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Gas troppo costoso per le aziende italiane, crescono i divari


Le piccole imprese italiane pagano il doppio di gas rispetto alle grandi aziende. Lo rivela uno studio della Cgia di Mestre, che denuncia il divario tra le bollette di artigiani, gli esercenti, i negozianti e i piccoli imprenditori, rispetto ai costi sostenuti per l’energia delle industrie manifatturiere e commerciali.

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Come sottolineato dagli esperti dell’associazione, a fare le spese dei rincari su elettricità e gas registrati negli ultimi tre anni sono ancora le realtà con meno di 20 addetti, che rappresentano il 98% delle imprese italiane e che, al netto delle pubbliche amministrazioni, danno lavoro a circa il 60% degli impiegati nel Paese.

Il divario sul gas

Dai dati rilevati dall’ufficio studi della Cgia di Mestre emerge come le bollette della luce delle piccole imprese siano il 55% più care rispetto a quelle delle grandi compagnie e che quelle del gas arrivino a costare il doppio.

Una differenza, sottolineano gli esperti, esistita da sempre, ma che in confronto con gli altri Paesi europei rappresenta un divario troppo penalizzante sui piccoli imprenditori italiani.

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Prima della pandemia le piccole imprese del nostro Paese pagavano il gas in media 60,1 euro a Megawatt-ora (MWh) contro un prezzo di 26,4 euro per le grandi industrie, il 128% in più, diventato +157% nel 2020 e +113% nel 2021.

La differenza tra le due categorie è crollata nel 2022 al +33%, per poi tornare a crescere fino al +108% registrato lo scorso anno, con una bolletta media di 99,5 euro a Megawatt-ora (MWh) contro i 47,9 euro pagati dalle grandi imprese.

Rispetto agli altri grandi Paesi europei, soltanto i piccoli imprenditori francesi pagano un prezzo del gas superiore a quelli italiani, 103,9 euro al MWh, mentre in Germania la bolletta è intorno ai 95 euro e in Spagna a 48,5 euro.

Il divario sull’elettricità

Meno evidente il divario tra piccole e grandi imprese sulla bolletta della luce, ma comunque rilevante.

A partire dal 2019, lo scarto in percentuale è passato dal +77% al +106% del 2020, al +41% del 2021, fino sostanzialmente a pareggiare nel 2022, con un costo della luce a livelli proibitivi sia per le realtà minori che per le industrie: rispettivamente a 294,9 e 292 euro per MWh.

La differenza è tornata a salire nel 2023 (+29%), diventando consistente nel 2024 con un +55% quando le piccole imprese hanno pagato per la corrente elettrice in media 218,2 euro per MWh, contro i 140,4 euro per MWh delle grandi aziende.

Soltanto in Germania i piccoli imprenditori pagano di più l’elettricità, anche se lo scarto risulta inferiore a quello tedesco, francese e spagnolo (rispettivamente +66%, +131% e +65%) e in generale a tutta l’area euro, che si attesta sul +60%.

Perché le piccole imprese pagano di più in Italia

Secondo gli studiosi della Cgia di Mestre, ii fattori principale che rendono più alte le bollette della luce per le piccole imprese italiane sono i costi di rete (trasporto e gestione del contatore), le tasse e gli oneri di sistema, con un’incidenza in queste realtà pari mediamente al 40% del costo totale a fronte di un peso del 17% sulle grandi aziende.

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Una differenza dovuta anche dal fatto che le industrie comprano l’energia in grandi volumi e spesso si avvalgono di broker che sono in grado di negoziare tariffe più basse con i fornitori, mentre i piccoli imprenditore acquistano poca energia e non hanno molto margine di trattativa.

Le componenti fisse, come trasporto, oneri di sistema, accise, ecc… ricadono maggiormente sul consumo delle piccole imprese, che utilizzano meno energia pagando comunque quote fisse elevate.

Infine, le Pmi raramente possono beneficiare agevolazioni fiscali e sconti su accise e oneri, riconosciuti per legge alle grandi aziende energivore, che possono anche stipulare contratti pluriennali più stabili contrariamente alle piccole imprese che sono soggette alle variazione dei prezzi sul mercato.





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