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Sostenibilità oltre il profitto: aziende e natura, un futuro rigenerativo e inclusivo


Il percorso verso una maggiore sostenibilità è anche un viaggio trasformativo per costruire un impatto positivo e si trova in un momento non facile. Si osservano segnali preoccupanti, come l’uscita di alcune importanti realtà dalla Net Zero Banking Alliance e attacchi a concetti fondamentali. Sicuramente, una minaccia al multilateralismo è presente, e si percepisce una certa insofferenza verso una “over-regulation” che non ha reso agevole per le imprese il percorso di conformità alle direttive (vedi CSRD, CSDDD, Pacchetto Omnibus UE). Tuttavia, vi è un punto fermo da parte di quelle organizzazioni che hanno scelto la sostenibilità non come un optional (“nice to have”), ma come un vero e proprio orientamento strategico. Nonostante la complessità del momento, il Global Compact Network ha annunciato, nell’ambito delle’evento Bolton sull’Impatto positivo, che sta continuando a crescere mostrando una chiara distinzione tra le realtà che hanno una vera strategia integrata nei piani industriali e nell’analisi dei rischi, e quelle che invece hanno “appiccicato” la sostenibilità in modo superficiale, rischiando di retrocedere nei momenti di difficoltà.

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Il ruolo del Global Compact Network

Il Global Compact Network, arriva quest’anno ai 25 anni dal suo lancio da parte di Kofi Annan nel 1999. Come sottolineato dalla direttrice Daniela Bernacchi il Network conta oltre 700 aziende aderenti solo in Italia e ben 22.000 a livello mondiale. Questo patto globale si basa su valori e principi condivisi che, non a caso, partono dai primi due principi sui diritti umani: rispettare i diritti umani e non essere complici, neanche indirettamente (coinvolgendo le catene di fornitura), in violazioni dei diritti umani. Questi principi fondamentali aprono poi alla dimensione del lavoro, dell’ambiente e dell’anticorruzione.

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Daniela Bernacchi, direttrice Global Compact Network

L’importanza di predisporre una strategia integrata

Il Global Compact mantiene un impegno costante e coerente nel mondo, cercando di comprendere le “aree grigie” di chi si è avvicinato alla sostenibilità solo per conformità, senza una strategia integrata. L’organizzazione si impegna attivamente su fronti cruciali: con Oxfam, ad esempio, lavora da tre anni sui “business human rights” e da due anni su un “accelerator”, un programma verticale di sette mesi sulla due diligence, utilizzando strumenti affinati anche con il confronto con aziende come Bolton.

Il ruolo del sustainable procurement

Un altro ambito sfidante è il gruppo di lavoro sul “Sustainable Procurement”, dove aziende di tutti i settori si confrontano sulla variabile del costo e della sostenibilità, esplorando il confine tra profitto, impatto positivo e responsabilità sociale in uno scenario geopolitico ed economico dinamico e complesso. Il Global Compact è un fermo sostenitore dell’accountability (corporate governance e accountability) e della trasparenza, favorendo che le aziende rendicontino chiaramente sia i progressi positivi sia gli impatti negativi e i gap, purché questo percorso sia fattibile per le imprese.

Questo approccio si traduce in una prospettiva di “risk to people” piuttosto che “risk to business”, che non è affatto banale e non è comune a tutte le realtà. È inaccettabile che il 19% della popolazione mondiale siano “working poor”, persone che lavorano anche 10-12 ore al giorno senza un reddito sufficiente, e che 160 milioni di bambini siano impiegati nelle filiere. La problematica si estende all’Italia, dove si contano 2,4 milioni di lavoratori irregolari, con il settore alimentare al secondo posto per lavoro irregolare, con circa 232.000 persone che guadagnano 20€ al giorno per oltre 12 ore, in nero e senza sicurezza. Affrontare questi problemi richiede un impegno responsabile, collettivo e duraturo.

Dall’economia estrattiva all’economia rigenerativa

Il concetto di rigenerazione, inizialmente associato all’agricoltura, è in realtà applicabile all’intera economia come ha spiegato il professor Vitaliano Fiorillo, Director AGRI Lab – Romeo and Enrica Invernizzi Agribusiness Research Initiative presso SDA Bocconi nel suo intervento. L’agricoltura rigenerativa, in particolare, consiste in un insieme di tecniche che trasformano l’approccio agricolo da un modello che modifica e piega l’ecosistema alle proprie esigenze, a uno che lavora con l’ecosistema, sfruttando i servizi ecosistemici che esso è in grado di offrire per arrivare a un’agricoltura sostenibile. Ciò che ne deriva è che l’agricoltura rigenerativa si rivela anche più efficiente nel medio periodo rispetto a quella convenzionale, grazie a una migliore conoscenza degli ecosistemi.

