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“Credito e imprese, la crisi non è più un epilogo”, le parole degli esperti a confronto a Palermo


Tavola rotonda lo scorso fine settimana a Palermo per discutere delle opportunità di rientro delle aziende indebitate. Il QdS presente come media partner dell’evento

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PALERMO – La Sicilia era un paradiso fiscale e non lo sapeva. Questa una delle battute in apertura della due giorni palermitana di convegno a Villa Airoldi intitolato “Tutela del credito e regolazione della crisi: i nuovi scenari”. Il riferimento è al metodo improntato su procedure che tutelavano maggiormente l’impresa debitrice che Riscossione Sicilia poneva in essere, a differenza della più radicale Agenzia delle Entrate e Riscossione.

Le ormai note “rottamazioni” delle cartelle esattoriali avranno presto o tardi una fine che si prevede imposta dall’Unione europea, e in particolare in Sicilia – il cui tessuto produttivo è composto in massima parte da piccole e medie imprese – potrebbe arrivare stangate devastanti la dove le imprese sono ancora in grado di rientrare da un sovraindebitamento non necessariamente frutto di condotte scellerate o peggio premeditate.

La tutela della crisi quindi interviene per gli imprenditori, per i lavoratori, per i creditori

La pandemia è un fulgido esempio di come piccole aziende, causa forza maggiore, malgrado il decreto ristori che può averne permesso la sopravvivenza se pur precaria, possono aver accumulato debiti difficili di abbattere. La tutela della crisi quindi interviene per gli imprenditori, per i lavoratori, per i creditori che sono imprese a loro volta esposte ad alto rischio di insolvenza, per il fisco che rischia di dover dire addio a fondi irrecuperabili per un complessivo nazionale di circa seicento miliardi di euro.

Gli ultimi aggiornamenti normativi al Diritto della crisi risalgono al decreto legislativo 136 del 13 settembre 2024. Il testo aggiornato è comunque un volume parecchio articolato, e i professionisti che lo consultano perché specialisti del settore delle crisi d’impresa, un tempo detti “fallimenti”, sono diversi ed abbracciano diversi settori. Ci sono i giudici, gli avvocati, i notai, i commercialisti e accademici che devono trovare la quadra, crisi dopo crisi, orientandosi sul codice, ma soprattutto trovando la sintesi di procedimenti che arrechino il minor danno possibile a ogni parte in causa.

Su questa materia, e in questi termini, si sono quindi confrontati per la prima volta in un incontro ampio e diversificato come quello proposto dal Laboratorio di Diritto della crisi d’impresa dell’Università di Palermo, con il patrocinio dell’Ateneo, e promosso dall’Associazione delegati custodi e curatori di Palermo (Adcc), con il patrocinio dell’Ordine degli Avvocati, dell’Ordine dei Dottori commercialisti di Palermo e del Consiglio notarile di Palermo e Termini Imerese.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Il professor Michele Perrino, ordinario di Diritto commerciale presso l’Università di Palermo e coordinatore scientifico del convegno di venerdì e sabato appena trascorsi, spiega che “la crisi non è più – e non deve essere – concepita come un epilogo, bensì come un passaggio che può e deve essere gestito con strumenti adeguati, visione prospettica e soprattutto competenze multidisciplinari”.

Le ultime riforme ha segnato un punto di svolta

Il docente, e avvocato, di Unipa ha spiegato che le ultime riforme ha segnato un punto di svolta e che esso è da intendersi positivo per il mercato: “Il legislatore ha introdotto strumenti nuovi – basti pensare alla composizione negoziata della crisi, al concordato semplificato o agli accordi ad efficacia estesa – che implicano un cambiamento anche culturale. Siamo passati da un approccio prevalentemente liquidatorio a una logica di salvaguardia e ristrutturazione, dove la tempestività e la cooperazione tra attori diversi diventano essenziali. Ma ogni strumento, per funzionare, richiede consapevolezza e competenza”.

