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La Banca d’Italia avverte il Veneto. Il modello trainato dall’export scricchiola


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Esportazioni in calo del -2,2%, ma il commercio globale cresce del +2,8% Pesano l’affanno della Germania e la concorrenza cinese






La sede della Banca d’Italia, a Roma




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Le nostre esportazioni scendono (-2,2%), mentre il commercio mondiale e le importazioni dei nostri paesi partner crescono (+2,8%). C’è di che preoccuparsi. «Il modello che si basa sulle esportazioni sta presentando difficoltà e questo rappresenta un problema per il nostro prodotto interno lordo la cui crescita dipende moltissimo dall’estero».

L’avviso ai naviganti è arrivato ieri a Venezia, nella sede della Banca d’Italia, alla presentazione annuale dell’economia regionale con il direttore Pier Luigi Ruggiero e il responsabile della divisione ricerca economica territoriale Vanni Mengotto. Emerge la fotografia di un’economia veneta «debole» nel 2024: dopo il boom del 2022 la crescita, se così si può dire, ha registrato uno “zero virgola” con la produzione manifatturiera che ha continuato a ridursi (-1,4%) pagando il calo degli ordini, soprattutto esteri. A cui si aggiungono i primi tre mesi 2025 che viaggiano a -3,2%. Il commercio estero è osservato speciale, tema che sta a cuore a Vicenza, appena retrocessa peraltro dal terzo al quarto posto nella graduatoria italiana delle maggiori province esportatrici.

Il modello scricchiola

Tanto che i ricercatori hanno voluto comprendere come si muovono le nostre esportazioni di fronte ai movimenti internazionali. E la risposta è che l’export veneto di beni in termini reali è calato del -2,2% nel 2024 (-1,2% nel primo trimestre di quest’anno) con l’eccezione di alimentari e bevande. Mentre il commercio mondiale e la nostra domanda potenziale crescono. Le ragioni – è stato indicato ieri – sono senz’altro legate alle difficoltà dell’industria tedesca di cui siamo subfornitori.

Ma ieri il direttore Ruggiero ha dato un nome e cognome alla concorrenza: «C’è stata una pressione da parte della Cina sia in termini di prezzo che di qualità – ha osservato – che ha depresso il nostro modello di sviluppo: la Cina ha aumentato i volumi e probabilmente per alcune manifatture anche la qualità ed è quindi diventato un “competitor” difficile da affrontare anche per un territorio come quello veneto vocato all’export».

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Non a caso, è stato ricordato, la Cina ha avviato nel 2015 il programma “Made in Cina 2025” che, nell’arco di 10 anni, ha visto emergere produzioni di livello maggiore. E di certo apre riflessioni in Veneto, alla luce peraltro dell’atteso protezionismo dei dazi Usa. Da un lato ieri sono emersi come spunti la necessità di migliorare le condizioni di produzione, la crescita ulteriore della qualità e l’innovazione. Dall’altro la necessità anche di puntare sulla crescita interna e quindi sull’aumento dei redditi sui territori e dei consumi.

Le difficoltà

Non è un momento semplice. Lo hanno detto con franchezza gli imprenditori con almeno 20 addetti che hanno partecipato all’ultima indagine della Banca d’Italia: fatturati in calo (-4%) e minori investimenti (-8,5%) senza dubbio legati all’incertezza e all’instabilità geopolitica. Questo non toglie la solidità del sistema anche se, a leggerla in filigrana, la percentuale superiore all’80% di imprese che hanno chiuso il bilancio 2024 in utile o pareggio è «in moderato calo» rispetto al 2023. Ha continuato a crescere il settore edile (+4,8% di ore lavorate) senza risentire della “rimodulazione” degli incentivi fiscali sulla manutenzione delle abitazioni e che nel comparto delle opere pubbliche beneficia del Pnrr e dei lavori connessi con i giochi olimpici invernali, che hanno uno dei suoi fulcri in Veneto.

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Risultati positivi anche nei flussi turistici (+2,2%), grazie agli stranieri (+4%) che rappresentano due terzi delle presenze, mentre gli italiani (-1,8%) sono ancora inferiori al 2019. Ma anche qui si viaggia con i piedi di piombo: un turismo così aperto (così come un’economia basata sull’export) e con una stagione che secondo gli addetti è partita bene, diventa fragile con il blocco alla circolazione, come è stato durante la pandemia e come potrebbe essere con l’incertezza e le paure a muoversi generate dai conflitti.

Credito in chiaroscuro

Nell’anno minato dalla debolezza economica emerge però la riduzione dell’inflazione e la flessione del costo del credito, influenzato dalla discesa dei tassi di interesse. Sono cresciuti i nuovi prestiti per l’acquisto delle case (+4,9%), ancora di più nel primo trimestre di quest’anno (+40%). Resta buona la qualità del credito con il tasso di deterioramento allo 0,8%: in riduzione la quota delle sospensione dei pagamenti sui mutui casa. Capitolo a parte i prestiti bancari alle imprese diminuiti del -6,6% (da -6% a fine 2023), con un calo più vistoso di quello nazionale (-2,6%). Doppia lettura: meno prestiti effettivi, ma anche aziende patrimonializzate che hanno meno bisogno di finanziamenti. Resta che, di questi tempi, la gran parte rinvia gli investimenti a tempi migliori.





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