Caivano
di GIAN LUCA GALLETTI
26 giu 2025 14:00
Nel momento in cui il Governo ha scelto di intervenire con uno strumento normativo dedicato a un territorio ferito come Caivano, la politica ha mandato un segnale: non si può più restare indifferenti di fronte al degrado e alla marginalità. Tuttavia, è altrettanto evidente che nessun decreto può bastare da solo a cambiare il destino di un luogo. Perché ciò avvenga, serve molto di più: serve il coinvolgimento vivo della società civile, la partecipazione attiva delle comunità locali, e una nuova assunzione di responsabilità da parte delle imprese.
È partendo da questa convinzione che abbiamo scelto di celebrare a Caivano l’Assemblea nazionale di UCID, che si terrà il 29 giugno, ospiti della comunità di Don Maurizio Patriciello, volto della risposta civile al desiderio di riscatto del territorio. Abbiamo voluto questo appuntamento, a cui parteciperanno imprenditori e dirigenti da tutta Italia, dare concretezza a un impegno che da tempo riteniamo irrinunciabile: riportare l’impresa nei luoghi che più di altri chiedono attenzione, ascolto e opportunità reali. Caivano non è soltanto la somma di casi di cronaca. È una cartina di tornasole per comprendere quanto ancora c’è da fare per costruire un’Italia più coesa, capace di includere i suoi margini, di riportare al centro le sue periferie, come amava ripetere Papa Francesco.
Se davvero vogliamo che questi territori si rimettano in cammino, allora bisogna abbandonare l’approccio emergenziale e costruire alleanze stabili. Lo Stato deve fare la sua parte, ma da solo non può. Senza la presenza dei corpi intermedi, delle parrocchie, delle associazioni, dei cittadini attivi e delle imprese, nessuna rigenerazione è possibile. L’impresa, in particolare, deve uscire da una visione autoreferenziale e riscoprire il suo ruolo generativo: non solo produttrice di beni o servizi, ma protagonista di sviluppo umano e sociale.
A Caivano intendiamo portare esempi concreti di imprenditori che già operano in contesti difficili, e che lo fanno con rigore, innovazione e attenzione al territorio. Imprese che formano, assumono, generano fiducia. Realtà che dimostrano come il riscatto sia già in atto, purché venga sostenuto e accompagnato. La nostra presenza non è solo simbolica: abbiamo voluto avviare un dialogo strutturato, un confronto aperto tra chi, in ambiti diversi, lavora per il cambiamento.
Fondamentale in questo senso il dialogo con le istituzioni, che a Caivano abbiamo cercato non come interlocutori formali, ma come veri e propri partner nella messa a punto di un modello di impegno civile dell’impresa, che per noi di Ucid rimanda al messaggio della dottrina sociale della Chiesa.
Avremo occasione, infatti, di vedere con chiarezza la connessione profonda tra questioni ecologico-ambientali e questioni sociali. Sul piano ambientale si gioca una delle partite più cruciali per il futuro di questi territori. La Terra dei Fuochi rappresenta, da decenni, il paradigma di come il degrado ambientale sia spesso la prima ferita inferta da un’economia criminale, che tiene soggetto il contesto sociale e ne impedisce lo sviluppo. Ma questo è anche il terreno su cui può germogliare una nuova economia, fondata sulla rigenerazione, sulla legalità, su modelli produttivi rispettosi dell’ambiente e del clima. Fare impresa qui significa anche restituire valore ai suoli, all’aria, alle risorse naturali, invertendo una lunga catena di incuria e devastazione.
Ci sono già imprese che operano con filiere circolari, con emissioni ridotte, con processi trasparenti, con retribuzioni dignitose e che scelgono consapevolmente di restare in questi territori. Comunità produttive che, insieme ai cittadini, possono diventare un presidio di sorveglianza ambientale, oltre che un motore di sviluppo. Perché dove cresce attenzione all’ambiente, si rafforza anche il tessuto civile. E dove le comunità diventano vigili, la criminalità perde terreno.
Come UCID non ci accontentiamo di un’iniziativa isolata. Vogliamo fare di Caivano l’avvio di un percorso replicabile, un modello da portare in altri territori segnati da povertà educativa, carenze infrastrutturali e assenza di prospettive. L’Italia ne ha molti, di luoghi che vivono le problematiche della marginalità. A tutti questi vogliamo dire che il mondo dell’impresa c’è, è pronto a contribuire, se messo nelle condizioni di agire in modo trasparente e costruttivo.
Troppe volte, in passato, si è cercato di affrontare il problema delle disuguaglianze territoriali affidandosi a interventi straordinari o a politiche assistenziali. Ma il vero antidoto al degrado non è l’assistenza: è il lavoro dignitoso, la possibilità dell’ascensore sociale garantita per vie legittime. È l’impresa che sa radicarsi, che investe sul capitale umano, che trasmette legalità e cultura del fare. Questo tipo di impresa esiste già, ma va messa al centro delle politiche pubbliche, valorizzata, ascoltata.
Come ci ha insegnato il Censis, il benessere economico non genera automaticamente benessere sociale. Anzi, è vero il contrario: è il rafforzamento dei legami comunitari, delle reti sociali e relazionali, a costituire la condizione di base per uno sviluppo economico duraturo. Senza coesione, nessun mercato regge. Senza fiducia, nessuna crescita è sostenibile.
Non possiamo più permetterci uno sviluppo che si limiti ad alcune aree “vincenti” del Paese, lasciando indietro intere fasce di territorio. L’impresa ha oggi una responsabilità storica: tornare a pensarsi come parte integrante della comunità in cui opera. Come scrive Amartya Sen, “la libertà di condurre una vita dignitosa è impossibile senza partecipazione attiva alla società.” Vale per i cittadini, vale anche per le imprese.
Rigenerare Caivano – e tutti i territori simili – non è solo un compito dello Stato. È una sfida collettiva. E chi fa impresa, se davvero vuole essere all’altezza del proprio tempo, non può restare spettatore.
@Foto dalla pagine Facebook del Comune di Caivano
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