WOKE E CARRELLO
Il caso “politico” di Gaza Cola mal cela l’ appartenenza o affinità politica.
È ancora “Woke e carrello”?
Negli ultimi anni, il sistema cooperativo italiano – e in particolare Coop – ha beneficiato di agevolazioni fiscali strutturali: esenzioni IRES su parte degli utili, deduzioni IRAP, ristorni fiscali, accesso privilegiato a bandi e contributi pubblici. Insieme, queste misure valgono a livello nazionale circa centinaia di milioni di euro all’anno, contribuendo a rafforzare la capacità economica delle cooperative benefici preclusi ai competitor privati.
Il punto problematico si presenta quando questa capacità viene usata non per progetti sociali misurabili, ma per iniziative con contenuto intrinsecamente politico o ideologico
Il recente caso della Gaza Cola sugli scaffali Coop è emblematico: la rimozione di prodotti israeliani e l’introduzione di una bevanda destinata a finanziarne la ricostruzione è stata presentata come gesto di “coerenza etica”. Tuttavia, al netto delle intenzioni dichiarate, appare evidente un effetto politico: una scelta di comunicazione e posizionamento, resa possibile anche da quelli che sul piano fiscale restano vantaggi di cui beneficia il gruppo.
In Europa, il modello tedesco, olandese o scandinavo, applica agevolazioni alle cooperative in modo selettivo: incentivi mirati a obiettivi chiari (inclusione, occupazione di categorie svantaggiate, servizi ai territori) e vincolati a risultati misurabili
L’Italia, invece, conserva un meccanismo di vantaggio automatico e generalizzato, senza verifiche di impatto effettivo.
Di contro, le stesse cooperative che godono di questi benefici, spesso retribuiscono i lavoratori di base meno della media nazionale. Secondo dati pubblicati da Indeed, lo stipendio medio di un addetto Coop si aggira tra gli €860 e €1.426 al mese a seconda del ruolo – per esempio un facchino riceve circa €1.426 mensili, un addetto alle pulizie circa €860. In confronto, nel settore privato della grande distribuzione, molte catene (Lidl, Esselunga, Carrefour) pagano cifre più alte, arrivate a €1.400–1.800 netti mensili per ruoli equivalenti.
Un tempo Bernardo Caprotti – nel suo Falce e carrello – denunciava l’«appoggio politico» delle Coop rosse e la loro capacità di creare ostacoli concorrenziali grazie a un sistema favorevole di vantaggi fiscali e rapporti privilegiati con amministrazioni locali
Nel 2007, ad esempio l’Antitrust rilevava proprio che Coop Estense aveva ostacolato concorrenti, culminando in una multa da 4,6 milioni per abuso di posizione dominante.
La domanda dunque è legittima: ha ancora senso mantenere un regime fiscale così generoso per soggetti che praticano salari inferiori, agiscono da imprese private e talvolta si muovono come attori politici impliciti?
In fondo ci siamo scandalizzati per il panettone della Ferragni ma solo perché non erano chiare le finalità dell’ accordo o perché ci siamo scoperti tutti ingenui acquirenti manipolabili a livello subliminale?
La risposta ce l’abbiamo nel modello europeo: non serve abolire le agevolazioni, ma limitarle e legarle a obiettivi precisi: inclusione, reinvestimento nel lavoro e nel territorio, magari adeguando gli stipendi dei dipendenti ai contratti di lavoro dei loro colleghi che operano per privati dello stesso settore, chiedendo maggior trasparenza sui risultati.
Se una cooperativa usa il vantaggio fiscale per promuovere scopi di parte, dovrebbe perdere i benefici o rientrare in un sistema di verifica pubblico
In conclusione, la domanda da porsi non è più se le agevolazioni per le cooperative siano legittime – lo sono, a patto di rispettare la loro funzione sociale.
Ma se si voglia tollerare che queste agevolazioni diventino strumenti di potere politico mascherato da mutualismo
Così, il sistema rischia non solo di danneggiare il mercato e i lavoratori, ma anche di svuotare di senso la sua stessa ragion d’essere.
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