Non bastano sensori, algoritmi e piattaforme. Una città diventa davvero intelligente quando la tecnologia entra in relazione con le persone, le istituzioni, i bisogni concreti della vita urbana. La Smart City è soprattutto una questione culturale. Richiede un cambio di mentalità: non si tratta solo di usare nuovi strumenti, ma di ripensare il modo in cui si governa, si lavora e si partecipa alla vita urbana. Senza consapevolezza, formazione e visione condivisa, anche l’IA resta sterile. La tecnologia funziona solo se le persone sanno come usarla e perché. È con questa visione che Milano sta guidando la sua trasformazione in città intelligente. L’IA a Milano non è imposta dall’alto, ma prende forma attraverso un ecosistema articolato di attori pubblici e privati che collaborano in modo strategico e operativo. Il Comune guida la digitalizzazione dei servizi, sperimenta agenti intelligenti per semplificare il rapporto con i cittadini e costruisce una centrale operativa urbana basata su dati in tempo reale. A2A – una delle principali multiutility italiane attive nei settori dell’energia, dell’ambiente e dell’acqua – applica l’IA in oltre 250 soluzioni, dalla gestione predittiva delle reti al teleriscaldamento, fino alla manutenzione preventiva della rete elettrica. La Regione Lombardia, attraverso ARIA, promuove l’adozione diffusa dell’IA nei servizi sanitari, amministrativi e infrastrutturali, con attenzione alla sostenibilità e all’efficacia. SAP, colosso globale del software, integra assistenti intelligenti all’interno dei processi amministrativi per migliorare la gestione documentale e il rapporto con i cittadini. E accanto a questi attori, Deloitte, con il contributo di Officina Innovazione, svolge un ruolo cruciale nell’accompagnare le istituzioni nella progettazione di soluzioni scalabili e realmente integrate nella città. Insieme, questi soggetti – dirigenti pubblici, tecnici, innovatori, consulenti e cittadini – stanno contribuendo a costruire una Milano dove l’IA non è fine a sé stessa, ma uno strumento vivo, trasparente e al servizio della trasformazione urbana.
In questo quadro, c’è tutta la questione delle competenze. Milano scommette sulla formazione continua: dai tecnici agli amministratori, dagli operatori pubblici ai cittadini. Non basta più saper usare uno strumento: bisogna capirne logiche, limiti e potenzialità. Anche il direttore dell’Osservatorio GAILIH e docente di Intelligenza Artificiale in Unimarconi (nonché Presidente di Industria Italiana) Luca Manuelli insiste su questo punto: «Serve un approccio multidisciplinare, perché la trasformazione non è solo digitale, ma sociale e organizzativa». In questa prospettiva, la cultura diventa infrastruttura. E senza questa infrastruttura, nessuna città può dirsi davvero intelligente.
Questo articolo trae spunto dal convegno “Formare il Futuro – Milano, Città Intelligente”, promosso dall’Osservatorio GAILIH (GenAI Learning and Innovation Hub) dell’Università degli Studi Guglielmo Marconi, tenuto qualche giorno fa a Milano. A parte Manuelli, hanno partecipato Il Direttore Innovazione Tecnologica del Comune di Milano Guido Arnone, la Head of Data Science Office di A2A Alice Guerini, l’Head of Organization, People Digital, Planning & Analytics di A2A Lorenzo Semeghini, il Direttore Generale di ARIA (Regione Lombardia) Lorenzo Gubian, il Responsabile Pre-Sales di SAP Italia Roberto Fraccapani, l’amministratore delegato di SAP Italia Carla Masperi, il co-founder di Skillvue Simone Patera, il Partner di Deloitte e Co-lead di Officine Innovazione Francesco Iervolino, il Partner di Deloitte – Human Capital Stefano Besana, l’Head of AI Program Startup & Digital Adoption di A2A Gian Fausto Navoni, il Direttore Sviluppo Internazionale e Ricerca dell’Università degli Studi Guglielmo Marconi Arturo Lavalle, l’Architect Advisor Public Sector di SAP Italia Paola Palleschi, il Senior Partner Leader of Artificial Intelligence & Data Alfredo Garibaldi, il Direttore HR Emea di SAP Italia Pietro Iurato, il Presidente di I-Com Stefano da Empoli. L’evento è stato moderato dal direttore di Industria Italiana Filippo Astone.
