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Israele attacca l’Iran, e per le imprese italiane si stimano aumenti per 11 miliardi


Un aumento strutturale dei prezzi di gas e petrolio che potrebbero arrivare a costare oltre 11 miliardi di euro in più per le piccole e medie imprese italiane (Pmi) già nel 2025. Dopo l’attacco israeliano in Iran, il prezzo del gas alla Borsa di Amsterdam è salito del 4%, toccando quota 37,60 euro al megawattora, parallelamente, il greggio ha registrato un balzo ancora più pronunciato: il WTI ha guadagnato l’8%, salendo a 73,48 dollari al barile, mentre il Brent si è portato a 74,47 dollari (+7,37%). Nel dettaglio, sei miliardi di euro sarebbero legati all’incremento del prezzo del gas e oltre cinque miliardi all’effetto del petrolio, con ripercussioni critiche sui settori più energivori, dalla logistica all’agroalimentare, fino alla chimica

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Questo quanto emerge da un’analisi del centro studi di Unimpresa, che sottolinea come: 

«se queste dinamiche dovessero consolidarsi nelle prossime settimane, con prezzi dell’energia stabilmente più elevati rispetto al 2024, il sistema produttivo italiano si troverebbe a dover fronteggiare un aumento molto significativo dei costi di produzione, con effetti potenzialmente destabilizzanti soprattutto per le piccole e medie imprese».

Oltre a questi rincari si devono poi sommare anche i costi indiretti legati al trasporto, alle materie prime e all’inflazione.

Gli impatti sulle imprese: +10,5 miliardi

Gli analisti di Unimpresa stimano una crescita strutturale del 20%, rispetto al prezzo medio del gas, nel 2024, che si è attestato attorno ai 35 euro/MWh. Le tensioni prolungate, porterebbero le quotazioni  dunque verso i 42 euro/MWh. Applicando quindi questo incremento al consumo annuo dell’industria italiana, circa 15 miliardi di metri cubi,  il costo addizionale per le imprese ammonterebbe a circa 10,5 miliardi di euro.

Considerando che le Pmi rappresentano circa il 60% del fabbisogno energetico industriale, si stima che oltre sei miliardi di tale incremento graverebbero direttamente su di esse, in particolare nei comparti energivori come la manifattura pesante, la chimica e l’agroalimentare.

L’altra variabile chiave è il prezzo del petrolio. Nel 2024, il Brent si era stabilizzato attorno ai 65 dollari al barile. Un aumento del 20%, in linea con l’andamento attuale post-attacco, porterebbe il prezzo intorno ai 78 dollari. Ciò comporterebbe un rincaro complessivo dei prodotti petroliferi utilizzati in ambito industriale (carburanti, lubrificanti, riscaldamento) stimato in oltre 8,7 miliardi di euro, di cui circa 5,2 miliardi ricadrebbero sulle Pmi. In questo caso il settore dei trasporti, già fortemente esposto alla volatilità dei carburanti, sarebbe tra i più colpiti, insieme all’agricoltura e all’intera logistica.

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L’effetto a catena dell’attacco 

L’incremento dei prezzi energetici non si esaurisce nella bolletta. L’analisi mostra infatti come una volta innescata la spirale questa genera una reazione a catena lungo tutta la filiera produttiva. E dunque ad essere impatti potrebbero essere anche i costi di trasporto che potrebbero aumentare tra il 5 e il 7%, con effetti diretti su distribuzione e consegne.

Ma non solo, perché anche le materie prime trasformate,  soprattutto quelle derivate dal petrolio, come le plastiche, subirebbero un rincaro sensibile. Più in generale, le imprese vedrebbero erodersi i margini operativi in misura compresa tra 1,5 e 2,5 punti percentuali, con conseguente frenata degli investimenti e della spinta alla transizione energetica.

L’impatto non sarà uniforme. I comparti maggiormente esposti sono:

  • trasporti e logistica, dove l’energia incide per oltre il 30% sui costi totali;
  • industria pesante e manifattura, con un’incidenza del 25–35%;
  • agroalimentare, fortemente dipendente sia dal gas sia dai carburanti; chimica e plastica, dove l’effetto moltiplicativo dei prezzi del petrolio rischia di essere devastante.

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