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PIANO NAZIONALE PER LA FAMIGLIA 2025/ “Una svolta sussidiaria e culturale, altro che semplice aggiornamento”


Il Piano nazionale per la famiglia 2025-2027 non è un semplice aggiornamento del precedente, ma segna un punto di svolta significativo e originale

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Nel linguaggio delle politiche sociali contemporanee, il termine “generatività” ha assunto un ruolo centrale, indicando la capacità delle istituzioni non solo di rispondere ai bisogni esistenti, ma di creare le condizioni favorevoli affinché emergano risorse, relazioni, innovazione e responsabilità condivisa.



In questa prospettiva, questo termine “alla moda” in realtà rappresenta una significativa intuizione, anche da parte dei più attenti osservatori delle tematiche sociali, di quanto appaia sempre più necessaria una svolta sussidiaria nelle stesse. Il Piano nazionale per la famiglia 2025-2027, adottato dalla presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le Politiche della Famiglia – segna un punto di svolta significativo e originale.



Il nuovo Piano, benché sia costretto a muoversi nell’ambito di vincoli e fattori dati, non si configura come un semplice aggiornamento precedente Piano 2022, ma si propone come un vero e proprio “dispositivo generativo”, capace di attivare, secondo una netta impostazione sussidiaria, opportunità concrete e novità sistemiche, introducendo elementi di innovazione sostanziale, tanto nella strategia complessiva di intervento, quanto nel disegno operativo delle misure, aprendo un ciclo basato su una nuova governance e partecipazione attiva, nel coinvolgimento di istituzioni nazionali, enti territoriali, comunità locali, mondo del lavoro e dell’impresa, Terzo settore.

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Se, cioè, il Piano famiglia 2022 aveva rappresentato un primo passo per rispondere alle esigenze contemporanee delle famiglie italiane, il nuovo Piano famiglia rappresenta un salto qualitativo, per superare la frammentazione dei servizi e garantire un’organizzazione coerente, attraverso sia la collaborazione interistituzionale, sia la promozione di un fattivo coinvolgimento originario (“generativo”…) tra pubblico e privato, così da integrare competenze, mezzi e interventi.

Uscendo nettamente da una logico Stato-centrica nell’approccio al welfare, che relegava la famiglia a una funzione ancillare dell’apparato amministrativo, troppo a lungo ritenuto primo “titolare” della risposta ai bisogni della persona singola e associata, l’architettura culturale del nuovo Piano non si limita più solo a considerare la famiglia come destinataria di interventi e, dunque, a erogarle prestazioni o a rafforzare misure esistenti (come l’Assegno unico o i bonus asilo nido), ma ridefinisce il ruolo della prima “formazione sociale”, come soggetto originario e autonomo, che è per sua natura ontologica, attivo nel e del welfare, nonché protagonista nella coprogettazione delle stesse azioni che la riguardano, valorizzando la capacità intrinseca della famiglia di “generare valore” sociale, relazionale e culturale, a beneficio della comunità e del territorio.

Riecheggiano le suggestive espressioni sul tema utilizzate da don Alberto Frigerio il 18 giugno al festival dell’”umano tutto intero”; che ha tratteggiato l’essenza della famiglia proprio come non solo “dimora della persona”, ma anche “grembo della società”.

Lo scenario svelato dal Piano 2025, dunque, non è più quello di uno Stato teso a sostituirsi alla famiglia, né a sottrarle funzioni, prerogative e responsabilità, ma, al contrario, quello di una Res Publica che ne riconosce, sussidiariamente, l’insostituibilità.

Sottolineata con forza ed entusiasmo la cifra radicalmente innovativa nel metodo affermato, anche quanto al merito, il nuovo Piano introduce, rispetto al passato, un sensibile cambiamento di paradigma nelle politiche familiari, distinguendo tra le politiche per il benessere e quelle socio- assistenziali.

In effetti, il Comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia e il Dipartimento per le Politiche della Famiglia – all’interno di un perimetro operativo condiviso con l’Assemblea dell’Osservatorio medesimo – hanno sviluppato in circa due anni di lavoro 14 schede per azioni innovative, per quanto nei limiti della normativa vigente e con la disponibilità delle risorse correnti.

In tale ottica, per prima cosa, ai fini di una celere attuazione degli obiettivi, si è trasferita l’operatività principale dal semplice intervento centralizzato a un intervento territoriale.