Milano come piattaforma vivente di innovazione urbana: l’intelligenza artificiale tra governance distribuita, infrastrutture digitali e alleanze operative
Milano si sta affermando come un modello nazionale nella sperimentazione dell’intelligenza artificiale applicata alla città. Il suo approccio non è solo tecnologico, ma strategico, distribuito e collaborativo. «La Smart City non la fa il Comune da solo», afferma Guido Arnone, sottolineando come il successo dell’innovazione urbana dipenda dalla cooperazione tra pubblica amministrazione, imprese, università, startup e cittadini. «Ciò che conta – aggiunge – è costruire un ecosistema che sappia condividere dati, visione e responsabilità. Milano non vuole essere solo un luogo di sperimentazione tecnologica, ma una piattaforma aperta dove l’intelligenza artificiale si intreccia con la vita reale delle persone».
L’IA viene adottata come strumento di potenziamento dei servizi pubblici: serve a semplificare i processi interni e a offrire risposte più rapide e personalizzate ai cittadini. Tra i progetti già attivi figurano la digitalizzazione dei permessi, l’utilizzo dell’IA per classificare segnalazioni urbane e lo sviluppo di un “gemello digitale” della città, pensato per una gestione condivisa, predittiva e trasparente dei dati territoriali. Arnone ha inoltre citato lo sviluppo di una centrale operativa digitale, capace di integrare flussi informativi in tempo reale per il monitoraggio dinamico del contesto urbano, e l’introduzione di agenti intelligenti per il front-office, concepiti per facilitare l’interazione tra cittadino e pubblica amministrazione. L’obiettivo è costruire un sistema capace di rispondere a eventi, richieste e anomalie con rapidità e precisione, alleggerendo i carichi burocratici e migliorando l’esperienza d’uso dei servizi urbani.
In questa trasformazione, il ruolo dell’ecosistema territoriale è centrale.
Gian Fausto Navoni: «Milano ha il potenziale per diventare un laboratorio urbano diffuso, dove le startup e le piccole imprese possono co-progettare soluzioni insieme agli enti pubblici.
Ma per farlo davvero servono piattaforme collaborative, regole chiare e processi decisionali rapidi».
Navoni pone l’accento sulla sostenibilità: «In A2A lavoriamo su economia circolare e transizione ecologica. Per noi l’IA non è fine a sé stessa, ma uno strumento per migliorare l’efficienza e ridurre l’impatto ambientale.
Se non andiamo verso una città più resiliente, il progresso rischia di diventare insostenibile».
Francesco Iervolino ribadisce la necessità di passare dalla sperimentazione tecnica alla governance strategica: «La città non deve solo adottare tecnologie, ma diventare uno spazio di innovazione continua. Serve una visione sistemica, modulare e scalabile».
E aggiunge: «Il futuro sarà fatto di organizzazioni ibride, dove agenti intelligenti collaborano con gli esseri umani. Ma questo richiede un ripensamento dei modelli organizzativi e delle competenze. A Milano abbiamo costruito spazi fisici dedicati a questo: Solaria Space, per esempio, è un luogo dove pubblico, privato e innovatori possono incontrarsi, testare soluzioni e immaginare insieme la città del futuro».
In questo scenario, Milano prova a essere non solo una “smart city”, ma una città intelligente che apprende, evolve e coinvolge. Un ecosistema vivente dove l’IA diventa davvero utile quando si traduce in valore per la comunità, in trasparenza per le istituzioni e in strumenti concreti per affrontare la complessità urbana.
Chi lavora nella città intelligente: come l’ia cambia i ruoli pubblici e perché la cultura è decisiva
L’intelligenza artificiale sta trasformando il lavoro nelle organizzazioni pubbliche e private, ridisegnando ruoli, flussi operativi e responsabilità. Ma nelle città intelligenti, questa trasformazione riguarda prima di tutto chi la città la gestisce: amministratori, tecnici, impiegati dei servizi, operatori sul territorio. È in questi ambiti che l’IA diventa parte integrante della macchina urbana, influenzando concretamente come si pianifica, si decide, si interviene.
Come ricorda Stefano Besana, «sei persone su dieci considerano l’IA come un membro del team», segno che la tecnologia non è più uno strumento esterno, ma una presenza stabile nei processi quotidiani. Questo vale tanto per un ufficio HR quanto per uno sportello comunale o una centrale operativa che monitora la città.
