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La guerra tra Israele e Iran fa impennare i prezzi della benzina (che vola sopra 1,7 euro al litro)


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La guerra scoppiata tra Israele e Iran ha subito mandato in subbuglio i mercati petroliferi, facendo schizzare i prezzi di benzina e diesel.

Guerra Israele-Iran, l’effetto sui prezzi: benzina sopra 1,7 euro al litro

Come spiegato su Staffetta quotidiana, il Brent ha fatto registrare un aumento del 10% stabilizzandosi poi intorno ai 75 dollari, livello di inizio aprile. Stessa sorte per le quotazioni dei prodotti raffinati in Mediterraneo, ai massimi da inizio aprile, con la benzina in aumento dell’equivalente di due centesimi al litro e il gasolio di tre. Gli effetti sui prezzi alla pompa non hanno tardato ad arrivare: dopo due settimane la benzina torna sopra quota 1,7 euro/litro (media nazionale self service), il gasolio sopra 1,6. 

Secondo i dati aggiornati, sabato Eni ha aumentato di un centesimo al litro i prezzi consigliati di benzina e gasolio. Per IP e Q8 registriamo rialzi di due centesimi al litro sul gasolio. Queste sono le medie dei prezzi praticati comunicati dai gestori all’Osservatorio prezzi del ministero delle Imprese e del made in Italy ed elaborati dalla Staffetta, rilevati alle 8 di ieri mattina su circa 18mila impianti: benzina self service a 1,707 euro/litro (+10 millesimi, compagnie 1,714, pompe bianche 1,693), diesel self service a 1,605 euro/litro (+9, compagnie 1,614, pompe bianche 1,588). Benzina servito a 1,846 euro/litro (+8, compagnie 1,889, pompe bianche 1,762), diesel servito a 1,745 euro/litro (+8, compagnie 1,790, pompe bianche 1,658). Gpl servito a 0,709 euro/litro (-1, compagnie 0,718, pompe bianche 0,699), metano servito a 1,439 euro/kg (-2, compagnie 1,444, pompe bianche 1,435), Gnl 1,270 euro/kg (invariato, compagnie 1,268 euro/kg, pompe bianche 1,271 euro/kg). Questi  invece, sono i prezzi sulle autostrade: benzina self service 1,806 euro/litro (servito 2,074), gasolio self service 1,715 euro/litro (servito 1,986), Gpl 0,843 euro/litro, metano 1,508 euro/kg, Gnl 1,342 euro/kg. 

Le associazioni dei consumatori: “Allarme speculazioni”

L’aumento dei prezzi di benzina e gasolio hanno subito mandato in allarme le associazioni dei consumatori: “Anche le medie regionali comunicate oggi dal Mimit confermano la speculazione in atto – sottolinea Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori -. Irrisolto, insomma, il solito problema della doppia velocità: rialzi istantanei quando sale il Brent e discese con il contagocce in caso contrario. In modalità self service, solo 7 regioni su 20 hanno oggi un prezzo medio della benzina inferiore a 1,7 e un prezzo del gasolio inferiore a 1,6 euro al litro”. 


“Dopo le autostrade – ha aggiunto Dona -, che come sempre registrano i prezzi maggiori, per la benzina la più cara è Bolzano, seguita dalla Basilicata e, al terzo posto, dalla Calabria. Le regioni più virtuose, Marche, Veneto e Lazio. Per quanto riguarda il gasolio, vince ancora Bolzano con un astronomico 1,669 euro/litro, seguita da Trento (1,646) e Valle d’Aosta (1,642). Bene, invece, Campania, Veneto e Marche”. 

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Sulla stessa linea anche il commento del Codacons: “Il repentino aumento dei listini dei carburanti in Italia è del tutto inaccettabile e deve portare il governo ad intervenire con urgenza per bloccare qualsiasi forma di speculazione a dannodegli automobilisti. L’allarme lanciato dal Codacons la settimana scorsa, in occasione del rialzo del petrolio, trova purtroppo conferma nei dati ai distributori, con la benzina che vola sopra quota 1,7 euro al litro. – denuncia l’associazione – Rincari alla pompa che confermano le anomalie esistenti in Italia nel settore dei carburanti, con i listini al pubblico che aumentano immediatamente al salire del petrolio, nonostante la benzina e il gasolio venduti oggi agli automobilisti siano stati acquistati mesi fa dai marchi petroliferi, quando le quotazioni del greggio era ben inferiori a quelle odierne”.

