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L’eco delle rivoluzioni tra digitalizzazione, generazioni e la sfida del futuro


Le tecnologie plasmano la nostra esistenza, mettono alla prova i legami generazionali e ci spingono a ridefinire il concetto stesso di futuro. L’intervento di Francesco Provinciali

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I cambiamenti introdotti dalla rivoluzione industriale dell’800 erano stati considerati epocali per le innovazioni negli stili di vita, nell’organizzazione del lavoro e nell’accelerazione impressa all’economia e alla stratificazione sociale: un processo di modernizzazione enorme sul piano potenziale e fattuale, con un effetto moltiplicatore dirompente. La rivoluzione tecnologica del ‘900 iniziata con l’uso sempre più massivo di apparati e macchine si è consolidata con la dematerializzazione e la digitalizzazione informatica, come processo pervasivo che per dimensioni spazio –temporali e target di fruizione si è andata configurando come un derivato della globalizzazione, in quanto legato a modi di essere e di fare che si esprimono ad ogni latitudine superando gli spazi angusti della quotidianità e finendo per condizionare i comportamenti individuali e collettivi di tutti. I.A. e metaverso sono gli avamposti della riconversione del reale nel virtuale.

La diffusione ubiquitaria delle tecnologie di ultima generazione non conosce ostacoli e si manifesta come un fenomeno ormai irreversibile con cui dobbiamo fare i conti. La stessa alternanza generazionale non è un fatto ciclico che si avvicenda secondo paradigmi ripetibili, poiché ciò avviene mentre mutano il contesto, la vita sociale, i diritti e i doveri, le aspettative, le logiche dei mercati e quelle della competizione: possiamo affermare che la dimensione economica e quella del pensiero computazionale hanno sovvertito il concetto stesso di cultura come processo di lunga metabolizzazione del sapere, dagli apprendimenti scolastici a quelli del tempo libero, mentre i codici comunicativi semantici e simbolici non seguono metodiche regolamentative essendo soverchiati dalla deregulation dei social e dal tumultuoso entrare in scena di informazioni disparate che hanno rotto gli schemi di un sapere prevalentemente tramandato a favore di un avvicendamento di dati, notizie, modalità interpositive che spesso riesce difficile collocare, discernere e padroneggiare.

Si pone un problema di consegna generazionale degli stilemi linguistici e degli alfabeti relazionali, nella borsa degli attrezzi d’uso quotidiano, pena il divaricarsi di un gap comunicativo. Sul piano demografico l’allungamento della vita e l’invecchiamento della popolazione creano un surplus di percipienti rispetto all’area della produttività: la società aperta e multiculturale (pur con alcune discrasie implicite come la perdita dei radicamenti dell’appartenenza) produce un incessante interscambio di contatti e relazioni, anche se lo iato generazionale permane in quella società che vive delle rendite degli anziani mentre la precarietà del lavoro tiene i giovani, terminati gli studi, in uno ‘statu pupillari’ di latenza e di attesa.

Peraltro sussiste un problema della terza e perfino della quarta età e – nelle interconnessioni generazionali – della compatibilità e della sostenibilità nei processi di inclusione ovvero di emarginazione degli anziani dalla fruizione e dall’uso delle nuove tecnologie e con esse da una presenza attiva e fattiva alla vita sociale e culturale del nostro tempo, per spezzare derive di isolamento e solitudine.

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Innovazione tecnologica e digitalizzazione hanno una funzione eminentemente facilitativa rispetto alla congerie infinita di azioni, contatti, scambi di informazioni, apprendimenti e all’organizzazione della nostra stessa vita. Tuttavia si evidenziano difficoltà oggettive sotto diversi profili, non solo sull’uso e il padroneggiamento degli strumenti sempre più sofisticati a disposizione anche rispetto all’etica della comunicazione e dell’informazione: poiché in rete mancano spesso filtri e controlli sulla veridicità dei flussi di dati e notizie occorre possedere abilità e competenza nell’uso degli apparati e capacità di discernimento e di pensiero critico nel vaglio di ciò con cui entriamo in contatto in modo pervasivo e diffusivo.

Questo crea problemi ad ogni età: si pensi alle mistificazioni virtuali che occultano le evidenze del reale a quella forma di violenza simbolica che usa i mezzi tecnologici per aggirare i confini dell’etica. E questo riguarda soprattutto le giovani generazioni al punto che i reati a sfondo tecnologico, nel buio del web, superano in percentuale quelli agiti fisicamente e paradossalmente finiscono – pur con una dotazione straordinaria di apparati- per inibire e frustrare i processi comunicativi: prevale infatti tra i giovani un uso solipsistico della fruizione digitale e tecnologica.

Ma anche per le persone d’età avanzata che avevano vissuto processi di alfabetizzazione e acculturazione verbale o scritta, tramandata e consolidata negli anni, il fatto che l’uso del cellulare o del computer siano entrati a far parte delle abitudini crea fenomeni adattivi sul piano non solo della manualità ma anche della logica di pensiero come applicare alla propria età un approccio di conoscenza-comunicazione-informazione basato sull’uso sistematico delle tecnologie, l’ingresso in internet per scambi relazionali, acquisti, accesso alla rete della pubblica amministrazione, degli uffici, delle istituzioni comporta un cambio di passo e di mentalità.

Sullo sfondo resta l’intendimento facilitativo e il processo di semplificazione che sta legittimandosi anche a livello attraverso la gestione del PNRR.

Per questo appare necessaria un’azione di guida e counseling da parte delle istituzioni: servono corpi sociali intermedi per creare sinergie e favorire un atteggiamento propositivo e una partecipazione solidaristica. Sarebbe un grave errore se gli anziani, come spesso purtroppo accade per ottusità e scarsa comprensione degli interlocutori (siano essi uffici pubblici o enti, aziende private, compagnie telefoniche, fornitori di beni e servizi) fossero emarginati o peggio espunti ove non fatti oggetto di tentativi di estorsione o di truffa, dalla comunicazione on line e dall’utilizzo delle nuove tecnologie.

Per questo – come acutamente osservato da Giuseppe De Rita – i processi di semplificazione non devono essere nominalistici, virtuali o complicati, nemmeno frettolosi e con trabocchetti che inducano all’errore: parlare di “riconversione ecologica e digitale” comporta processi di metabolizzazione lenti, consapevoli e partecipati.

C’è un tempo diverso per ogni età e sono gli apparati, la rete, le istituzioni, i network e o provider che devono adattarsi e commisurarsi al target di una utenza complessa e diversificata.

Sarebbe tuttavia – infine – un errore di metodo chiudersi nelle consuetudini del passato, anche se più rassicuranti forse sul piano emotivo: certo non è facile e viene un momento nella vita in cui si vive più di abitudini che di progetti. Tuttavia esser parte di una comunità che usa l’innovazione tecnologica come strumento di promozione della condizione umana può restituire anche nella parte che resta della vita la sensazione di sentirsi utili, di esserlo per gli altri senza dimenticare il valore aggiunto che deriva dall’esperienza, fonte inesauribile di valori e insegnamenti a cui le giovani generazioni hanno il dovere di attingere per conservare la memoria di chi ci ha preceduto e contribuire a valorizzare la storia nella sua continua ripetibilità. E i fatti di questo tempo conflittuale e doloroso ci ammoniscono a ricordarlo.

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