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Perché le Start-up italiane devono guardare oltreconfine (e non da sole) di Alessandra D’Amato editor in chief Startup Magazine – StartUp Magazine


Di fronte a un mercato interno sempre più competitivo, l’internazionalizzazione non è più una scelta opzionale ma una vera e propria necessità. Sono 120.876 le imprese italiane che esportano all’estero, secondo Unioncamere. Eppure, ce ne sono almeno altre 17.000 che, pur avendone tutte le carte in regola, non riescono a varcare con decisione i confini nazionali. Perché? Perché manca il supporto giusto.

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In un contesto globale che cambia velocemente, tra instabilità geopolitica, digitalizzazione, nuovi mercati emergenti e una crescente regionalizzazione degli scambi – non basta produrre eccellenza. Bisogna anche saperla vendere fuori dai confini, raccontarla al mondo, piazzarla sulle giuste piattaforme e nei mercati strategici. Ed è qui che entra in gioco il ruolo vitale delle aziende che offrono servizi di internazionalizzazione.

Start-up e PMI: i nuovi protagonisti del Made in Italy all’estero

Le start-up, in particolare, rappresentano oggi una parte essenziale del tessuto produttivo italiano. Sono spesso realtà agili, innovative, con un forte orientamento tecnologico. E proprio per questo, potenzialmente pronte ad affrontare i mercati globali. Ma la loro dimensione ridotta, le risorse limitate e la mancanza di competenze specifiche spesso le rendono vulnerabili. E, troppo spesso, ferme al palo.

Amazon lo dimostra con numeri concreti: nel 2024, le imprese italiane che vendono sul marketplace hanno generato 3,8 miliardi di euro di vendite all’estero. Non è solo una questione di canale: è un ecosistema costruito in 10 anni di investimenti nel Made in Italy, con oltre 5.500 aziende italiane supportate, più di 3 milioni di prodotti esportati in undici Paesi e iniziative congiunte con Agenzia ICE per promuovere la qualità italiana nel mondo.

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Per quelle 17.000 imprese “potenzialmente esportatrici”, il salto di qualità passa necessariamente da un accompagnamento mirato. Aziende che offrono servizi di internazionalizzazione – consulenza strategica, supporto logistico, marketing digitale, assistenza normativa – diventano partner imprescindibili.

Ne è esempio il lavoro di SIMEST, braccio operativo del Gruppo Cassa Depositi e Prestiti. Con nuovi strumenti finanziari dal valore di oltre 1 miliardo di euro, la società ha rilanciato il “Piano d’Azione per l’Export”, focalizzandosi su mercati in crescita come Africa e America Latina. Fondi agevolati, investimenti in equity, formazione del personale, supporto alle imprese energivore: mai come oggi c’è un ventaglio così ampio di opportunità, anche per chi parte da zero.

E la priorità è chiara: allargare la base delle imprese esportatrici, coinvolgendo soprattutto quelle realtà più piccole, spesso escluse dai percorsi istituzionali.

Il digitale come alleato (e l’intelligenza artificiale come acceleratore)

L’internazionalizzazione passa anche – e sempre di più – dalla trasformazione digitale. Non è solo un tema tecnologico, è un cambio di mentalità. E le imprese italiane, a giudicare dai numeri, lo hanno capito: nel 2024 il 79% ha investito nella digitalizzazione dei processi export, e già il 18% utilizza l’intelligenza artificiale per supportare le vendite all’estero.

L’IA viene usata per generare contenuti personalizzati, analizzare i dati di mercato, gestire i prezzi dinamici e persino garantire un servizio clienti H24 tramite chatbot. Si tratta di strumenti fondamentali per le start-up che vogliono crescere in fretta e competere con realtà internazionali ben strutturate.

Dal potenziale all’azione: un’opportunità da non sprecare

Il rapporto Unioncamere evidenzia che solo 1.600 delle aziende emergenti italiane esportano negli Stati Uniti. Ma due su tre lo fanno esclusivamente in quel mercato. Questo dato mostra quanto spesso manchi una strategia più ampia e diversificata. Eppure, il potenziale c’è: nel solo settore manifatturiero, il 46,8% delle aspiranti esportatrici italiane è pronto a internazionalizzarsi.

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Con l’aiuto di partner esperti, queste imprese possono trasformarsi da “aspiranti” a protagoniste dell’export. Servono percorsi su misura, formazione continua, strumenti finanziari e digitali. Ma soprattutto serve un cambio di approccio: l’export non è un colpo di fortuna, è una competenza da costruire.

Un sistema-Paese che funziona quando lavora insieme

La sinergia tra pubblico e privato, come quella tra Amazon e ICE, tra SIMEST e le PMI, tra le Camere di Commercio e Promos Italia, rappresenta un modello vincente. È un esempio concreto di come si possa (e si debba) costruire un ecosistema in cui anche la più piccola impresa possa trovare il proprio spazio nel mondo.

L’Italia ha una delle culture produttive più ricche e apprezzate al mondo. Ma senza strutture di supporto, molte di queste eccellenze restano invisibili. Accompagnare le aziende, specialmente le start-up, in un percorso di export solido, strategico e sostenibile è la vera chiave per trasformare il Made in Italy in un brand globale, e non solo in un’etichetta nostalgica.

Alessandra D’Amato

Editor in Chief Startup Magazine

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