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L’innovazione langue in Italia per carenza di risorse e di strategia


Un interessante approfondimento contenuto nell’ultima relazione annuale di Bankitalia consente di sfatare alcuni luoghi comuni sulla qualità della ricerca e dell’innovazione nel nostro paese, ma ne conferma purtroppo altri. Uno per tutti: la quantità di risorse che destiniamo alla ricerca e all’innovazione è molto ridotta, rispetto ai nostri analoghi europei, e abbiamo anche una certa carenza di strategia nel loro utilizzo.

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Queste lacune storiche si affiancano ad alcuni punti di forza, che però scontano un certo ritardo nel nostro cammino verso l’innovazione.
 

A fianco di un numero crescente di pubblicazioni STEM, quindi di materie scientifiche e matematiche, che testimoniano della qualità e quantità della nostra ricerca universitaria, si osserva (grafico sopra) che i nostri brevetti, che non sono numerosissimi, si concentrano su settori molto tradizionali, in particolare tecnologie logistiche e mezzi di trasporto. Siamo ancora molto concentrati sull’automotive, insomma, nelle sue diverse sfumature, quando il resto del mondo brevetta sempre più soluzioni innovative nei settori della tecnologia informatica, medica o i sistemi di comunicazione digitale.

Sulle pubblicazioni STEM, il grafico sotto ci comunica che siamo cresciuti molto e abbiamo superato i nostri principali paesi europei assimilabili. bankitalia pubblicazioni stemOrmai siamo vicini alla Germania e abbiamo superato di gran lunga la Francia. Questo buon risultato è stato ottenuto in un contesto di risorse pubbliche dedicate alle università (lo 0,6% del pil) che è la metà di quello che spendono la Francia e la Germania. Solo che facciamo fatica a trasformare le ricerche in brevetti. Siamo bravi nella teoria, ma meno nella pratica: il numero dei brevetti presentati da Francia e Germania era rispettivamente il doppio e il quintuplo di quelli italiani. Quindi abbiamo meno brevetti e più concentrati sui settori tradizionali.

Se ci spostiamo nel settore privato, anche qui si registra un certo ritardo, figlio della scarsa spesa in ricerca e sviluppo che pesa appena lo 0,76% del pil, la metà della media Ue. SE ci confrontiamo con i giganti fuori dall’UE il dato è ancora più sconfortante: il settore privato della Corea del Sud investe in ricerca e sviluppo il 3,9% del pil. Giappone e Usa il 2,7%. Ne risulta una scarsa presenza di aziende italiane fra le aziende leader nell’innovazione: nel 2023, nota Bankitalia, la prima impresa italiana per spesa di ricerca era al 46esimo posto nell’Unione europea.

Nel settore pubblico, il divario nella spesa per la ricerca è meno pronunciato ma è comunque rilevante. A livello europeo, fra il 2000 e il 2020più della metà delle domande di brevetto a livello universitario è stata presentata da atenei che hanno registrato complessivamente 250 brevetti. Queste università sono il 4,5% delle università europee e solo una università italiana si trova fra queste, mentre in Germania, Francia e Regno Unito sono 12, 15 e 4.

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Per giunta, le università italiane faticano a trasferire i frutti delle loro innovazioni alle imprese. Negli istituti sono presenti gli Uffici di trasferimento tecnologico (UTT) ma sono di dimensioni ridotte, sottofinanziate e con poco personale, il 20% in meno della media Ue. Anche qui, insomma, si sconta una certa fragilità sistemica. che dipende dal fatto che “la strategia di sostegno pubblico all’innovazione soffre di un’elevata frammentazione, sia a livello centrale tra i diversi dicasteri sia a livello di governo.

E poi ci sono le regioni, destinatarie di fondi europei anche rilevanti che spesso duplicano con le loro iniziative quelle di carattere nazionale ed europeo. Insomma: andiamo lenti, nell’innovazione, e siamo anche un po’ confusi sulla direzione e su come arrivarci. Welcome to Italy.

Maurizio Sgroi
giornalista socioeconomico
autore del libro “La storia della ricchezza”
coautore del libro “Il ritmo della libertà”
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