I data center sono un tema molto caldo al pari dell’intelligenza artificiale, con cui vanno a braccetto. Infatti, l’addestramento di modelli di AI richiede grandi quantità di energia. Basti pensare che una risposta di ChatGPT consuma fino a 10 volte più elettricità rispetto a una ricerca su Google. Occorre pertanto integrare nuove fonti energetiche più efficienti e accelerare la costruzione di infrastrutture elettriche e di data center. A livello europeo, i data center si sono storicamente sviluppati intorno alle città del “FLAPD” (acronimo di Francoforte, Londra, Amsterdam, Parigi e Dublino), che però hanno subito un rallentamento.
L’interesse degli investitori si sta ora spostando verso i mercati emergenti, tra cui l’Italia. Secondo l’Osservatorio Data Center del Politecnico di Milano, il 2024 si può definire come l’anno della definitiva presa di coscienza sull’importanza dei data center per il nostro Paese: 5 miliardi di euro sono già stati spesi in Italia nel biennio 2023-2024 e ulteriori 10,1 miliardi sono previsti per il biennio 2025-2026. Il tema è stato affrontato il 24 giugno scorso al Private Capital Day, organizzato a Milano da Financecommunity in collaborazione con lo studio Herbert Smith Freehills Kramer.
DATA CENTER, LA NUOVA FRONTIERA DELLE INFRASTRUTTURE DIGITALI
Nella seconda tavola rotonda dell’evento, moderata da Francesca Morra, partner di Herbert Smith Freehills Kramer, Simone Egidi, socio del medesimo studio, ha evidenziato come anche in Italia la domanda di data centre stia crescendo in linea con il trend globale, spinta da intelligenza artificiale e cloud computing. Tra le dinamiche internazionali che si riflettono sul mercato italiano, Egidi ha citato il ruolo dominante degli hyperscaler che, oltre a sviluppare progetti in proprio, si affidano sempre più a sviluppatori per poter soddisfare i propri bisogni. A questo si affianca la parallela forte domanda degli altri utilizzatori che accusano la concorrenza degli hyperscaler nei colocation data centre e alimentano il bisogno di nuove infrastrutture. Cresce anche la domanda di progetti con capacità incrementabile e flessibilità nell’aumento o riduzione del relativo uso. Il mercato sta diventando sempre più specializzato, con sviluppatori e operatori focalizzati su tipologie specifiche di data centre (core, edge, hyperscale, wholesale/retail), mentre resta complesso garantire l’accesso alla rete elettrica, spingendo a cercare soluzioni dedicate per l’approvvigionamento. Grande attenzione è infine riservata all’efficienza energetica e alla crescente regolamentazione del settore, con un impatto diretto anche sulla spinta verso fonti rinnovabili.
Sul piano nazionale, Egidi ha sottolineato come restino elementi di incertezza normativa, soprattutto in ambito autorizzativo, che i disegni di legge attualmente in discussione puntano a risolvere.
A ciò si aggiunge il tema degli alti costi energetici. Ciò nonostante, l’Italia resta fortemente attrattiva, e grazie alla sua collocazione geografica strategica e importanza economica, è uno dei mercati più promettenti per gli investitori ed operatori che stanno guardando a mercati diversi dai FLAPD, dove la saturazione della rete e l’esaurimento degli spazi sta limitando la crescita del settore.
Le opportunità di investimento sono ampie e trasversali, e spaziano dallo sviluppo e real estate alla costruzione, dalla tecnologia alla gestione, fino al revamping, a reti, fonti energetiche, M&A e debito. Il settore, ha concluso, vale una crescita stimata in 10 miliardi di euro nei prossimi due anni.
“L’Italia deve lavorare per restare un hotspot per investimenti e fare in fretta”, ha esortato Rodolfo Bigolin, fondatore e presidente di Innovo Group of Companies, lanciato nel 2022 per sviluppare data center, infrastrutture per rinnovabili e per la ricarica di veicoli elettrici. Bigolin ha evidenziato che i data center di grandi dimensioni hanno una connessione alla rete elettrica (anche rinnovabile, che però non basta a coprire il loro fabbisogno energetico), ma il loro sistema di backup utilizza combustibili fossili. Inoltre, in Usa data center consumano così tanta energia che costringono a impiegare non solo le rinnovabili per alimentarli, ma anche carbone e altri combustibili fossili.
In prospettiva, Egidi si aspetta uno sviluppo delle rinnovabili per assicurare la neutralità e marginalizzare il problema del diesel come fonte di backup per i data center.
Andrea Garbagnati, executive director – Infrastructure & Energy Finance di Natixis Corporate & Investment Banking, ha puntualizzato che il settore dei data center è molto promettente per le banche, da un po’ di anni. “Abbiamo più impieghi nel settore dei data center che delle rinnovabili. Natixis si focalizza sui progetti di data center più grandi, sviluppati dai 20 maggiori operatori sul mercato mondiale. Con la maturazione del mercato italiano, si potranno sviluppare anche progetti intermedi”. Per quanto riguarda i finanziamenti, in Italia sono focalizzati su quelli greenfield, per cui è molto importante avere grandi operatori internazionali in grado di gestirne i rischi. “Una volta che un data center è realizzato, i ritorni sono più bassi, per cui si sta alimentando il mercato dell’M&A, in cui i data center meno remunerativi sono ceduti a fondi infrastrutturali, liberando risorse per nuovi sviluppi più redditizi”, ha detto Garbagnati.
