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Porto di Venezia, qualcosa si muove: un doppio segnale da cogliere


Il dibattito sul porto di Venezia si è cristallizzato per troppo tempo attorno alla questione delle grandi navi passeggeri, perdendo di vista le enormi potenzialità che questo scalo offre come piattaforma industriale e logistica di primo piano nel cuore dell’Europa.

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L’Italia, il Nord Est, il Veneto e la stessa Venezia, hanno a lungo sottovalutato le potenzialità dello scalo veneziano, imprigionati in una dialettica sterile che ha messo in contrapposizione due visioni altrettanto riduttive. Da un lato chi sosteneva l’imprescindibilità delle grandi navi passeggeri per la sopravvivenza economica del porto, dall’altro chi identificava nelle crociere la causa principale dell’overtourism che soffoca Venezia storica.

Entrambe le posizioni, sbagliate, hanno contribuito a offuscare le reali opportunità di sviluppo dello scalo lagunare. A questa miopia si è aggiunta una falsa alternativa che ha ulteriormente impoverito il dibattito: l’idea che gli ampi spazi portuali di Marghera dovessero essere destinati esclusivamente a funzioni logistiche oppure solo a funzioni industriali, come se queste due vocazioni fossero incompatibili invece che complementari.

Questa contrapposizione artificiosa ha a lungo impedito di cogliere la vera forza competitiva del sistema portuale veneziano: la capacità di integrare attività manifatturiere ad alto valore aggiunto con servizi logistici avanzati, sfruttando la posizione strategica lungo le rotte che collegano l’Europa all’Asia.

A sconfessare queste sottovalutazioni e questi falsi dilemmi sono arrivate le recenti decisioni di due importanti gruppi industriali che hanno scelto Porto Marghera per i propri investimenti strategici. Due investimenti tra i molti favoriti da una rinnovata dinamicità dell’Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico settentrionale, che fortunatamente stanno cambiando il volto di Porto Marghera. Ma due iniziative estremamente significative.

Il Gruppo Siad ha deciso di realizzare nell’area veneziana un nuovo stabilimento per la produzione di grandi impianti di separazione dell’aria destinati alle tecnologie della decarbonizzazione: impianti da inviare via mare in ogni parte del mondo. Parallelamente, Volkswagen ha scelto Marghera per il proprio nuovo hub logistico automotive, affidando alla Vezzani del Gruppo Gavioli la realizzazione di un terminal con un accosto navi di circa 295 metri e una capacità di 10 mila posti auto. Le motivazioni che hanno guidato queste decisioni illuminano perfettamente il nuovo potenziale del porto di Venezia.

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La scelta Volkswagen si basa su vantaggi logistici concreti: «Meno tempi di trasporto, meno costi, meno emissioni» dovuti alle minori distanze – rispetto ai porti del mare del Nord – che separano Venezia dagli impianti di produzione automobilistica nel Sud della Germania, nella Repubblica Ceca o in Slovacchia; e sui prerequisiti unici offerti dal sito veneziano, che è un’area ex industriale con collegamenti ferroviari consolidati, accessibilità stradale ottimale e spazi portuali dedicati. Sia Volkswagen sia Siad puntano fortemente sull’integrazione modale, valorizzando il collegamento ferroviario come elemento chiave della sostenibilità logistica.

Volkswagen prevede di gestire inizialmente cinque treni completi a settimana per arrivare a regime a dieci convogli. Siad punterà a sua volta sulla logistica ferroviaria per ottimizzare i flussi dei propri impianti, che richiedono movimentazioni complesse per dimensioni e peso. L’integrazione ferro-mare diventa, assieme alla disponibilità di ampi spazi a filo di banchina, un fattore competitivo determinante.

Volkswagen e Siad sono due esempi di successi conseguiti nonostante la ridotta accessibilità nautica dovuta al Mose e conseguente al mancato rispetto degli impegni governativi assunti in sede di approvazione di quel progetto.

Lì si era accettato il Mose e il suo impiego a qualunque livello di marea necessario a tenere Venezia storica all’asciutto contro l’impegno che fosse il «sistema di accesso permanente» costituito dalla conca di navigazione a Malamocco e dalla piattaforma portuale d’altura del Venice Onshore Offshore Port System, a rendere indipendenti gli obiettivi della salvaguardia da quelli dell’operatività portuale.

Purtroppo questo completamento necessario del Mose non è ancora stato realizzato. Una lacuna che compromette molte altre operazioni Siad e Volkswagen e non permette a Venezia di collaborare pienamente in un sistema portuale Alto Adriatico con Ravenna, Trieste, la slovena Capodistria e la croata Fiume per competere davvero ad armi pari con i principali scali nordeuropei.

Gli investimenti di Siad e Volkswagen rappresentano molto più di due singole operazioni industriali. Sono «budini mangiati e non solo immaginati», che mostrano concretamente le enormi potenzialità del porto di Venezia. Questi successi aprono scenari promettenti per il futuro: Volkswagen prevede flussi bilanciati in importazione ed esportazione, inizialmente verso Asia e Turchia, ma con prospettive di crescita anche per i traffici di ritorno dalla Cina. Un modello replicabile per altri settori industriali che necessitano di integrazione tra manifattura avanzata e connettività marittima globale.

La sfida ora è liberare definitivamente il porto dai suoi vincoli di accessibilità nautica e trasformare questi esempi isolati in una strategia sistemica per restituire a Venezia un porto all’altezza delle sue potenzialità storiche e geografiche e costruire con gli altri porti altoadriatici quel tramite privilegiato sulle grandi rotte globali, che la Cina, con la Via della Seta, e l’India con la Via del Cotone hanno individuato in tempi non sospetti. 



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