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Parità di genere in azienda, segnali positivi e sorprese. Ma Milano è dietro a Roma


di
Giampiero Rossi

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La certificazione sulla parità di genere si basa su una trentina di parametri relativi a diversi ambiti della vita aziendale. Nell’area milanese risultano certificate 28,5 aziende ogni 10 mila, in Lombardia 2,2 su 10 mila

La conferma: sulla parità di genere nelle aziende c’è ancora parecchio da fare. La buona notizia: nell’ultimo anno, complici alcuni incentivi, c’è stata una forte accelerazione. Le sorprese: Milano e la Lombardia non sono i territori leader, e il settore che si sta adeguando più rapidamente non è tra quelli più tipicamente femminili: le costruzioni.
È questo il quadro che affiora dallo studio condotto dall’osservatorio del Winning women institute (Wwi), società di consulenza specializzata nella promozione della parità di genere e dell’inclusione. Partendo dai dati forniti da Acredia (cioè l’ente nazionale che governa le certificazioni) e dal sistema camerale, l’analisi territoriale rivela che, con 1.622 aziende certificate (22,2 ogni 10 mila), la Lombardia è ben al di sopra della media nazionale (15,5), ma è al terzo posto, dopo Lazio (per la densità di soggetti pubblici) e Trentino Alto Adige. Ancora più sorprendente è il posizionamento di Milano (281 imprese certificate, cioè 28,5 su 10 mila), terza dopo Roma (36,6) e Bari (28,5) e incalzata da Isernia (27). 

I numeri dicono che la strada «verso un sistema imprenditoriale inclusivo e paritario è ancora lungo — osserva Maurizio Mosca, responsabile della certificazione e della formazione di Wwi — ma siamo già arrivati oltre gli obiettivi fissati dal Pnrr». Tra i motivi di questa accelerazione c’è l’introduzione di un meccanismo premiale per le aziende certificate che partecipano alle gare d’appalto, e questo spiega perché l’edilizia guidi la classifica, con il 22.7% per cento di aziende certificate (quasi una su quattro), sebbene non sia tra quelli con la più alta presenza di donne. I parametri (una trentina) su cui si basa l’analisi, infatti, sono molto articolati, con un peso specifico importante delle retribuzioni e della partecipazione al potere decisionale delle donne in azienda. Al secondo posto c’è la manifattura (17%), e all’ultimo posto (6,6%) si trovano le attività per la salute e l’assistenza, dove viceversa la presenza femminile è più rilevante. «Si tratta in netta prevalenza di aziende di grandi dimensioni — sottolinea ancora Mosca — che sono più strutturate e che investono su queste tematiche per motivi di reputazione ma anche perché considerano la parità di genere integrata al loro business, ne fanno quindi un valore anche in termini strategici». Ma va detto che, in Lombardia, hanno scelto di farsi certificare anche 545 piccole imprese e 177 microaziende, rispettivamente il 33% e l’11 per cento del totale.




















































Ma va anche detto che, quando si tratta di fare altri conteggi, quelli relativi alle buste paga, le pari opportunità sembrano molto lontane anche in un territorio come quello milanese. Nel marzo scorso, la Cgil ha infatti aggiornato il raffronto della paga media lorda giornaliera, con risultati eloquenti: nel 2023, le operaie hanno guadagnato mediamente 58 euro al giorno contro gli 84 dei colleghi maschi, le impiegate 103 contro 132, tra i quadri la differenza è di 234 a 263 euro, e anche tra i manager una donna guadagna meno: 516 euro contro i 656 dei maschi.

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