Le potenzialità sono enormi, ma serve metodo. Per Lorenzo Semeghini «la vera sfida è ridisegnare i processi, non solo migliorarli». Non si tratta solo di automatizzare singole attività — come classificare una segnalazione o estrarre dati da un documento — ma di ripensare l’organizzazione urbana nel suo insieme: chi fa cosa, con quali strumenti, in quali tempi.
Tuttavia, il passaggio non è indolore. «L’adozione dell’IA ha spesso peggiorato l’esperienza lavorativa per molte persone», osserva Besana, evidenziando che la trasformazione deve essere accompagnata da formazione, consapevolezza e coinvolgimento. Una città non è intelligente se i suoi operatori si sentono sostituiti o disorientati.
In questo quadro, il ruolo dell’HR urbano — e più in generale delle politiche di gestione delle risorse umane nella pubblica amministrazione — diventa cruciale. Occorre aggiornare le job description, pianificare nuove esigenze di competenze, creare percorsi evolutivi per figure professionali che oggi gestiscono informazioni, interagiscono con i cittadini o prendono decisioni operative. Infine, come suggerisce Simone Patera «l’intelligenza artificiale non è una minaccia, ma un’estensione delle capacità umane. È utile proprio dove l’intervento umano, per motivi di tempo o costi, non è sostenibile. Il nostro obiettivo è mettere a disposizione strumenti che aiutino le organizzazioni a comprendere davvero le competenze disponibili, a pianificare percorsi personalizzati, a individuare le potenzialità non espresse. Non si tratta solo di valutare cosa una persona sa fare oggi, ma di capire cosa può imparare domani. Per questo – aggiunge – la vera skill del futuro è la capacità di apprendere in modo continuo. La tecnologia deve abilitare, non sostituire: l’IA serve a rafforzare la centralità delle persone, non a ridurla».
Se la tecnologia corre e le persone restano ferme: perché senza cultura l’intelligenza artificiale non serve alle città
La rivoluzione dell’intelligenza artificiale nelle città non è solo una questione di software, algoritmi o piattaforme digitali. È, innanzitutto, una sfida culturale. A dirlo non sono solo tecnici e innovatori, ma chi si occupa da anni di processi organizzativi e di sviluppo urbano. «Le tecnologie ci sono, ma il cambiamento culturale, organizzativo e umano è ancora da costruire», afferma Filippo Astone, sottolineando come la spinta verso la digitalizzazione richieda prima di tutto una visione condivisa.
La cultura del cambiamento non si improvvisa: va progettata, accompagnata, allenata. Non basta introdurre strumenti intelligenti nei processi amministrativi o nei servizi pubblici se le persone che li utilizzano non sono messe in condizione di comprenderli, governarli e migliorarli. Carla Masperi lo dice chiaramente: «L’IA non è un gadget tecnologico, è uno strumento trasformativo. Ma se non lavoriamo su competenze, governance, accettazione e sostenibilità, rischia di rimanere sulla carta. Serve un approccio più sistemico, che connetta cultura e tecnologia, processi e persone. L’hype non basta: senza consapevolezza e coinvolgimento, anche le soluzioni più evolute si arenano. E questo vale soprattutto per la pubblica amministrazione, dove la trasformazione non è solo tecnica, ma anche e soprattutto culturale».
La trasformazione richiede anche responsabilità e consapevolezza. Per Stefano Besana «se non lavoriamo sulla dimensione culturale, rischiamo di acuire i divari e di peggiorare l’esperienza delle persone». L’intelligenza artificiale può infatti rafforzare le disuguaglianze, se non accompagnata da alfabetizzazione digitale, formazione continua e senso critico. Le competenze, quindi, non sono un accessorio: sono il cuore della città intelligente.
Un punto condiviso anche da Alfredo Garibaldi, che aggiunge: «Oggi il vero tema è la governance. Non basta più sviluppare un modello: dobbiamo saper prevedere cosa farà un algoritmo, come faremmo con un collaboratore umano. Serve costruire fiducia, ma anche consapevolezza, perché la tecnologia generativa non è neutra. Ha effetti profondi su come decidiamo, su come ci informiamo, su come interagiamo. Per questo l’IA, se non è spiegabile, accessibile e orientata al bene comune, rischia di amplificare le asimmetrie».