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Le azioni previste dal Piano ruotano, cioè, attorno ai Centri per la famiglia, concepiti come hub di una nuova governance territoriale. Essi rappresentano il “ganglio” gestionale e operativo delle iniziative e degli interventi da promuovere e sviluppare su uno specifico territorio, volendo, finalmente, offrire ai territori punti di riferimento stabili e accessibili, in grado di generare e coordinare le varie azioni del Piano.

La finalità principale è mettere a disposizione delle famiglie un luogo dove poter conoscere e accedere agli strumenti disponibili, ricevere orientamento e supporto nell’affrontare le sfide e le problematiche tipiche della complessità del tempo presente. I Centri per la famiglia operano, quindi, in stretta collaborazione con tutti i soggetti che compongono il sistema di welfare familiare e con le stesse famiglie e il Terzo settore, come – perché no? – le imprese e sindacati, assumendo il ruolo di interfaccia attiva tra i bisogni espressi dal territorio e le risorse disponibili, in termini di servizi, competenze e opportunità.

Il loro intervento si inserisce in una logica di rete, ispirata e guidata dal principio di sussidiarietà, declinato sia in senso verticale, attraverso il coinvolgimento dei territori, sia in senso orizzontale, promuovendo la collaborazione tra tutti gli attori, istituzionali e sociali, pubblici e privati, compreso il Terzo settore, con l’intento di valorizzare le specificità e i contributi di ciascun soggetto e le esperienze e le pratiche virtuose già in essere negli enti locali.

L’obiettivo costitutivo di questa rete è il supporto e lo sviluppo del benessere familiare, declinato in forme diverse a seconda dei bisogni e delle situazioni: dal sostegno alla maternità, paternità e genitorialità (attraverso figure specifiche che affianchino la famiglia nei primi mille giorni, fin dall’inizio della gravidanza, valorizzando anche le esperienze già attive sui territori regionali), alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro sostenuta e promossa dalle aziende (welfare aziendale integrato, specificatamente contemplato anche nella recente legge sulla partecipazione dei lavoratori n. 76/25), agli strumenti per il potenziamento dei servizi di cura nel quadro della conciliazione vita-lavoro (con un riferimento esplicito al rientro dal congedo di maternità o parentale), all’ideazione di uno strumento innovativo di welfare aziendale a supporto della natalità e della cura nelle famiglie, a un processo integrato per il potenziamento del welfare aziendale amico della famiglia volto a individuare, anche attraverso un apposito marchio, le buone pratiche, e così via.

Ipotizzare dei “centri” di servizi specifici per a famiglia, significa introdurre un canone ancora inesplorato in troppi ambiti dell’ordinamento, quale quelli fiscali e sociali, che dovrebbe, cioè, portare a dare spazio ovunque a un soggetto strutturalmente relazionato nell’appartenenza e nella responsabilità familiari, piuttosto che un soggetto concepito solo come “singolo”, il quale è, invece, l’attore di gran lunga principale di un ordinamento, che risente veementemente di un impianto antropologico condizionato da un’antropologia nettamente individualista.

Un elemento innovativo e strategico è, poi, la promozione dell’indagine sui fattori che orientano la Generazione Z alle scelte familiari. Solo attraverso un’analisi culturale e sociale accurata, anche delle scelte legate alla progettualità familiare, è possibile individuare gli elementi utili alla definizione di politiche di sviluppo mirate al rafforzamento delle reti primarie di solidarietà generazionale e alla costruzione di un sistema di servizi capaci di favorire concretamente la natalità.

In questa prospettiva, il Piano concentra il proprio focus sul sostegno alla natalità, da realizzare non solo attraverso azioni di conoscenza sui comportamenti e i bisogni della Generazione Z, ma anche mediante la previsione di figure professionali di supporto ai genitori nei primi mille giorni di vita del bambino, l’introduzione di misure efficaci per facilitare la conciliazione tra vita familiare e lavorativa e il potenziamento dei servizi di cura per l’infanzia.

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Il Piano intende, inoltre, avviare una cultura della valutazione e del monitoraggio, a partire da una prima analisi dell’impatto delle più recenti misure in ambito di politiche della famiglia, come l’Assegno unico e universale per i figli a carico, il Bonus asilo nido, i congedi obbligatori e quelli parentali, le innovazioni sul welfare aziendale che le recenti Leggi di bilancio e la citata legge 76/25 hanno prospettato, con il dichiarato fine di verificare quanto queste misure abbiano inciso sulle scelte relative alla natalità e se, in particolare, abbiano determinato un effettivo sostegno alle famiglie.