Tra gli artefici del coordinamento l’avvocato Fabrizio Giambona, che in merito all’ottimo risultato registrato in chiusura lavori ha sottolineato: “Ai cambiamenti siamo abituati; io non ricordo più nella mia carriera quante riforme ho studiato. Sicuramente l’obiettivo è anche di creare questa congiunzione per potere sviluppare un progetto. Cioè, questo vuole essere la prima tappa di un progetto a lungo termine, perché se noi poi la lasciamo fine a se stessa probabilmente rimane un risultato a metà. Abbiamo invece pensato ad un percorso di lungo periodo che ci consenta di rivederci periodicamente, magari una volta l’anno, e cercare di alzare sempre più l’asticella ogni anno in modo da poter creare una tradizione in questo panorama e in questo ambito”.

L’avvocato Miria: “Evitare che realtà arrivino in default”

Il professor Daniele Vattermoli, ordinario di Diritto commerciale all’Università La Sapienza, laureato in Diritto fallimentare e da sempre autorevole esperto in materia, ha ricordato che all’inizio del suo percorso formativo erano pochi i giuscommercialisti che si occupavano di Diritto fallimentare. “Adesso invece l’importanza della materia lo dimostra non soltanto l’impatto economico che ha la disciplina della Crisi d’impresa – ci dice il docente de La Sapienza – ma anche proprio la quantità di colleghi di Diritto commerciale che se ne occupano; basta vedere le riviste specializzate, una volta c’era un articolo di Diritto fallimentare su dieci di Diritto societario mentre ora stanno quattro a sei”. Anche gli imprenditori, soprattutto quelli di seconda generazione che hanno ereditato imprese da genitori pionieri, iniziano a comprendere l’importanza di rivolgersi a professionisti del settore quando le aziende iniziano a navigare in cattive acque. Qui però il retaggio culturale rallenta ancora l’approccio degli imprenditori alla gestione concordata ed assistita da professionisti.

Dobbiamo essere noi ad accompagnarli in una via più virtuosa”, ha detto l’avvocato Giuseppe Mirìa, presidente di Adcc Palermo riprendendo anche le parole del presidente dell’Ordine dei dottori commercialisti Nicolò La Barbera. “Questi strumenti servono a noi come professionisti – spiega l’avvocato Mirìa – per indirizzare la clientela, dal punto di vista dell’attività professionale privata, quindi non come curatori o come custodi e delegati, per evitare che queste imprese arrivino in default andando a erodere tutto il tessuto economico e sociale, quindi imprenditoriale siciliano”.

Mirìa ha sottolineato che oggi in Sicilia “quasi non ci sono soggetti imprenditori non indebitati con il fisco, che già lo è ma tra poco diventerà ancora più aggressivo e già hanno iniziato pignoramenti e pignoramenti dei conti, e vale sia per privati che per aziende”. Da qui la necessità di conoscere il codice, la dottrina normativa, le prassi e intervenire quando le aziende sono ancora salvabili.

L’avvocato Giovanni Coa, professionista del Foro di Palermo la cui conclamata competenza – anche da parte dei colleghi – non risiede soltanto nel lungo corso della sua esperienza, è intervenuto in qualità di relatore al convegno sulla tutela del credito affrontando nello specifico il trattamento dei debiti fiscali nel concordato post liquidazione giudiziale e il cosiddetto “cram down” fiscale e previdenziale.

“Quando abbiamo studiato a Giurisprudenza il concordato, abbiamo saputo che il concordato aveva una natura negoziale – ci spiega l’avvocato Coa – e quindi il debitore si metteva d’accordo con il creditore sotto l’egida del Tribunale che omologava il concordato; quando si è introdotto il ‘cram down’, e sostanzialmente si è obbligato il creditore, sia creditore normale che qualificato, qual è l’Erario o gli istituti previdenziali e assicurativi, il carattere negoziale del concordato è venuto meno perché se il creditore non è d’accordo non può fare nulla”.

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La questione riguarda il dopo liquidazione giudiziale, e la definizione di “cram down” non a caso è la locuzione anglofona equivalente al nostro “mandare giù il rospo”. D’altro canto, la proposta di concordato nella liquidazione giudiziale è una tessera importante nello scenario del mercato che rischia l’effetto domino partendo da un’impresa in crisi. La dottoressa Vittoria Rubino, giudice della Sezione IV civile Procedure concorsuali del Tribunale di Palermo e relatrice dell’ultima sessione di lavori del convegno, sullo specifico ha sottolineato l’importanza della proposta di concordato, e che “è sicuramente uno strumento che deve consentire una maggiore velocità nella chiusura delle procedure concorsuali al fine di soddisfare in maniera veloce i creditori e cercare di fare ripartire, ove possibile le aziende, in alternativa liquidare tutti i beni e consentire ai creditori una loro soddisfazione”.