La batosta per le imprese

L’aumento dei prezzi dei carburanti potrebbe non essere l’unico effetto collaterale del conflitto iniziato lo scorso 12 giugno tra Israele e Iran. Come spiega Unimpresa, l’Italia importa oltre il 90% del gas naturale e il 95% del petrolio consumati, motivo per cui è molto esposta alle fluttuazioni dei listini. Già dopo il 13 giugno gli aumenti di gas e petrolio hanno avuto un primo impatto sui costi dell’elettricità, dato che circa il 40% della produzione elettrica nazionale dipende dal gas. Un incremento del 10-15% dei prezzi del gas potrebbe spingere il costo dell’elettricità da 120-150 euro per megawattora a 140-180 euro, con un impatto diretto sulle bollette delle imprese. Le piccole e medie imprese, che rappresentano il cuore del tessuto produttivo italiano, sono particolarmente vulnerabili: per un’azienda manifatturiera media, i costi energetici potrebbero crescere del 3-7%.

Così l’Iran potrebbe “chiudere il rubinetto” del petrolio e colpire l’economia globale

Sempre secondo il report di Unimpresa, Il settore dei trasporti, già fortemente esposto alla volatilità dei carburanti, sarebbe tra i più colpiti, insieme all’agricoltura e all’intera logistica. Nel dettaglio, l’attacco israeliano in Iran potrebbe costare fino a 300mila euro l’anno a una flotta media di 50 camion in Italia. Secondo l’analisi dell’associazione, una compressione dei profitti o un aumento dei costi di trasporto appare inevitabile, con effetti a catena su logistica, prezzi al consumo e competitività. Anche la logistica marittima e aerea subisce pressioni, con rincari del 5-10% nei costi di spedizione, mentre le imprese di autotrasporto chiedono interventi urgenti, come sgravi fiscali sui carburanti o incentivi per flotte a basso impatto. Il rischio concreto è che i rincari si trasferiscano sui prezzi finali, comprimendo i consumi interni e frenando una crescita economica italiana già debole nel 2025.

I settori più a rischio

La crisi energetica legata al conflitto in Medio Oriente arriva in un contesto fragile: l’Italia importa oltre il 90% del gas e il 95% del petrolio, con ricadute immediate sui costi dell’elettricità – dipendente per il 40% dal gas – e su tutti i settori energivori, ma è il comparto trasporti a rappresentare la prima linea del rischio industriale, specie per un paese orientato all’export come l’Italia.  Anche la logistica marittima e aerea risente dell’incertezza, con possibili rincari del 5-10% nei costi di spedizione, che pesano sulle catene di approvvigionamento di beni importati ed esportati. Con la domanda interna fragile, queste pressioni corrono il rischio di rallentare la competitività delle imprese italiane, già sfidate da costi energetici elevati, rendendo urgenti misure come sgravi fiscali sui carburanti o incentivi per flotte a basso impatto energetico. Ne conseguirebbero effetti a cascata sui costi logistici e sui prezzi finali dei beni: anche le famiglie italiane, già alle prese con un potere d’acquisto eroso, potrebbero ridurre i consumi, deprimendo la domanda interna e rallentando ulteriormente la crescita economica, prevista già anemica per il 2025.

Nonostante la gravità di questi rischi, esistono fattori che potrebbero mitigare l’impatto: “L’Italia – conclude l’analisi di Unimpresa – ha diversificato le sue fonti di approvvigionamento negli ultimi anni, aumentando le importazioni di gas liquefatto da Stati Uniti e Qatar e rafforzando i flussi attraverso gasdotti come il TAP. Le riserve strategiche di gas, riempite al 90% secondo i dati più recenti, offrono un cuscino per affrontare eventuali shock temporanei. Inoltre, il governo potrebbe intervenire con misure di sostegno, come sgravi fiscali sulle bollette o tetti ai prezzi dell’energia, come fatto durante la crisi energetica del 2022. Tuttavia, tali interventi peserebbero sul bilancio pubblico, già gravato da un debito elevato”.

Fonte: Today.it

 

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