Per Stefano da Empoli l’intelligenza artificiale è una tecnologia potente ma non autosufficiente: «È trasformativa, ma rischia di restare inefficace se non accompagnata da un cambiamento istituzionale e culturale all’altezza». La velocità dell’innovazione, osserva, supera spesso quella delle regole, creando un divario tra ciò che la tecnologia consente e ciò che siamo pronti a gestire. Per questo, servono strategie condivise, che uniscano pubblico, privato e società civile. «Una smart city non si costruisce solo con soluzioni tecniche, ma con una visione politica e sociale: l’IA è un’infrastruttura come la sanità o i trasporti», afferma. La vera sfida, secondo lui, è anticipare gli impatti su lavoro, istruzione e diritti. Non basta adottare: occorre orientare. Perché il rischio maggiore non è l’errore tecnologico, ma una trasformazione cieca e non governata.
Competenze per città intelligenti: nuove, aggiornate e digitali
L’intelligenza artificiale non può esistere, né funzionare, senza le persone. È una tecnologia che, per definizione, amplifica il potenziale umano: lo potenzia, lo sfida, talvolta lo mette in crisi. Per questo motivo, il tema delle competenze è emerso con forza come uno dei pilastri fondamentali della trasformazione urbana. «La vera sfida oggi è formare competenze nuove, aggiornate, trasversali, capaci di comprendere e lavorare per e con l’intelligenza artificiale», spiega Arturo Lavalle. «Ma per riuscirci servono ecosistemi educativi aperti e connessi, che mettano in rete università, imprese, amministrazioni pubbliche e startup. L’innovazione digitale, infatti, non è solo una questione tecnica: richiede una lettura strategica che tenga insieme aspetti etici, culturali, giuridici e geopolitici. Dobbiamo ripensare anche il modo in cui trasmettiamo il sapere, con contenuti multilingua, chatbot educativi, percorsi di orientamento personalizzati. Solo così — conclude — possiamo preparare persone in grado di governare la trasformazione e non semplicemente subirla».
Oggi, non basta più saper utilizzare uno strumento: bisogna capirne il senso, il funzionamento, le implicazioni. Come ribadisce Luca Manuelli «mai come in questo caso serve un approccio multidisciplinare». La trasformazione digitale non può essere affidata solo agli informatici o ai data scientist: deve coinvolgere competenze umanistiche, giuridiche, manageriali.
«Il rischio — osserva Manuelli — è di costruire un’IA per pochi, maneggiata da tecnici ma incomprensibile alla maggioranza. Servono nuove forme di “digital literacy”, che rendano i cittadini non solo utenti, ma attori consapevoli». La formazione, secondo lui, non è più solo un tema scolastico o accademico, ma una responsabilità sociale e industriale.
Per questo motivo, Manuelli ha promosso insieme ad altri attori pubblici e privati il progetto delle “pillole formative” sull’IA generativa: «Abbiamo realizzato un percorso gratuito rivolto a utenti non esperti, per aiutarli a comprendere come funzionano strumenti come ChatGPT e quali usi possono farne in sicurezza». L’obiettivo non è insegnare a programmare, ma a ragionare: «Chiunque si trovi a interagire con un algoritmo deve avere almeno una consapevolezza di base su come questo ragiona, quali dati usa, e quali bias può contenere».
Questa visione si collega anche a una trasformazione del mondo del lavoro e della pubblica amministrazione. «Nei prossimi tre anni — avverte Manuelli — milioni di professionisti italiani dovranno acquisire almeno una competenza in ambito AI. Questo significa investire in piani formativi, ma anche ripensare i ruoli e i percorsi di carriera». Il futuro della città intelligente, quindi, si costruisce più nei percorsi formativi che nei data center. Senza persone consapevoli, l’intelligenza artificiale rischia di diventare una tecnologia distante, o peggio, divisiva.
In definitiva, la competenza è il primo strumento di equità: un’intelligenza artificiale davvero “urbana” deve essere compresa, diffusa e accessibile. È sulle persone — e sulla loro capacità di apprendere e adattarsi — che si gioca la sostenibilità della trasformazione.
Casi concreti di trasformazione urbana con l’intelligenza artificiale: Sap, Regione Lombardia, A2A
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SAP: agenti intelligenti al servizio dei processi urbani
SAP applica l’intelligenza artificiale direttamente nei processi amministrativi, finanziari e operativi, integrandola nelle proprie piattaforme gestionali. Per Roberto Fraccapani, l’obiettivo è «portare l’IA nei processi reali», affiancando i decisori con agenti digitali che analizzano documenti, supportano la gestione dei contratti e facilitano l’interazione tra cittadini e amministrazione. Gli assistenti intelligenti SAP, come Joule, permettono ad esempio di riassumere testi legali, classificare segnalazioni o suggerire soluzioni operative. Le soluzioni sono già impiegate nel mondo pubblico per gestire gare, documentazione, relazioni con i fornitori e servizi al cittadino. L’intelligenza artificiale diventa così embedded nei flussi di lavoro, migliorando precisione e velocità decisionale.