Un altro rischio in agguato per i data center è quello dell’obsolescenza tecnologica. Non a caso Ibm più che in data center “investe in tecnologia, attraverso un’evoluzione in senso sempre più aperto e flessibile della sua struttura hardware per occupare meno spazio, usare meno energia e impiegare processori adatti all’AI utilizzata. Ora la frontiera è il quantum”, ha spiegato Alessandra Bini, senior counsel, trust and compliance officer di Ibm Europe.
I TREND DEL PRIVATE EQUITY
Nella prima tavola rotonda, moderata da Augusto Santoro, partner di Herbert Smith Freehills Kramer, sono stati discussi i principali trend che caratterizzano oggi il private equity.
Valentina Franceschini, senior partner di Wise Equity sgr, che da25 anni investe nelle pmi italiane, ha evidenziato: “Negli ultimi cinque anni si è scatenata una tempesta perfetta, con inflazione, alti tassi di interesse, pandemie e guerre. La nostra strategia di investimento resta la medesima, ma sono cambiate le modalità di investimento”. Infatti, sebbene sul mercato sia presente ancora una ingente dry powder, nei momenti di mercato difficili gli investitori cercano maggiormente le imprese con un grande valore strategico, leader nella loro nicchia. “Gli asset buoni restano tali, semplicemente bisogna essere selettivi”, le ha fatto eco Nicola Colavito, partner di Peninsula Capital Advisors.
In un contesto più difficile, l’attenzione al rischio è maggiore. “Prima di risk management finanziario e operativo parlavano solo le banche, ora è una parte fondamentale della due diligence effettuata dai fondi”, sottolinea Franceschini. Augusto Santoro, Partner di Herbert Smith Freehills Kramer e moderatore della tavola, ha confermato il trend dell’allungamento delle due diligence.
Mauro Moretti, fondatore e ceo di Three Hills Capital Partners (Thcp), ha rilevato un consolidamento in atto nel settore dei fondi, diventati multi-strategy ad esito dell’M&A. Un fenomeno partito dagli Usa, arrivato in Europa e ora anche in Italia. “Le integrazioni si accentueranno in contesto difficile di mercato, dove conta avere le spalle più larghe e più sorgenti di capitale, anche a causa di aumento dei costi per i fondi”, prevede Moretti. A suo avviso, anche i servizi professionali stanno diventando un tema di investimento, essendo anch’essi in fase di consolidamento. Thcp, ad esempio, ha acquistato in questo settore Digital 360 e Sec Newgate.
A proposito di investimenti, Marco Bernardi, partner ed head of Italy di Groupe HLD, gruppo d’investimento fondato nel 2010, ha annunciato che ha 3 miliardi di euro da investire in Europa nei prossimi 5 anni, di cui 500 milioni in Italia, dove il team è stato rafforzato a cinque persone. “HLD si differenzia da altri fondi di private equity perché i suoi investitori sono a loro volta famiglie imprenditoriali francesi e italiane, che aiutano nella valutazione delle opportunità. Inoltre, offriamo flessibilità in tempi di exit, per cui l’imprenditore è più rilassato sul ciclo di compravendita e noi possiamo seguire progetti industriali più importanti, anche con un orizzonte temporale di 10 anni. È quello che abbiamo fatto con il marchio di creme Filorga, che poi è stato ceduto a Colgate”, ha raccontato Bernardi.
Diverso è l’approccio di Peninsula Capital Advisors, fondata nel 2015 con il capitale di un fondo sovrano del Medio Oriente, che ha appena chiuso il suo quinto fondo, in cui potranno investire anche gli investitori europei. “I nostri investitori provengono da Qatar ed Emirati Arabi, che hanno un modo peculiare di investire. I nostri investimenti sono value-driven e nel lusso e consumer retail, posizionandoci sui settori tipici del made in Italy e molto frammentati, come bellezza e moda”, afferma Colavito.
Tutti i relatori hanno concordato sulla diffidenza degli imprenditori verso il private equity. Sul tema, Franceschini ha precisato: “E’ importante vincere lo scetticismo degli imprenditori parlando la loro lingua, grazie alla nostra specializzazione nei settori industriale e manifatturiero. Quando investiamo, gli imprenditori restano sempre nel capitale delle loro aziende con una minoranza. Cerchiamo di portare struttura, processi e visione strategica nelle nostre partecipate, attraverso un management team strutturato. È fondamentale la fiducia: se l’autorevolezza è riconosciuta fin dal principio, si riesce a trovare la strada per collaborare”. Moretti ha affermato: “Gli imprenditori sono diversi dai manager: più geniali, ma più emotivi; oltre che molto soli, perché sono aggrediti tutta la vita da dipendenti, fornitori e concorrenti. Noi ci poniamo come consigliere a tutto tondo, entrando con le quote di minoranza nelle imprese”. Infine, Colavito ha sottolineato il ruolo del private equity come “rassicuratore”. “Se prima eravamo come degli psicologi delle aziende, ora siamo degli psichiatri, perché gli imprenditori adesso sono sotto pressione. Passo la maggior parte del mio tempo a rassicurarli e a mostrare loro la luce in fondo al tunnel”.
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