Le aziende europee si trovano intrappolate nelle crescenti tensioni tra Cina e Stati Uniti. Lo dice Jens Eskelund, presidente della Camera di commercio dell’Unione Europea in Cina. In un’intervista esclusiva rilasciata il 18 giugno a Nikkei Asia, Eskelund ha sottolineato che l’Ue subisce danni collaterali a causa del conflitto commerciale tra Pechino e Washington, nonostante un recente accordo preliminare tra le due potenze.
Funzionari cinesi e americani hanno delineato un’intesa iniziale per ridurre i dazi e allentare le restrizioni sulle esportazioni. L’11 giugno, il presidente Trump, ha annunciato che la Cina garantirà forniture anticipate di magneti e terre rare, sebbene un accordo definitivo non sia ancora stato formalizzato. Eskelund ha indicato i controlli cinesi sulle esportazioni di terre rare — metalli cruciali per le auto elettriche — turbine eoliche ed equipaggiamenti militari, come una delle principali fonti di instabilità commerciale. Sebbene Pechino giustifichi tali misure come risposta ai dazi imposti da Trump, le restrizioni riguardano tutti i Paesi e richiedono licenze specifiche per ogni spedizione.
Mentre alcune imprese europee riescono ad ottenere tali licenze, diverse altre restano bloccate da ritardi burocratici e richieste di informazioni dettagliate su clienti e processi produttivi. «Pechino intende impedire agli Stati Uniti di accedere a queste risorse strategiche attraverso Paesi terzi, esigendo trasparenza nella filiera — ha dichiarato Eskelund — Ma questo approccio danneggia le relazioni con la Cina, e tiene in ostaggio le aziende europee nel conflitto tra Usa e Cina». L’incertezza spinge infatti l’Ue ad accelerare gli sforzi per ridurre la dipendenza dalla Cina.
A luglio, Ue e Cina celebreranno il 50° anniversario delle relazioni diplomatiche con un summit di alto profilo. Tuttavia, le recenti dichiarazioni della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, evidenziano un aumento delle frizioni commerciali. Al vertice G7 in Canada, tenutosi il 15 giugno, la von der Leyen ha avvertito di un «nuovo shock cinese», e ha accusato Pechino di perseguire un modello di «dominio, dipendenza e ricatto» nei confronti dei partner commerciali. Ha inoltre denunciato le strategie del regime cinese nel controllare la manifattura e le filiere mondiali, tramite il furto della proprietà intellettuale e l’utilizzo di ingenti sussidi statali. Queste pratiche, ha affermato la von der Leyen, costituiscono una «distorsione intenzionale» e ha invitato le nazioni a rispondere unite.
Al centro delle critiche della presidente della Commissione vi è infatti il dominio cinese nel mercato delle terre rare, con Pechino che controlla circa il 60% della fornitura mondiale e il 90% della capacità di raffinazione, secondo il Center for Strategic and International Studies. «La Cina sfrutta questo quasi-monopolio non solo come leva negoziale, ma anche come arma per indebolire i concorrenti in settori strategici», ha dichiarato la von der Leyen, che ha citato anche la recente restrizione all’export di sette tipi di terre rare. La reazione del regime cinese alle parole della presidente non si è fatta attendere: il 18 giugno, il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Guo Jiakun, ha espresso «profonda insoddisfazione e ferma opposizione».
Al di là delle tensioni tra Usa e Cina, le imprese europee manifestano crescenti preoccupazioni sull’economia cinese. Un sondaggio annuale della Camera di commercio dell’Ue in Cina, pubblicato a maggio, ha mostrato che quasi tre quarti dei suoi membri trovano sempre più complesso operare nel Paese, segnando il quarto anno consecutivo di ottimismo in calo. La Camera rappresenta oltre 1.700 aziende europee, da giganti come Volkswagen a piccole imprese integrate nelle filiere mondiali.
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