L’Ufficio parlamentare di bilancio denuncia che i salari dei lavoratori dipendenti saranno penalizzati dall’inflazione e che le riforme previste in materia di contributi e IRPEF rischiano di trasformarsi in una beffa.
Le misure strutturali rischiano di vanificare i benefici attesi. Nonostante le promesse di alleggerimento fiscale, la riforma del sistema contributivo e delle aliquote IRPEF rischia di trasformarsi in una beffa per milioni di lavoratori. È quanto emerge dal più recente rapporto dell’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), che sottolinea come l’effetto congiunto delle nuove misure e dell’inflazione abbia determinato un aumento del prelievo fiscale per operai e impiegati pari a 370 milioni di euro, rispetto alle stime precedenti.
Il governo, con la legge di bilancio 2025, ha reso permanenti alcuni interventi già introdotti in via temporanea: tra questi, l’azzeramento parziale dei contributi a carico dei lavoratori dipendenti, e una nuova struttura dell’IRPEF, semplificata ma più esposta alle dinamiche inflazionistiche. In particolare, l’accorpamento delle aliquote, valido per ora solo nel 2024, ha avuto come effetto collaterale un aumento della pressione fiscale proprio nei confronti di chi percepisce redditi da lavoro.
Salari dei dipendenti penalizzati dall’inflazione
Secondo le simulazioni dell’UPB, con un’inflazione del 2% – parametro ormai minimo nel contesto attuale – la riforma comporta un prelievo aggiuntivo del 13% rispetto al sistema del 2022. Un impatto che si concentra soprattutto sui lavoratori dipendenti: per gli operai, la percentuale di imposta dovuta cresce dal 3,2 al 5,5%; per gli impiegati, dal 1,7 al 2,3%. In un contesto di salari già messi sotto pressione dall’aumento dei prezzi, l’effetto è quello di ridurre il potere d’acquisto, compromettendo così la capacità di spesa delle famiglie e, di conseguenza, rallentando i consumi interni.
Un nodo centrale è l’assenza di meccanismi di indicizzazione. Senza un aggiornamento automatico dei parametri fiscali ai livelli dell’inflazione, i benefici delle misure adottate rischiano di essere progressivamente annullati, con effetti depressivi sulla domanda aggregata e sull’economia nel suo complesso.
Sul fronte dei conti pubblici, la legge di bilancio ha già impegnato quasi tutte le risorse disponibili. Eventuali nuovi interventi dovranno quindi essere compensati da tagli permanenti alla spesa o da un incremento delle entrate. In questo quadro, diventa cruciale la gestione del debito e degli interessi: secondo stime interne, una riduzione di 100 punti base del tasso medio all’emissione dei titoli di Stato genererebbe un risparmio di circa 21 miliardi in tre anni. Una prospettiva che renderebbe più sostenibile il debito pubblico e aprirebbe spazi per investimenti utili alla collettività.
I dati emersi dal Documento di finanza pubblica
Il Documento di finanza pubblica (DFP) 2025, presentato dal governo lo scorso aprile, ha confermato gli obiettivi fissati nel Piano strutturale di bilancio (PSB) nonostante le previsioni di crescita meno ottimistiche. Le entrate migliori del previsto per il 2024 hanno contribuito a mantenere il disavanzo pubblico sotto controllo: dal 3,4% del PIL nel 2024 si passerà al 3,3% nel 2025, al 2,8% nel 2026 e al 2,6% nel 2027. Il debito, dopo un picco al 137,6% nel 2026, è previsto in lieve calo fino al 136,4% nel 2028.
Tuttavia, l’UPB avverte: il quadro resta fragile. Le incertezze geopolitiche, la volatilità dei mercati e i possibili ritardi nell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) potrebbero compromettere il percorso previsto. A ciò si aggiunge la necessità, emersa negli ultimi mesi, di rafforzare la spesa per la difesa, una nuova priorità di bilancio che rischia di sottrarre risorse ad altri settori.
Il DFP, che avrebbe potuto rappresentare l’occasione per aggiornare la strategia di programmazione secondo le nuove regole europee, si limita a fornire un quadro parziale. A differenza del Documento di economia e finanza (DEF), tradizionalmente presentato entro aprile, il DFP non illustra con chiarezza le misure programmatiche, né indica con precisione le aree da cui ricavare eventuali coperture finanziarie per la legge di bilancio.
Scenari futuri e previsioni
La revisione in corso della legge 196/2009, che regola la finanza pubblica nazionale, potrebbe portare a una riforma strutturale della programmazione, con una maggiore attenzione al medio termine. Questo permetterebbe di pianificare con maggiore efficacia gli interventi economici, offrendo stabilità agli operatori e rafforzando il ruolo del Parlamento nel controllo delle politiche fiscali.
In attesa di una riforma organica, il rischio è che anche i provvedimenti nati per sostenere i redditi si trasformino in un boomerang, vanificati da un sistema fiscale che non tiene il passo con l’inflazione e con le reali condizioni economiche dei lavoratori italiani.
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