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Magneti Marelli accede al “Chapter 11”. Cosa ne sarà dei


La richiesta di accesso al Chapter 11 da parte di Magneti Marelli è l’ennesima tappa di un percorso che non riguarda solo una singola azienda, ma l’intero sistema industriale italiano legato all’automotive.

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L’istanza, formalizzata lo scorso 11 giugno presso il tribunale del Delaware, negli Stati Uniti, segna uno spartiacque nella storia di un gruppo simbolo dell’eccellenza manifatturiera torinese e nazionale. Nata nel 1919 per iniziativa di Giovanni Agnelli ed Ercole Marelli, Marelli è stata per decenni parte dell’orbita Fiat, prima di essere ceduta nel 2019 da FCA al gruppo giapponese Calsonic Kansei, oggi controllato dal fondo americano KKR.

Un’operazione da 6,2 miliardi di euro che avrebbe dovuto consolidare il posizionamento globale del marchio ma che, a conti fatti, ha esposto l’azienda a una spirale di difficoltà culminata con l’attuale situazione debitoria superiore ai 4 miliardi di euro.

Cosa significa

La procedura di Chapter 11, prevista dal diritto fallimentare statunitense, consente alle imprese in difficoltà di ristrutturare il debito mantenendo le attività operative.

In questo caso, secondo fonti interne, l’80% dei creditori avrebbe già espresso parere favorevole a un piano di riorganizzazione che prevede l’ingresso di nuova liquidità e l’avvio di una possibile cessione del perimetro aziendale, con trattative in corso con il gruppo indiano Motherson, già leader mondiale nella componentistica.

Ma la notizia dell’istanza ha un impatto che va oltre i bilanci. Per Torino e per il Piemonte, Marelli rappresenta una delle poche realtà industriali ancora radicate in un territorio che ha visto via via spegnersi quasi tutte le sue fabbriche simbolo: Te Connectivity a Collegno ha chiuso definitivamente pochi giorni fa; Magna ha annunciato la delocalizzazione da Rivoli; le Officine Vica sono passate sotto controllo cinese; e il sito Lear di Grugliasco attende da tempo una reindustrializzazione che non arriva.

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La sola Marelli conta circa 6.000 dipendenti in Italia, di cui 1.600 nel torinese, distribuiti tra i due stabilimenti di Venaria e il centro di ricerca e sviluppo, uno dei poli storici dell’innovazione automobilistica nazionale.

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La situazione preoccupa profondamente i sindacati, che hanno chiesto e ottenuto un primo incontro con l’azienda. Ma l’attenzione si concentra ora sull’appuntamento del 19 giugno al Ministero delle Imprese e del Made in Italy, dove si auspica l’apertura di un tavolo istituzionale permanente.

Le organizzazioni sindacali – Fim, Fiom, Uilm, Fismic, Uglm e Aqcfr – chiedono un intervento diretto del governo, temendo che senza una regia pubblica si vada verso una progressiva disgregazione del settore.

Secondo Toni Inserra, segretario della Fiom torinese, l’emergenza Marelli è solo l’ultima manifestazione di una crisi sistemica. A suo giudizio, Stellantis. che resta il principale cliente di molti fornitori locali, Marelli compresa. sta operando una strategia industriale che penalizza gli stabilimenti italiani e la filiera nazionale.

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Il rischio, sempre più concreto, è che il Piemonte automobilistico perda in modo irreversibile la sua centralità produttiva. La conferma viene anche dai numeri: secondo l’Unione Industriale di Torino, negli ultimi 15 anni la forza lavoro dell’indotto è scesa di oltre il 50%, e le recenti trasformazioni tecnologiche imposte dalla transizione elettrica rischiano di accelerare ulteriormente l’erosione dell’occupazione.

Sul piano operativo, Marelli non ha ancora comunicato se vi saranno tagli o ristrutturazioni nei siti italiani. 

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