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L’adozione dell’Intelligenza Artificiale passa da quattro fattori abilitanti


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A cura di Roberto Carrozzo, Head of Intelligence & Data di Minsait in Italia

L’Intelligenza Artificiale è entrata nelle imprese italiane: si moltiplicano le sperimentazioni, crescono le applicazioni operative, aumenta l’interesse. Ma il vero salto non si misura dal numero di progetti avviati, bensì dalla capacità di renderli sistemici, scalabili, integrati. Perché questo accada, servono basi solide: digitalizzazione, infrastrutture, competenze e una governance normativa chiara. È su questi fattori abilitanti che si gioca oggi la possibilità di trasformare l’adozione in impatto.

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Secondo il rapporto “Lo stato dell’arte dell’Intelligenza Artificiale nelle aziende italiane”, realizzato da Minsait in collaborazione con The European House – Ambrosetti, il 38,2% delle imprese ha già avviato percorsi concreti di sperimentazione o implementazione dell’IA e il 25% prevede di farlo nel prossimo futuro. È un dato incoraggiante, che conferma l’avvio di una traiettoria positiva. Tuttavia, solo il 21% delle aziende si trova oggi in una fase di implementazione estesa. Il resto si muove tra esplorazioni locali e iniziative tattiche. In questo contesto, i quattro fattori abilitanti diventano decisivi: non solo per accelerare, ma per dare profondità e direzione al cambiamento.

Il primo abilitatore è quello della digitalizzazione, dove l’Italia evidenzia un ritardo significativo. Solo il 3,9% delle imprese italiane risulta altamente digitalizzato secondo il Digital Intensity Index elaborato dalla Commissione Europea, uno dei dati più bassi in Europa. Il nostro Paese si colloca 3,3 punti sotto la media dell’UE27 e ben lontano da economie come la Finlandia (19,6%) o la Danimarca (18,1%). Ancora più critico è il dato sull’adozione dell’IA: solo l’8,2% delle aziende italiane dichiara di utilizzare soluzioni basate sull’intelligenza artificiale, contro una media UE del 13,5%, con picchi del 23,1% nei Paesi Bassi e del 19,8% in Germania. È un segnale che va letto chiaramente: senza un’accelerazione sulla maturità digitale delle imprese, l’IA rischia di rimanere una tecnologia per pochi.

Il secondo pilastro è quello delle infrastrutture. Solo il 17,1% delle imprese intervistate ritiene di avere infrastrutture digitali adeguate a sostenere iniziative strutturate. È anche per questo che quasi il 60% delle aziende si affida a soluzioni pronte all’uso, mentre solo il 10,4% personalizza gli strumenti sui propri dati.

Il terzo fattore è forse il più critico: le competenze. Solo il 19,5% delle aziende dichiara di disporre delle skill necessarie, e il 50% segnala una scarsità di know-how disponibile sul mercato. All’interno delle organizzazioni, l’attenzione resta rivolta quasi esclusivamente alle hard skill, in particolare all’analisi e gestione dei dati (71,3%), seguite da programmazione, etica e normativa sull’IA e machine learning.

Infine, sul fronte normativo emergono segnali contrastanti. Se oltre il 70% delle imprese italiane interpreta l’AI Act come un’opportunità per rafforzare governance e trasparenza, più della metà (56,6%) non ha ancora avviato alcuna iniziativa concreta per adeguarsi. La principale barriera non è la complessità regolatoria, ma la mancanza di competenze: il 40,4% segnala la necessità di formazione specifica.

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L’adozione è partita, ma resta frammentata. Il potenziale c’è, le imprese lo riconoscono e si stanno muovendo. Ora serve un salto di qualità. Senza una strategia chiara su digitalizzazione, infrastrutture, competenze e compliance normativa, l’IA rischia di restare confinata a sperimentazioni isolate. È su questi abilitatori che si gioca la vera trasformazione.





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