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nel 98% dei casi il punto debole è ancora il fattore umano. Lo studio – Inhousecommunity


Nel 98% dei casi investigati nel 2024, le minacce alla sicurezza aziendale sono dipese direttamente dal personale interno. È quanto emerge dall’analisi condotta da Excursus Group, società attiva nella corporate intelligence, su 52 casi reali verificatisi nei settori della GDO, logistica, trasporti, industria e servizi.

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Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, solo il 2% degli attacchi analizzati ha avuto origine esclusivamente dall’esterno, tramite ransomware o exploit informatici. La restante parte si divide tra attacchi esterni agevolati da comportamenti umani (53%) e minacce originate interamente all’interno (45%), come furti di dati, frodi e sabotaggi.

“Il vero tallone d’Achille delle aziende non è la tecnologia, ma il fattore umano – commenta Giuseppe Strollo (in foto), CEO di Excursus Group -. Eppure, la corsa alla digitalizzazione spesso ignora la componente più imprevedibile e vulnerabile: le persone.”

I numeri che preoccupano

L’analisi di Excursus Group su 52 casi investigati nel 2024 mostra una realtà allarmante: nel 98% degli attacchi analizzati, il personale aziendale ha avuto un ruolo, diretto o indiretto, nell’attivazione o nella riuscita della minaccia.

Suddivisione dei casi:

  • 53% – Attacchi esterni favoriti da comportamenti interni: il personale, spesso inconsapevolmente, agevola l’attacco tramite phishing, ingegneria sociale o errori operativi;
  • 45% – Minacce generate dall’interno: azioni dolose compiute da dipendenti o collaboratori, come furti di informazioni, frodi o sabotaggi;
  • 2% – Attacchi esterni “puri”: condotti esclusivamente da attori esterni, senza alcun coinvolgimento del personale (es. ransomware, exploit).

Dove e come colpisce il rischio interno: numeri e profili delle aziende

Le aziende coinvolte nei 52 casi analizzati sono distribuite su tutto il territorio nazionale, con una leggera prevalenza nel Centro-Nord (63%), dove si concentra una parte significativa del tessuto produttivo nazionale, ma con una presenza rilevante anche nel Sud e nelle Isole (37%), segno che il rischio legato al fattore umano è trasversale a ogni area geografica e settore.

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Nel loro insieme, queste imprese rappresentano un volume d’affari stimato oltre i 7 miliardi di euro complessivi, con una forza lavoro superiore a 42.000 dipendenti. Si tratta in prevalenza di medie e grandi aziende, fortemente esposte ai rischi reputazionali, economici e operativi derivanti da vulnerabilità interne.

La risposta: intelligence, formazione e HUMINT

Per Excursus Group la soluzione non è solo tecnologica, ma ibrida: unire cyberintelligence, sicurezza fisica e HUMINT (intelligence umana). Investendo oltre il 15% del proprio fatturato annuo (circa 2 milioni di Euro) in ricerca e sviluppo, l’azienda punta su intelligenza artificiale, analisi predittiva e monitoraggio della supply chain, senza dimenticare l’indispensabile contributo umano.

 “La tecnologia senza l’uomo è cieca. – spiega Strollo – Anche nei contesti più avanzati, come le operazioni di sicurezza nazionale in aree di conflitto, la differenza la fa ancora l’HUMINT. Nel conflitto israelo-palestinese ad esempio, nonostante l’impiego di tecnologie all’avanguardia: droni, software di analisi predittiva, cyber intelligence e sistemi automatizzati di sorveglianza; è il fattore umano a fare la differenza. Senza informatori sul campo e senza la comprensione del contesto, molti sistemi tecnologici rimarrebbero inutilizzati o peggio, condurrebbero ad analisi errate. Le informazioni fornite da infiltrati e fonti umane hanno consentito, ad esempio, di orchestrare esplosioni simultanee di dispositivi elettronici in uso ai militanti di Hezbollah”.

Un impatto diretto sui profitti aziendali

Nella grande distribuzione italiana, le perdite inventariali valgono in media l’1,5% del fatturato – miliardi di euro ogni anno. L’introduzione di soluzioni investigative e di intelligence consente alle aziende di recuperare fino al 20% delle inefficienze e ottenere un ROI in meno di 12 mesi, aumentando competitività e resilienza.

“Investire in corporate intelligence oggi non è un costo, ma una leva di crescita strategica – conclude Strollo -. Chi sa prevenire i rischi, è già un passo avanti nel mercato”.



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