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Governance ottimale: controllo, competenza e coesione


Controllo, competenza e coesione sono i tre principi suggeriti come cardini per una buona governance aziendale da Salvatore Sciascia, professore ordinario di Strategia aziendale e co-direttore del Family Business Lab di Liuc, Università Cattaneo che è intervenuto all’incontro Mind the Governance, dedicato agli strumenti organizzativi e alle strategie di crescita utili a rendere la Governance una leva concreta per la competitività e lo sviluppo sostenibile delle imprese, organizzato da Confindustria Como e Unindustria Servizi.

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«La C di controllo per combattere la C del caos, la C di competenza, che combatte quella del cognome non sempre sinonimo di buon leader e infine la C di coesione come antidoto alla C dei conflitti – ha spiegato il professor Sciascia per dare una cornice a quelle regole di governance – che è l’insieme di tutte quelle strutture e regole relative al governo di un gruppo di persone.

Non si tratta solo di aziende; qualsiasi gruppo ha una sua governance, qualsiasi istituzione – ha aggiunto – nelle imprese, in particolare, per governance intendiamo tutte quelle strutture e regole che hanno a che fare con la direzione e il controllo del gruppo, ovvero dove deve andare e la verifica che la direzione sia stata effettivamente presa».

Il professor Sciascia ha offerto una panoramica approfondita sulla governance aziendale e familiare nel contesto delle imprese, con un focus particolare sulle piccole e medie imprese italiane.

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La sua analisi ha messo in luce criticità e opportunità, sottolineando l’importanza di una chiara distinzione dei ruoli, della professionalizzazione e dell’apertura alla diversità nella composizione del board per garantire il successo a lungo termine.

Ma i dati, tra gli altri quelli di una ricerca condotta da Pwc a livello globale, focalizzata principalmente sulle grandi imprese suggeriscono che le pmi del nostro Paese sono in ritardo su aspetti chiave e nel ricorso ad alcuni strumenti che permettono di ottenere migliori risultati di governance. Per esempio, l’accordo di famiglia è stato implementato da poco più del 10% delle aziende italiane intervistate, mentre a livello globale questa percentuale si avvicina al 30% – ha esemplificato Salvatore Sciascia – solo il 20% delle aziende italiane ha dichiarato di avere un consiglio di famiglia e meno del 40% discute apertamente i problemi familiari. L’impiego di professionisti per la risoluzione di tali problemi è ancora meno diffuso, coinvolgendo meno del 5% delle imprese. La pianificazione della successione e la preparazione per il futuro riguardano meno del 43% delle aziende italiane, cifre notevolmente più basse rispetto all’estero. C’è ampio margine di miglioramento».

Un Cda indipendente

Tra i primi elementi a cui porre attenzione c’è le “piramide” di ruoli e responsabilità: spesso la commistione tra proprietà e management porta a una confusione nelle responsabilità e non solo.

«Per la proprietà sono previsti i dividendi, la cui distribuzione dovrebbe essere «congrua rispetto alle esigenze dell’azienda. Se l’azienda deve crescere – ha spiegato Sciascia – il dividendo non si può, o non si dovrebbe, distribuire». Per tutti gli altri livelli, invece, spetta un compenso, basato su responsabilità, anzianità, esperienza e performance. Il messaggio chiave, ha ribadito il professore, è che «non è il cognome, bensì l’appartenenza a un determinato livello della governance che dovrebbe determinare da una parte quello che le singole persone possono fare in azienda e dall’altra ciò che meritano in termini di ricompensa personale».

Il pilastro della buona corporate governance è il Consiglio di amministrazione che deve essere un organismo distinto e indipendente. «Questo perché il Cda deve ragionare non solo nell’interesse della proprietà ma di tutti gli stakeholder, di tutti coloro che hanno interessi nell’azienda», ha precisato. Fondamentale è la presenza di competenze specifiche in strategia, finanza e comunicazione. «Sottolineo il termine competenza, perché molto spesso si crede che nel Cda ci debba stare chi ha potere, quel potere nominale che deriva dal fatto di disporre di quote azionarie. Questo è vero, ma solo parzialmente: occorrono anche competenze», ha rimarcato il professore. Anche per questa ragione l’apertura del Cda a figure esterne è un fattore determinante per le performance economiche. Il professor Sciascia ha sottolineato che «quando il Cda è aperto a degli outsider, persone che non fanno parte della famiglia né dell’impresa, di solito le performance economiche sono superiori» e aumentano se viene rispettata anche una varietà per formazione, età e genere.

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