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Marelli, i 6.000 dipendenti e le incognite della ristrutturazione del debito: il ministro Urso evoca la Golden Power


di
Alessandra testa

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Marelli ha avviato da una settimana il cosiddetto Chapter 11 che negli Stati Uniti, dove ha sede la holding, indica una procedura di ristrutturazione del debito, che supera i 4 miliardi di euro. Sono 570 i lavoratori alla storica Weber di via Timavo a Bologna: l’ansia dei sindacati e le incertezze

Marelli ha avviato da una settimana il cosiddetto Chapter 11 che negli Stati Uniti, dove ha sede la holding, indica una procedura di ristrutturazione del debito, che supera i 4 miliardi di euro. 

L’obiettivo dell’ex gioiello della componentistica Fiat è mantenere la continuità operativa e salvaguardare l’occupazione, probabilmente tramite il passaggio di proprietà dal fondo Kkr, che solo pochi anni fa si era liberato della fabbrica di Crevalcore, agli indiani della Samvardhana Motherson International che, nello stesso settore, vanta un fatturato di 12 miliardi.




















































A rischio ci sono seimila dipendenti italiani, di cui 570 alla storica Weber di via Timavo a Bologna, dove è ubicato il reparto ricerca e sviluppo del gruppo da tempo sottoposto a procedure di uscite volontarie e cassa integrazione. 

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Per evitare il peggio al tavolo di salvaguardia che si è riunito a Roma il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso ha annunciato un possibile ricorso al golden power, lo strumento normativo che consente al governo di condizionare operazioni in settori strategici, bloccando o imponendo condizioni in caso di fusioni o cessioni. «Siamo attenti e vigili — ha assicurato —, ben consapevoli del valore strategico dell’azienda. 

Possiamo agire su tre fronti: esercitare una moral suasion per garantire continuità alle commesse, sensibilizzare eventuali attori industriali a partecipare alla procedura americana e valutare l’uso del golden power, che ci consentirebbe di tutelare l’operatività dell’azienda».

«La procedura – ha chiarito Urso – è statunitense e riguarda un’azienda ceduta nel 2018 a un fondo straniero, senza che il governo di allora ritenesse di chiedere specifiche garanzie».

Al tavolo è stata esaminata la situazione industriale e finanziaria, in particolare dei siti di Caivano, Sulmona e Melfi, e ribadita la necessità di garantire un presidio industriale e occupazionale. A meno di offerte di acquisizione entro 45 giorni, la proprietà si trasferirà automaticamente da Kkr ai creditori, capitanati dal fondo Strategic Value Partners. 

«Abbiamo chiesto al ministero di seguire la situazione con attenzione al rapporto con il principale cliente italiano di Marelli: Stellantis — rafforzano i sindacati Fim, Fiom, Uilm, Fismic, Uglm e Aqcfr —. Marelli è il più importante produttore italiano di componenti per auto ed è stata investita appieno dalla crisi europea dell’automotive; crisi accentuata da una transizione mal gestita. Esprimiamo forte preoccupazione, determinati a contrastare con tutte le forze eventuali chiusure e licenziamenti. Il governo deve attivarsi per individuare e promuovere l’arrivo di un solido soggetto industriale nazionale ed in mancanza di esso non escludere la possibilità dell’ingresso dello Stato nella compagine societaria. Apriremo lo stato di agitazione».

Sulla situazione bolognese il leader Fim, Massimo Mazzeo, rassicura: «La proprietà ha informato che attività, investimenti e stipendi sono garantiti». 

In allerta le istituzioni. L’assessore regionale al Lavoro Giovanni Paglia vede troppe incognite: «L’avvio della ristrutturazione del debito può non essere in sé così preoccupante. Il problema è che col passaggio da Kkr a Strategic Value Partners possono configurarsi atteggiamenti più aggressivi e diversificati sugli asset strategici. È fondamentale un approccio forte da parte del governo. Marelli è un grande patrimonio del nostro Paese, non possiamo permettere che venga messo a rischio da operazioni di ingegneria finanziaria».

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