L’intervista al professor Pierpaolo Sanfilippo, ordinario di Diritto commerciale

La procedura concordata di liquidazione per un’azienda sovraindebitata ha le sue difficoltà nelle piccole e medie imprese con un solo soggetto decisore, ma quando l’azienda è più grande, tanto da avere dei soci ed un consiglio di amministrazione, si trova ad affrontare una norma che ha delle ragioni chiare ma anche delle conseguenze.

Il professor Pierpaolo Sanfilippo, avvocato, ordinario di Diritto commerciale all’Università di Catania, è intervenuto al convegno di Palermo sulla tutela della crisi proprio in ordine al concordato delle società e al diritto dei soci. Abbiamo chiesto di spiegare ai nostri lettori, con un linguaggio più chiaro di quanto chiaramente poteva essere esposto alla platea di esperti in materia e professionisti del settore, quali sono le criticità quando il concordato viene affrontato da una società invece che da una ditta individuale.

“Il tema del coinvolgimento dei soci è complesso – ci spiega il professor Sanfilippo – perché le regole che sono state introdotte con il Codice della crisi e poi col correttivo hanno ridimensionato di molto il ruolo dei soci. Soprattutto il ruolo delle minoranze, perché è evidente che l’amministratore non proporrà un concordato, non proporrà un accordo di ristrutturazione se non prima interloquendo col socio di maggioranza di riferimento: quello che lo ha nominato. Tipicamente avverrà così. Quindi, la sottrazione di queste decisioni all’assemblea dei soci, naturalmente taglia fuori le minoranze dal poter interloquire ed anche verificare il comportamento dei gestori in ordine a queste scelte critiche, anche per il loro valore”.

Sanfilippo avverte che in una situazione di crisi non è impossibile, e non lo si può escludere, che il valore patrimoniale delle azioni sia ancora rilevante. “Quindi l’interesse dei soci minoritari può ben sussistere, e queste regole rischiano di consentire usi surrettizi dei poteri esclusivi degli amministratori nella scelta dello strumento, che sia il concordato o, soprattutto, delle ristrutturazioni finanziarie, a danno dei soci di minoranza”.

Si pone quindi un problema rilevante, per le professionalità coinvolte ma soprattutto per i giudici. Qui, spiega il docente dell’Università di Catania, si deve “verificare se il sistema, quindi il diritto generale societario consenta strumenti o cautele ai soci per poter monitorare, e in qualche modo reagire rispetto a comportamenti abusivi degli amministratori e, in fondo, delle maggioranze”.

Si intersecano quindi vari livelli normativi, affinché il Diritto della crisi non prevarichi il diritto societario. E anche in questo, sostanzialmente ritorna il leitmotive del convegno sulla tutela della crisi, che è stato per due giorni “sinergia”. Di fatto, in materia di società insolvente, in riguardo ai soci minoritari quella del legislatore viene definita dal professor Sanfilippo come una scelta tranchant: “Per evitare ostruzionismo possibile dei soci ha completamente tolto le competenze ai soci. Abbiamo buttato l’acqua sporca con tutto il bambino. Questo però pone dei problemi di tenuta del sistema rispetto a ipotesi di abuso”.

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Come si sono regolati all’estero, rispetto alla terra in cui notoriamente fatta la legge è già nato l’inganno?

“Non tutti i Paesi dell’Ue – ci spiega Sanfilippo – hanno scelto questa via; altri hanno scelto di reagire rispetto a fenomeni di ostruzionismo in concreto. Cioè, quando la minoranza in concreto impedisce l’aumento di capitale, impedisce l’operazione che potrebbe salvare la continuità aziendale, quindi a vantaggio soprattutto dei creditori, in quel caso si impone un risarcimento dei danni alla minoranza che ha opposto queste condotte. Ad esempio la Spagna ha questa linea, che non è la stessa che ha scelto il nostro ordinamento, che ha tolto completamente le competenze all’assemblea”. Anche sull’aspetto societario quindi entra a pieno titolo la necessità di sinergia tra tutti i professionisti coinvolti, come il convegno ha ampiamente dimostrato.





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