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Sostenibilità oltre il profitto
Vitaliano Fiorillo, Director AGRI Lab – Romeo and Enrica Invernizzi Agribusiness Research Initiative presso SDA Bocconi

Il concetto di rigenerazione trasferito negli oceani

Questo cambiamento di paradigma è trasferibile a qualsiasi contesto, inclusi gli oceani. Si sta assistendo a una trasformazione dell’economia, superando la vecchia concezione fordista che considerava la natura poco efficiente.

L’evoluzione delle conoscenze ci sta portando da un’economia “estrattiva”, in cui si prende dalla natura, a un’economia “rigenerativa”, in cui si lavora in sinergia con essa. Il valore stimato di tutti i servizi ecosistemici a livello mondiale si aggira tra i 125 e i 150 trilioni di dollari, superando il PIL globale, che si attesta tra i 106 e i 110 trilioni di dollari. In un’economia estrattiva, ogni volta che si vuole aumentare il PIL di un euro, si sottrae qualcosa alla natura. La compensazione, un tempo considerata soluzione, è insufficiente una volta che gli ecosistemi sono compromessi, poiché il rapporto non è più uno a uno e non sarà mai possibile ricreare esattamente la stessa cosa. Il cuore dell’economia rigenerativa risiede nel non limitarsi a spostare le fette di una torta esistente, ma nel creare una torta più grande, integrando la sostenibilità nel core business e aumentando contemporaneamente il valore economico e il valore della natura.

L’evoluzione del consumatore

Il consumatore è già oggi ampiamente interessato alla sostenibilità, indipendentemente dal livello di reddito e dalla capacità di spesa. Sebbene chi ha una maggiore capacità di spesa sia più propenso a cambiare abitudini e a spendere di più, la reale “willingness to pay” alla cassa è ancora tutta da verificare. Il vero punto di svolta è rappresentato dalla Generazione Z, definita il “consumatore definitivo”. Le aziende sono molto preoccupate da questa prossima generazione di consumatori, che considerano la sostenibilità non come un valore aggiunto per cui pagare di più, ma come un prerequisito fondamentale. Inoltre, la Generazione Z non dispone di grandi risorse economiche. Ciò implica che le imprese devono integrare la sostenibilità nel loro core business e nel loro rapporto con la natura, poiché non sarà più possibile, come in passato, ribaltare i maggiori costi della sostenibilità sul consumatore finale. Questa generazione, nei prossimi 5-10 anni, sarà quella che determinerà le decisioni d’acquisto.

Imprese pioniere: sostenibilità oltre il profitto

La sostenibilità, per essere efficace, deve essere trasformativa, ovvero deve “far succedere delle cose”. Un’analisi critica rivela che una parte della sostenibilità praticata in passato è stata “non trasformativa” e fine a sé stessa, contribuendo a una crisi di fiducia da parte dei consumatori. I

l concetto di impresa non è infatti statico, ma si è evoluto nel tempo: in passato, modelli di sfruttamento della natura erano considerati ingredienti naturali della produttività. Oggi, grazie all’innovazione, esistono modelli di impresa che creano valore economico con un’integrazione accettabile di natura e persone. È qui che l’innovazione assume un ruolo cruciale, agendo da ponte tra profitto e impatto e permettendo di spostare la “frontiera” delle possibilità, tenendo insieme questi due elementi in modo virtuoso. È fondamentale riconoscere che profitto e impatto talvolta possono entrare in conflitto, ma questo non deve portare alla rassegnazione o alla rinuncia, bensì allo sviluppo di nuove soluzioni. Allo stesso modo, le dimensioni sociale e ambientale, pur essendo sinergiche, sono spesso conflittuali, e riconoscere questa “dimensione intersezionale del problema” è essenziale per una sostenibilità realmente trasformativa. L’inizio precoce e l’implementazione concreta della sostenibilità sono vantaggiosi, soprattutto per chi deve affrontare la sfida oggi, evitando le trappole del “greenwashing” e del “social washing”.

Lunghezza totale approssimativa: 5400 caratteri.



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