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Appalti, la Consulta boccia un articolo


Tornando alla sentenza odierna, la norma  della Provincia, secondo i giudici costituzionali, ledeva i principi di trasparenza, parità di trattamento e concorrenza, sanciti dalla Costituzione e dal diritto europeo. “La disposizione impugnata – scrive la Corte – introduce un’irragionevole disparità di trattamento tra i concorrenti, rendendo non comparabili le offerte e ostacolando la verifica della loro attendibilità.”

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Il ricorso era stato presentato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, su impulso dell’Avvocatura dello Stato, che aveva evidenziato come la norma provinciale si ponesse in contrasto con l’art. 117 della Costituzione, che riserva allo Stato la competenza esclusiva in materia di tutela della concorrenza.

La Corte ha accolto pienamente questa impostazione, sottolineando che “l’obbligo di indicare i costi della manodopera e della sicurezza non è un mero adempimento formale, ma un elemento essenziale per garantire la correttezza e la trasparenza delle gare.” In altre parole, se solo il primo classificato è tenuto a fornire questi dati,non è possibile effettuare un confronto equo tra le offerte, né valutare correttamente la loro congruità.

Ma perché la Provincia aveva attuato una misura così apparentemente difficile da comprendere? Palazzo Widmann presentava il tutto come una norma di semplificazione e accelerazione delle procedure di aggiudicazione,  ma la Consulta osserva che “la spettanza allo Stato del potere di definire legislativamente il punto di equilibrio tra la tutela della concorrenza e la tutela di altri interessi pubblici, al fine di garantire uniformità di disciplina su tutto il territorio nazionale, non vale solo per gli interessi sottesi alla tutela dei lavoratori, ma anche con riguardo a eventuali finalità di semplificazione procedimentale, poiché le scelte operate in tale ambito implicano ‘un delicato bilanciamento fra le esigenze di semplificazione e snellimento delle procedure di gara e quelle, fondamentali, di tutela della concorrenza, della trasparenza e della legalità delle medesime procedure, […] quale garanzia di uniformità della disciplina su tutto il territorio nazionale’» (sentenza n. 39 del 2020, richiamata dalla sentenza n. 23 del 2022).

Secondo i giudici “la norma provinciale altera il corretto svolgimento della gara, perché consente a tutti i concorrenti, tranne uno, di non esplicitare voci di costo fondamentali”. E ancora: “La trasparenza e la parità di condizioni tra i partecipanti sono condizioni imprescindibili per la legittimità delle procedure di affidamento.”

In sintesi, per i giudici, “spetta esclusivamente allo Stato, nell’esercizio della sua competenza ex art. 117, secondo comma, lettera e), definire sul piano legislativo il punto di equilibrio tra la tutela della concorrenza e la tutela di altri interessi pubblici con essa interferenti), come quelli sottesi al raggiungimento di “obiettivi di politica sociale […], di tutela dei lavoratori, di sostegno al reddito e alle imprese”.

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La decisione della Corte avrà come sempre effetti immediati: la norma provinciale non potrà più essere applicata, e la Provincia di Bolzano dovrà adeguare la propria legislazione in materia di appalti. Possibili anche ripercussioni su gare già bandite o in corso, che potrebbero essere oggetto di ricorsi o richieste di annullamento.



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