Paola Palleschi sottolinea come l’IA possa rappresentare una leva di trasformazione concreta per la macchina amministrativa: «Quando parliamo di servizi pubblici, non possiamo più pensare in termini tradizionali. Le nuove tecnologie ci permettono di offrire esperienze più semplici, più fluide e più personalizzate ai cittadini. L’intelligenza artificiale non è solo una questione tecnica: è uno strumento per alleggerire il carico burocratico e rimettere al centro il valore del servizio». A conferma, porta l’esperienza della città di Amburgo: «In pochissime settimane, grazie a un sistema di IA, siamo riusciti a classificare e processare oltre 80mila richieste di sussidi culturali, con un risparmio stimato di 33mila ore di lavoro. Questo significa non solo efficienza, ma anche equità e accessibilità. È un esempio di come l’IA possa contribuire a una pubblica amministrazione più giusta, più vicina e più trasparente».
Anche all’interno delle organizzazioni, l’adozione dell’IA sta cambiando in profondità i processi. Pietro Iurato evidenzia il valore trasformativo per la gestione delle persone: «L’intelligenza artificiale sta diventando una compagna di viaggio in ogni fase dell’esperienza lavorativa. Non parliamo solo di automazione, ma di potenziamento. Oggi siamo in grado di costruire percorsi personalizzati, affiancare i manager nelle valutazioni, offrire feedback in tempo reale e supportare le decisioni di crescita professionale». Ma avverte anche sui rischi dell’inazione: «Chi aspetta troppo, rischia di restare indietro. Il treno dell’IA non aspetta: non basta adottare la tecnologia, bisogna governarla. Ed è fondamentale che tutte le persone, non solo gli specialisti, abbiano accesso alle conoscenze per comprenderla. Se vogliamo che sia davvero uno strumento di equità e innovazione, dobbiamo investire in cultura, trasparenza e formazione diffusa».
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Regione Lombardia: IA distribuita nei servizi pubblici
La Regione Lombardia ha scelto un approccio «pragmatico e distribuito» per introdurre l’intelligenza artificiale nei propri servizi pubblici. «Abbiamo chiesto a ogni struttura tecnica di mappare dove la nuova tecnologia potesse generare valore», spiega Lorenzo Gubian. Questo ha portato alla creazione di un vero e proprio censimento interno, da cui sono emersi decine di casi d’uso concreti. «Molti progetti sono già operativi, sia nel back office – come l’estrazione automatica di dati dai contratti o l’anonimizzazione dei documenti – sia nei servizi rivolti al cittadino, come gli assistenti virtuali per le domande ai bandi regionali», racconta. L’intelligenza artificiale viene applicata anche nella sanità, ad esempio per automatizzare il controllo delle ricette farmaceutiche, e nel lavoro, grazie a sistemi che selezionano i profili professionali più adatti sulla base del matching semantico dei curriculum. «Il nostro obiettivo è usare l’IA per semplificare, accelerare e migliorare i servizi pubblici – continua Gubian – sempre nel rispetto del paradigma dello human-in-the-loop: le persone restano centrali». Un ulteriore fronte di sperimentazione riguarda la produzione di dati sintetici a partire da quelli sanitari, utile per la ricerca e l’innovazione. La strategia della Regione si distingue anche per l’attenzione agli aspetti normativi ed etici, oltre che per la volontà di condividere le soluzioni con altre amministrazioni. «La tecnologia si evolve rapidamente – conclude – ma serve responsabilità, conoscenza e confronto per guidarne l’impatto sul territorio».
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A2A: la città come sistema predittivo e sostenibile
A2A è senza dubbio uno dei casi più evoluti e concreti di applicazione dell’intelligenza artificiale a scala urbana. Come spiega Alice Guerini, Head of Data Science, «oggi gestiamo più di 250 applicazioni di intelligenza artificiale operative, che coprono diversi ambiti strategici per la città, dalla produzione e distribuzione dell’energia alla manutenzione delle reti fino alla pianificazione urbana». È una trasformazione radicale del modo in cui Milano — e progressivamente altre città — possono gestire le proprie infrastrutture.