Un approccio sistematico al monitoraggio e alla valutazione consente, infatti, di raccogliere dati utili per migliorare le politiche esistenti e svilupparne di nuove, dando impulso a una maggiore trasparenza e responsabilità nella gestione delle risorse pubbliche.

La realizzazione di un modello condiviso per la rilevazione dei bisogni familiari, emergenti e urgenti, al fine di migliorare la conoscenza degli stessi e massimizzare l’efficacia delle politiche e degli interventi dedicati al benessere della famiglia, consente di intercettare – pur non essendo espressamente menzionati nel Piano famiglia – anche i bisogni economici, eventualmente, generati dai debiti, e di comprendere in quale misura questi incidano sugli strumenti, ormai strutturali ma ancora troppo poco utilizzati, a disposizione delle famiglie nell’ambito delle politiche familiari e, pertanto, se ne auspica l’inclusione proprio nell’azione di valutazione e monitoraggio.

La rilevazione di tali bisogni, scaturenti, principalmente, da situazioni di crisi o insolvenza, è infatti fondamentale per una maggiore efficacia di tutte le misure in favore della genitorialità e della natalità e dei nuclei familiari in condizioni di maggiore vulnerabilità.

Ciò permette di intraprendere, ad esempio, misure mirate di prevenzione e contrasto del sovraindebitamento, nell’ambito delle politiche familiari, nonché di agevolare i decisori politici e gli amministratori territoriali a orientare e sostenere anche puntuali politiche socio-economiche, contribuendo così a prevenire condizioni di povertà, derivanti da situazioni di debito non gestite tempestivamente, e a garantire, al contempo, una maggiore tutela dei minori, poiché il disagio economico incide profondamente sulla loro vita quotidiana (disagio psicologico, interruzione di attività educative e sportive, sfratti o traslochi forzati).

Inoltre, integrare l’analisi dei reali bisogni della famiglia con quelli legati a un eccessivo indebitamento, o, comunque, ai bisogni economici, non solo è utile per indirizzare le scelte della programmazione politica nell’ambito del welfare familiare, ma, oltretutto, consente di rafforzare l’efficacia delle stesse politiche familiari, dal momento che misure, come bonus, assegni o incentivi – senza un orientamento e interventi di accompagnamento da parte dei vari attori coinvolti a supporto della famiglia, in grado di indicare soluzioni, anche normative – rischiano di essere assorbite nel tentativo di sanare i debiti, perdendo così la loro finalità originaria, quale, ad esempio, il sostegno alla natalità o all’educazione.

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Il Piano Famiglia 2025-2027, dunque, può davvero costituire una concreta occasione per attuare, per la prima volta in Italia, in modo innovativo e strategico, proprio nell’ambito dei Centri per la famiglia, una politica concreta di contrasto al sovraindebitamento familiare, anche in chiave preventiva e di “cura”, in quanto, se da un lato è possibile prevenire lo stato di crisi o insolvenza, attraverso una gestione consapevole del denaro e un’adeguata educazione economica e finanziaria in tema di pianificazione familiare, dall’altro è possibile porvi rimedio mediante servizi di consulenza sul debito, intesa come assistenza integrata alla persona e al nucleo familiare, con l’intervento di più figure professionali (avvocato, psicologo, assistente sociale, ecc.), nonché mediante le informazioni per accedere agli specifici strumenti normativi, previsti dalla normativa di settore (procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento), sotto il coordinamento del Family Welfare Manager.

In questa prospettiva, i Centri per la famiglia possono diventare un punto di riferimento concreto ed efficace per incentivare e attuare non solo le politiche di welfare familiare, ma anche per perseguire il benessere economico e sociale della stessa famiglia, aiutandola a uscire dall’eventuale condizione di crisi, mediante la conoscenza degli strumenti e delle leggi esistenti a sua tutela e beneficio e attraverso l’opera virtuosa di tutti gli attori deputati a svolgere le azioni di supporto, in quanto il fine preminente del Piano è proprio quello di riconoscere, come si è detto, la famiglia nella sua insostituibilità, così da sostenerla “nell’esercizio del suo ruolo educativo e di cura, nelle condizioni di fragilità, ma anche nelle situazioni più ordinarie che l’essere famiglia oggi pone” (cit. Eugenia Roccella, Ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, in Prefazione del Piano nazionale per la famiglia 2025-2027).

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