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Istat: a rischio il ricambio generazionale | istat


Il presidente dell’Istat Francesco Maria Chelli – in una intervista a La Stampa – fotografa l’impatto dell’inverno demografico sul sistema economico: «L’invecchiamento e il rischio di mancato ricambio generazionale riguarda il 30 per cento delle imprese, si tratta in larga parte di micro-attività». In molti casi, sottolinea, il pensionamento del titolare determina una chiusura dell’attività: «Esce dal mercato non solo un lavoratore ma anche un datore». Le imprese più piccole sono spesso anche quelle caratterizzate da bassa scolarità e meno orientate all’innovazione, come succede nel commercio, nella manifattura con poca tecnologia e nei servizi alla persona.

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Qui «l’età media degli occupati è più alta rispetto alla media generale, che è attorno ai 45 anni». I giovani risultano più occupati «nelle attività nuove e più dinamiche: nel 2022 gli occupati sotto i 35 anni raggiungevano il 36 per cento nelle imprese con meno di 5 anni, a loro volta più frequentemente gestite da imprenditori giovani, e fino a quasi il 40 per cento nelle attività dei servizi ad alta tecnologia. Sono proprio queste le imprese innovatrici e più digitali, dove il capitale umano qualificato sotto i 35 anni si è rivelato un elemento cruciale».

Il presidente osserva che «l’Italia è un Paese attrattivo per gli stranieri. E l’immigrazione compensa in parte il deficit dovuto alla dinamica naturale negativa ormai da lunghi anni. Nel 2024 le immigrazioni dall’estero — 435 mila — sono state più del doppio delle emigrazioni, generando un saldo migratorio positivo di 244 mila unità. I cittadini stranieri che nel 2024 hanno trasferito la loro residenza nel nostro Paese sono stati 382 mila, l’1 per cento in più sul 2023» Detto questo, «la quota degli stranieri residenti in percentuale sulla popolazione in Italia è attorno all’11 per cento, contro più del 20 per cento in Germania, il 18 in Spagna o il 13-14 in Francia». Centomila giovani laureati hanno lasciato l’Italia: «Le cause sono tante e complesse. E si sono cumulate negli anni: circa 97 mila laureati di cittadinanza italiana, che hanno lasciato il Paese nel corso dell’ultimo decennio, al netto dei rientri, sono un significativo deficit di capitale umano qualificato. Segnalo con preoccupazione che il 2023 si è contraddistinto per un nuovo slancio degli espatri di giovani laureati tra i 25 e i 34 anni: se ne contano 21 mila (+ 21,2 per cento), un livello senza precedenti da quando si monitorano i flussi di capitale umano qualificato in uscita».

Contestualmente, si registra «una contrazione dei rientri in patria di giovani laureati, scesi a 6mila (-4,1 per cento rispetto al 2022). Ne deriva una perdita netta di poco più 15 mila giovani risorse qualificate di cittadinanza italiana». E’ una perdita davvero significativa: «Lo è senz’altro. Ma attenzione, c’è un ulteriore aspetto rilevante che riguarda il capitale umano. Se consideriamo infatti i giovani in possesso di un titolo di studio terziario, il saldo tra stranieri in entrata e italiani in uscita è positivo ed a favore dell’Italia». La premier Giorgia Meloni ha detto che da quando è in carica il suo governo il potere d’acquisto è aumentato: «La straordinaria crescita dei prezzi al consumo osservata dalla seconda metà del 2021 ha determinato un’importante perdita del potere di acquisto delle retribuzioni; solo a partire dal quarto trimestre 2023 si è osservato un progressivo recupero» conclude Chelli.



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