Un esempio emblematico è il sistema di ottimizzazione del teleriscaldamento. «Siamo in grado di prevedere il carico termico da un’ora fino a sette giorni in anticipo», racconta Guerini, «grazie all’uso combinato di dati storici, dati meteo e modelli di machine learning avanzati». L’obiettivo non è solo garantire comfort agli utenti, ma anche ottenere il massimo rendimento energetico possibile. «Scegliere quando e come attivare determinate macchine ci ha permesso di ottenere risparmi energetici per circa 2,5 milioni di euro l’anno — e di ridurre significativamente le emissioni di CO₂. Questo è per noi un risultato chiave, perché dimostra che l’intelligenza artificiale può contribuire concretamente alla sostenibilità».
Un secondo progetto di punta è “Pandora”, dedicato alla manutenzione predittiva della rete elettrica interrata milanese. Le ondate di calore estive causano frequenti guasti, ma A2A ha sviluppato un sistema che analizza lo stato di salute dei giunti dei cavi e ne prevede la probabilità di rottura. «Abbiamo implementato modelli di sopravvivenza che ci permettono di individuare in anticipo le tratte più a rischio e pianificare gli interventi prima che si verifichi il guasto», spiega Guerini. «In questo modo, evitiamo blackout e possiamo operare in modo più efficiente e meno invasivo».
Ogni soluzione è supportata da un’interfaccia intuitiva: «Non ci limitiamo a sviluppare il modello — aggiunge — ma realizziamo anche una web app che permette agli operatori di capire, monitorare e utilizzare i dati in tempo reale». Questo passaggio è fondamentale: rende l’output del modello non solo tecnicamente valido, ma concretamente utile per chi lavora sul campo.
Ad integrare la visione strategica di A2A interviene anche Davide Rizzo, Head of Digital Generation & Trading and Smart Infrastructures di A2A (sentito ai margini dell’evento; Ndr). Sottolinea l’importanza di una cultura dell’innovazione continua: «Stiamo ristrutturando competenze e organizzazione per portare l’IA a scala. Lavoriamo in un ecosistema aperto, integrando tecnologie interne con soluzioni di startup e mercato». L’ottimizzazione degli asset produttivi è al centro della strategia, ma A2A guarda anche alla relazione con il cliente: «L’IA ci aiuta anche nel retail e nei servizi», spiega Rizzo, «con l’obiettivo di dialogare meglio, non sostituire le persone».
Lorenzo Semeghini insiste sul tema della user experience interna: «Tutti i dipendenti A2A devono poter trovare risposte e supporto con la stessa facilità con cui lo farebbero da privati cittadini su un motore di ricerca. L’IA ci aiuta a colmare questo gap informativo con strumenti agili e intelligenti, come il nostro LiveMate». Si tratta di un assistente conversazionale che consente di accedere rapidamente a oltre 2mila documenti interni, semplificando procedure e migliorando l’efficienza operativa.
La strategia A2A, dunque, non è solo tecnica, ma profondamente organizzativa. L’intelligenza artificiale viene integrata come asset strategico, con l’obiettivo di rendere la città — e l’azienda stessa — più reattiva, sostenibile e centrata sulle persone. Per Guerini «A2A non fa IA per moda, ma perché migliora il lavoro quotidiano e l’impatto sui cittadini. Per noi, è già una parte strutturale della città che verrà».
Chi comanda davvero in una smart city? L’etica dell’algoritmo al centro
L’intelligenza artificiale, per essere davvero al servizio della città, deve essere governata da principi etici, trasparenza e inclusione. Non basta che funzioni: deve farlo in modo giusto, comprensibile e accessibile a tutti. Arturo Lavalle ricorda che «serve un uso responsabile dei dati», mentre Stefano Besana avverte che «l’IA rischia di ridurre lo spirito critico se usata in modo oracolare». La tecnologia deve essere accompagnata da formazione, consapevolezza e partecipazione.
Il problema non è solo tecnico, ma culturale e normativo: il quadro giuridico è in evoluzione e, come osserva Guido Arnone, «non è sempre chiaro», generando incertezza nelle pubbliche amministrazioni. Per questo, la trasparenza degli algoritmi e la tracciabilità delle decisioni sono indispensabili per costruire fiducia tra cittadini e istituzioni. Infine, l’inclusione: una città intelligente non può escludere nessuno. L’IA deve ridurre le disuguaglianze, non amplificarle. Solo una tecnologia centrata sulla persona può essere davvero urbana, sostenibile e democratica.
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