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L’economia globale vacilla, l’Italia (inaspettatamente) resiste. Prometeia: “La vera incognita è quello che accadrà dopo il Pnrr”


L’orizzonte economico mondiale si fa più incerto, appesantito dalle ormai immancabili tensioni geopolitiche (Medio Oriente che si aggiunge all’Ucraina) e dalla questione del commercio internazionale e dei dazi. Eppure l’economia italiana sta mostrando una capacità di tenuta, qualcuno direbbe “resilienza”, superiore alle attese. Ma quanto durerà? La stabilità mostrata dal Belpaese poggia su fondamenta che potrebbero presto rivelarsi fragili. A sottolineare il rischio è l’ultimo rapporto, datato giugno 2025, di Prometeia, che sottolinea come l’Italia sia chiamata a sciogliere alcuni storici “nodi strutturali”, primo tra tutti la dipendenza della crescita dagli impulsi esogeni del Piano nazionale di ripresa e resilienza. La domanda quindi è: quale sarà il motore dello sviluppo una volta che la spinta degli investimenti pubblici si sarà esaurita?

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Un quadro internazionale carico di incertezze

Le nuove tensioni in Medio Oriente rappresentano una minaccia concreta. Prometeia delinea diversi possibili scenari. Quello peggiore ipotizza che un acuirsi del conflitto porti a forti e persistenti incrementi dei prezzi di petrolio e gas, stravolgendo le prospettive di inflazione e crescita. Nello scenario “centrale”, invece, l’effetto sui prezzi energetici è considerato solo transitorio, con il Brent a 75 dollari al barile nel terzo trimestre. Una volatilità che, seppur contenuta, è comunque sufficiente a mantenere alta l’allerta delle banche centrali, condizionandone le prossime decisioni.

A questo fronte si aggiunge il capitolo irrisolto dei dazi. Le stime più recenti muovono dall’ipotesi di una politica commerciale statunitense più aggressiva, con tariffe medie sui prodotti europei che potrebbero salire all’11%, con un balzo di quasi otto punti percentuali rispetto a marzo. Per l’Eurozona l’impatto sull’attività economica dovrebbe essere di un decimo di punto in meno quest’anno e due decimi il prossimo. L’Italia, data la sua forte vocazione all’export e il peso degli USA come mercato di sbocco, subirebbe un contraccolpo più severo: quattro decimi di Pil in meno e due decimi di inflazione in più.

Un modesto ma costante apprezzamento del cambio euro/dollaro potrebbe poi accentuare l’effetto di “spiazzamento” per le merci italiane, erodendo la competitività delle esportazioni pur aiutando a raffreddare l’inflazione interna.

Tuttavia la fonte di maggiore apprensione per la stabilità finanziaria risiede nella politica di bilancio americana. Le proiezioni di Prometeia indicano che il peggioramento dei conti pubblici statunitensi, con un debito federale avviato su un sentiero giudicato insostenibile, aumenterà la percezione del rischio sull’economia USA. Ciò potrebbe mantenere elevati i rendimenti dei titoli di stato a lungo termine, attorno al 4,5%, e indebolire il dollaro. Un persistente disallineamento dei tassi tra Stati Uniti ed Eurozona, con i Bund tedeschi al 2,5%, potrebbe generare nuove tensioni e comprimere la crescita europea.

La tenuta italiana e l’effetto Pnrr

In questa cornice internazionale decisamente deteriorata, l’Italia pare muoversi in controtendenza. La stabilità politica e una gestione più attenta dei conti pubblici hanno favorito la discesa dei tassi sui prestiti. La crescita del primo trimestre, sostenuta dalla domanda interna, ha sorpreso positivamente gli analisti: i consumi beneficiano della tenuta del mercato del lavoro, ma il vero volano della dinamica restano gli investimenti, spinti in modo determinante dalle opere finanziate dal Pnrr.

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Questa performance, tuttavia, impone una riflessione profonda. L’economia italiana sembra aver agganciato un sentiero di crescita, per quanto lento. La domanda fondamentale è quanto questo percorso sia solido. L’analisi di Prometeia è esplicita nel misurare il contributo del Piano: senza le risorse del Pnrr, la crescita del Pil nel 2024 sarebbe stata di tre decimi di punto inferiore, rispetto a un dato già esiguo (+0,5%). Per il 2025, l’impulso è quantificato in quattro decimi di punto, per poi ridursi nel 2026. L’anno successivo, il 2027, con l’esaurirsi dei fondi, si stima un contraccolpo negativo di tre decimi di punto.

Le proiezioni a breve termine invitano alla massima cautela. Dopo un rallentamento del Pil a +0,1% nel secondo trimestre, la seconda metà dell’anno si prospetta debole. Il 2025 dovrebbe così chiudersi con una crescita media dello 0,6%.

Cercasi modello per lo sviluppo post-Pnrr

Il rapporto mette a nudo la questione fondamentale per il futuro industriale e tecnologico del paese. Il Pnrr agisce come un potente stimolo congiunturale; ma cosa accadrà quando la sua spinta propulsiva si esaurirà? Quali saranno i lasciti strutturali del piano e quali le opzioni di politica economica per scongiurare un ritorno alla stagnazione? Il rischio è che, finita la stagione degli investimenti pubblici, il sistema produttivo si ritrovi senza un motore endogeno. Il Pnrr doveva servire a modernizzare le infrastrutture e a innescare un circolo virtuoso di investimenti privati in innovazione, digitalizzazione e transizione energetica. La vera sfida è trasformare l’impulso odierno in un vantaggio competitivo duraturo.

In prospettiva Prometeia intravede però alcuni possibili fattori positivi. L’implementazione di un piano di rilancio infrastrutturale in Germania e l’aumento della spesa per la difesa in Europa potrebbero generare nuova domanda per le imprese italiane. Si tratta però di elementi ancora una volta esterni, che l’Italia potrà cogliere solo se avrà rafforzato nel frattempo la propria struttura produttiva.



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