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lo scandalo dei finanziamenti pubblici al cinema italiano tra sprechi e truffe


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Il caso “filmopoli” apre uno squarcio sulle criticità che investono il mondo del cinema italiano, connesso ai fondi pubblici destinati a sostenere la produzione delle pellicole. Tra il 2022 e il 2023, circa 345 film hanno usufruito del cosiddetto tax credit, un incentivo fiscale pensato per ridurre il carico tributario alle imprese cinematografiche. L’obiettivo ufficiale è stato quello di aiutare una produzione in difficoltà, ma la realtà si è rivelata ben diversa. Molti film non sono mai arrivati nelle sale o hanno totalizzato incassi insignificanti. Dietro questo quadro, emergono casi di spese sospette, rendicontazioni irregolari e addirittura truffe ai danni delle casse pubbliche.

I numeri dietro lo scandalo: film senza pubblico e finanziamenti ingiustificati

Tra le pellicole finanziate, almeno tre su quattro non hanno raggiunto il pubblico nelle sale cinematografiche. Un dato che tradisce la finalità stessa del tax credit, un meccanismo fiscale con cui lo Stato contribuisce a ridurre l’importo delle tasse dovute da chi produce film. Ben 345 titoli hanno ottenuto questo beneficio negli ultimi due anni, ma molti si sono rivelati progetti fantasma o flop totali. Un caso emblematico riguarda il film “Prima di andare via” del regista Massimo Cappelli: con un costo di produzione stimato in due milioni di euro, ha incassato dal ministero circa 669 mila euro ma è stato visto da sole 29 persone.

Alcuni film hanno ricevuto milioni di euro, ma hanno contato incassi scarsi o nulli nei cinema. Ciò rappresenta un problema: fondi pubblici usati senza ritorno culturale o economico concreto. Si ipotizza un sistema in cui il tax credit è finito nelle mani di produttori poco scrupolosi, pronti a intascare contribuiti statali senza portare a termine le produzioni o limitandosi a mettere in piedi operazioni formalmente corrette solo sulla carta. Le accuse spaziano da documentazioni gonfiate a costi fittizi, fino a spese ridicole attribuite ai film come prova di produzione.

Segnalazioni e sospetti sulle spese dichiarate

Situazioni analoghe non mancano. Alcuni film hanno ricevuto milioni di euro, ma hanno contato incassi scarsi o nulli nei cinema. Ciò rappresenta un problema: fondi pubblici usati senza ritorno culturale o economico concreto. Si ipotizza un sistema in cui il tax credit è finito nelle mani di produttori poco scrupolosi, pronti a intascare contribuiti statali senza portare a termine le produzioni o limitandosi a mettere in piedi operazioni formalmente corrette solo sulla carta. Le accuse spaziano da documentazioni gonfiate a costi fittizi, fino a spese ridicole attribuite ai film come prova di produzione.

La magistratura indaga su casi e spese sospette nel cinema italiano

L’attenzione delle autorità è stata sollecitata dalle numerose segnalazioni arrivate dal Ministero della Cultura. Alcune pellicole mostravano una documentazione costi dubbia o incoerente. Una vicenda singolare riguarda il progetto “Ciak, si mangia”, che avrebbe richiesto ai fondi pubblici 4 milioni di euro, presentando però spese anomale come 80 mila euro per carta igienica. Il film ha incassato appena 13 mila euro al botteghino, un segnale evidente di un disallineamento tra investimenti e risultati reali.

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I pubblici ministeri hanno aperto indagini su 122 pellicole sospette, mentre la Guardia di Finanza è impegnata in verifiche mirate. La sottosegretaria Lucia Borgonzoni ha precisato che nelle due annualità sono stati attivati 185 accertamenti, per un totale di 347 milioni di euro in contributi erogati. Si tratta di controlli mettendo a fuoco il meccanismo che ha permesso a molte aziende di incassare risorse senza adempiere agli obblighi richiesti dalla normativa.

Il lavoro investigativo e le verifiche sui costi

Le indagini cercano di stabilire chi abbia realmente rispettato le regole e chi invece abbia simulato produzioni per ottenere i finanziamenti. Sono analizzati documenti contabili, spese dichiarate e l’effettiva distribuzione e visibilità delle pellicole. L’attenzione si concentra soprattutto sui meccanismi di rendicontazione dei costi e sul rapporto tra investimento pubblico e ritorno in termini di spettatori e incassi.

Un sistema consolidato tra politiche culturali e clientele

Questo fenomeno non nasce ora. Gli esperti del settore ricordano che il sistema dei finanziamenti pubblici al cinema italiano si è rivelato fragile e vulnerabile nel tempo. Già sotto la guida di diversi ministri informazioni su controlli poco rigorosi e aperture a iniziative clientelari erano emerse.

Dario Franceschini, ex ministro della cultura originario di ferrara, è stato spesso associato a questo modo di gestire i fondi, esteso da lui e successori. La definizione di “reddito di cittadinanza per cinematografari” esprime bene le critiche al sistema, in cui molti hanno beneficiato del denaro pubblico senza creare progetti produttivi solidi o culturali validi. Produzioni nate su basi informali, spesso coinvolgendo personalità, amici o colleghi, con una rete di protezioni e favori.

Amicizie e clientelismi nelle produzioni italiane

Nel cinema italiano molti cast e produzioni si sono trasformate in un circuito di amicizie e opportunità più simile a una cerchia chiusa, piuttosto che a un meccanismo trasparente e meritocratico. Le denunce sottolineano come questo abbia portato a sprechi di risorse enormi nel corso degli anni. Le amministrazioni volte a erogare e controllare i fondi spesso non hanno evitato l’abuso di contributi, con effetti negativi sulla reputazione del mondo cinematografico nazionale.

L’opinione pubblica e gli addetti ai lavori ora assistono a questo giro di accertamenti e indagini, con l’auspicio che le forze dell’ordine e la magistratura possano smascherare i responsabili e guidare un cambiamento nei sistemi di sostegno. In un periodo in cui il cinema italiano deve ancora offrire produzioni capaci di attrarre numeri importanti in sala, la gestione dei fondi pubblici si conferma un tema cruciale per tutti gli operatori.





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