia di AI — soffre ancora di un ritardo industriale e infrastrutturale rispetto a Stati Uniti e Cina, che attualmente concentrano l’80% degli investimenti privati in AI e dominano lo sviluppo dei modelli generativi di ultima generazione (LLM, foundation models). Secondo i dati OECD-AI (2024), solo il 7% dei maggiori brevetti AI è detenuto da soggetti europei.

Per questo motivo, accanto all’AI Act — che ha il merito di porre standard normativi pionieristici sul piano etico e dei diritti — serve una decisa politica industriale europea sull’AI che eviti di ridurre l’UE al solo ruolo di regolatore globale. Una strategia ReDigitalEU evoluta dovrebbe quindi includere almeno quattro leve di intervento:

  1. Supercalcolo e capacità computazionale: oggi i 3 principali supercomputer AI-ready al mondo (Fugaku, Frontier, Aurora) sono extra-europei. L’UE deve accelerare l’espansione dell’infrastruttura EuroHPC e garantire capacità cloud sovrane per l’addestramento di grandi modelli linguistici, anche attraverso consorzi pubblico-privati.
  2. Data sharing controllato: l’AI richiede grandi moli di dati. Il Data Act e il Common European Data Spaces sono primi tentativi per creare ecosistemi sicuri e interoperabili, ma serve incentivarne l’apertura responsabile anche per PMI e startup europee.
  3. Finanziamenti e capitale di rischio: i principali round di investimento AI (oltre 100 miliardi di dollari nel 2023 a livello globale) vedono un netto predominio statunitense e asiatico. L’Europa deve mobilitare fondi UE, nazionali e privati in fondi sovrani dedicati all’AI, per favorire la nascita di campioni europei nel settore.
  4. Talenti e competenze AI: la carenza di specialisti AI è crescente. Oggi solo il 9% degli sviluppatori AI a livello globale opera in Europa. Servono programmi massivi di formazione, dottorati industriali e attrazione internazionale di ricercatori, anche tramite politiche mirate di immigrazione qualificata.

In assenza di questi interventi sistemici, l’Europa rischia una doppia marginalizzazione: tecnologica (essendo utente e non produttore di AI) e geopolitica (subendo la regolazione di modelli e standard definiti da altri). In questo senso, l’AI è il banco di prova della futura sovranità digitale europea. Se ReDigitalEU vuole essere davvero un progetto strategico, non può prescindere da una “AI industrial policy” integrata e dotata di risorse paragonabili a quelle messe in campo per il Chips Act o per il REPowerEU.

Prospettive future: i vantaggi e gli ostacoli di una strategia ReDigitalEU

Guardando al futuro immediato (i prossimi 3-5 anni), lo scenario è insieme ricco di opportunità e di sfide. Un progetto ReDigitalEU ben congegnato offrirebbe notevoli vantaggi strategici all’Europa. In primis, maggiore sicurezza e resilienza: l’Europa ridurrebbe vulnerabilità critiche, che siano dipendenze da tecnologie estere o carenza di chip, mettendosi al riparo da shock geopolitici. Inoltre, la spinta a innovare rafforzerebbe la competitività economica: filiere tech più solide in patria significano nuovi posti di lavoro qualificati, crescita di campioni europei del digitale e minore necessità di importare servizi e componenti. Infine, non va sottovalutato l’aspetto politico: una UE più autonoma in campo digitale avrebbe più voce in capitolo nei rapporti internazionali, potendo dettare standard (come già fatto con GDPR) senza subire passivamente le altrui scelte. In breve, sovranità digitale significa anche potere contrattuale nello scacchiere globale. E forse finirebbe l’adagio che dice: The USA Innovates, China Replicates and Europe Regulates.

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Di contro, gli ostacoli non mancano. Il primo è finanziario: trovare risorse aggiuntive significative. Il PNRR già destina circa il 25% dei fondi alla digitalizzazione, ma ReDigitalEU richiederebbe un coordinamento di investimenti ben maggiore a livello europeo, forse paragonabile allo sforzo per la transizione verde. Serve volontà politica di tutti gli Stati membri per mettere sul piatto miliardi extra, cosa non scontata in tempi di ristrettezze di bilancio.

Il secondo ostacolo è la frammentazione decisionale. Spesso l’UE paga la lentezza dei suoi processi e le divergenze tra paesi. Ciò vale sia per i cloud sovrani (finora progetti timidi e scoordinati) sia per i chip (ogni Stato cerca di attrarre la propria fabbrica). Superare questo richiede una governance forte e unità di intenti – un campo in cui l’Europa storicamente fatica a ottenere risultati concreti.

Un terzo nodo è il rapporto con gli alleati/competitor: spingere la sovranità digitale potrebbe incrinare ulteriormente i rapporti transatlantici. Gli USA vedrebbero con sospetto un’Europa che “scappa” dai loro servizi e potrebbe rispondere con pressioni (commerciali o politiche). Occorrerà dunque equilibrio: costruire l’autonomia digitale senza scatenare guerre commerciali, magari coinvolgendo partner affidabili (ad esempio stringendo accordi con fornitori giapponesi o sudcoreani per diversificare).

In definitiva, nei prossimi 3-5 anni l’Europa si gioca una partita cruciale. Le risorse del PNRR e di RePowerEU vanno spese bene, ma accanto ad esse serve una visione a lungo termine sul digitale.

L’idea di un ReDigitalEU potrebbe essere il catalizzatore di questa visione: un progetto che, sull’onda della lezione impartita dai dazi di Trump e dalle crisi recenti, renda l’UE padrona del proprio destino tecnologico. Certo, nessuna autonomia si costruisce in pochi anni; ma iniziare ora significa che fra 5 anni potremmo già vedere i primi frutti – ad esempio, servizi cloud europei certificati, fabbriche di chip in costruzione, e meno cervelli in fuga. L’alternativa è restare vulnerabili, confidando che le tempeste globali ci risparmino. Come insegna la vicenda energetica, sperare nel migliore dei casi non è una strategia: meglio prepararsi al peggiore. Investire in un’Europa digitale più forte oggi è la polizza assicurativa per la prosperità e la libertà dei nostri cittadini domani. In gioco non c’è solo qualche settore industriale, ma la possibilità stessa di scegliere il nostro futuro nell’era digitale – senza dover dipendere dai dazi (o dai capricci) altrui.

Così che l’Europa oltre a “regulates” potrebbe aggiungere “innovates”.

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