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Laura Dalla Vecchia e la ricetta per la leadership in Polidoro: “Avere sempre specialisti vicino”


Dai beccucci ad acetilene per l’illuminazione e gli isolatori elettrici in ceramica, fino agli studi sull’idrogeno, il combustibile del futuro, l’ultima frontiera per abbattere le emissioni di CO2, possibile da raggiungere con un passo da gigante nella tecnologia. Alla combustione dell’idrogeno lavora, partecipando già a progetti pilota con il suo centro di ricerca e sviluppo, la Polidoro di Schio, alle porte di Vicenza, azienda leader mondiale di bruciatori per caldaie e scaldabagni.

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Laura Dalla Vecchia, nata a Schio nell’agosto del 1969, sotto il segno del Leone, è presidente e ceo di questa società dal 2007, anno in cui è scomparso suo padre Giuseppe che l’aveva comprata nel 1995. La sua leadership è all’insegna dell’innovazione, fedele ai valori che l’hanno ispirata ancora prima di mettere piede in fabbrica. “Io ho voluto con tutte le mie forze questo lavoro. Entro nel 1995 come segretaria di direzione, proseguo nei ruoli di buyer, direttrice ufficio acquisti, direttrice ufficio vendite, nel 2005 divento socia, nel 2007 presidente del consiglio di amministrazione, nel 2015 prendo la guida”.

La scelta degli studi da portare avanti è stata uno zig zag tra diverse aspirazioni. Dopo il liceo linguistico ha pensato a Medicina, poi sull’onda di una vena creativa è balenata l’opzione per una scuola di grafica. L’ideale però era un lavoro che la portasse soprattutto a viaggiare. “Erano gli anni della ‘Milano da bere’. Mio papà non approvava una figlia in giro per il mondo, poiché conoscevo le lingue mi vedeva bene in segreteria, al massimo come hostess d’aereo. Mi indirizzò ad Architettura e mi sono iscritta all’università di Venezia”.La Polidoro nel 2024 ha registrato 56 milioni di euro fatturato con 320 dipendenti.

L’azienda fondata nel 1945 dai fratelli Aldo e Silvio Polidoro si prepara a festeggiare gli 80 anni. Avendo perso tutto con la guerra, i fratelli ricominciarono dapprima con i beccucci per acetilene e poi con delle stufette portatili. La Radiantgas del 1955 fu la prima a gas liquido e se ne vendettero moltissime. Poi con l’arrivo del gas nelle case degli italiani e più tardi delle caldaie a metano in Europa, l’azienda si specializzò nella produzione di bruciatori per questo tipo di apparecchi di riscaldamento che oggi vengono venduti in tutto il mondo. “Mediamente tocchiamo i 60 milioni di euro di fatturato, la recessione ci ha portati a 56, negli anni post pandemia abbiamo toccato quota 78 ma attualmente ci assestiamo sui 60”.

L’espansione all’estero è stata un volano di sviluppo. Prima l’ufficio commerciale negli Usa nel 2002, voluto da suo padre col progetto di incrementare le vendite negli States, poi nel 2013 lo sbarco a Manisa, in Turchia, prima produzione all’estero, nella regione dove operavano molti costruttori di caldaie, soprattutto tedeschi. Con lo stesso schema nel 2017 è nato in Cina l’impianto di Changzhou: l’avventura più dura causa Covid, ma è una realtà che cresce e continua a farlo. “Due anni fa abbiamo aperto in Lettonia, a Salaspils, vicino a Riga, e ormai da una decina d’anni studiamo la combustione dell’idrogeno, sviluppando prodotti dedicati”.

La specializzazione della Polidoro nei bruciatori parte a fine anni Sessanta con l’ingresso in azienda di Giuseppe Dalla Vecchia, come disegnatore tecnico, che veniva dalla De Pretto, una grande impresa di Schio specializzata in turbine. “Lui e Aldo Polidoro andavano d’accordo, mio padre costituì un ufficio tecnico, insieme sviluppavano l’attività commerciale, poi fu promosso direttore generale”. Nel 1995, a 70 anni, Polidoro pensò di vendere la società. Si offrirono di rilevarla tre dipendenti storici tra cui Dalla Vecchia che possedeva la quota di maggioranza relativa. “Hanno lavorato bene fino al 2005 quando alcuni soci hanno espresso la volontà di fare altro. Questa era una compagnia internazionalizzata per cui bisognava viaggiare e investire. Fui io a dire a mio padre: compriamola noi. Aveva 280 dipendenti”.

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Non ha esercitato la professione di architetto ma la laurea è stata utile a Laura Dalla Vecchia specie quando è diventata presidente di Confindustria Vicenza, con 1700 imprese associate. Il mandato di quattro anni è scaduto lo scorso 3 giugno. “Un’esperienza bellissima. Devi confrontarti con il governo locale e il territorio che ha bisogno di infrastrutture, strade, treni, scuole e io sono una superesperta di edilizia e di servizi. È un lavoro tecnico, e io so cosa sono le tolleranze, un disegno lo capisco. Sono tornata giovane, e quel percorso scolastico un po’ ondivago mi ha dato la consapevolezza di dover studiare tutta la vita”.

L’imprenditrice si è circondata di manager bravi e molto specializzati che coordina. “La regola è avere degli specialisti al fianco, sennò c’è il rischio di sbagliare. A capo delle imprese della provincia di Vicenza ci sono spesso ancora coloro, addirittura novantenni, che le hanno fondate dopo la guerra. Molti di loro, anche mio padre, sono usciti da istituti tecnici che erano quasi delle università, come l’istituto Rossi, il più famoso, di cui è stato allievo Federico Faggin, l’inventore del microprocessore. Scuola che dagli anni Sessanta è stata una fucina di tecnici che ha portato anche a molti spin off. Ora stiamo vivendo il passaggio generazionale”

Laura Dalla Vecchia e suo fratello Stefano, ingegnere, si sono trovati davanti a una grande responsabilità. “Io ho imparato ad ascoltare tanto. La nuova generazione si è formata in scuole prestigiose, alcuni hanno capacità per portare avanti l’impresa di famiglia, altri possono decidere di vendere la quota capitale. I miei figli hanno 14 e 19 anni e non mi stanco di ripetere che questo lavoro me lo sono scelto, lo amo. Ho realizzato un sogno e mi dispiace che mio padre non sia qui a vedere. I figli saranno liberi di continuare l’attività imprenditoriale o imboccare altre strade. Ma per decidere devono conoscere le dinamiche aziendali e il loro funzionamento. Ora con noi c’è anche mio marito Massimo. Per tutta la vita abbiamo lavorato separati, lui è in finanza, da un anno e mezzo gli ho chiesto di darmi una mano nel controllo di gestione. È un consulente, ma per la prima volta dopo 30 anni possiamo pranzare insieme”. In un mondo metalmeccanico come il suo, Dalla Vecchia ha dato spazio tra i dirigenti alle donne. “Le ho a capo dell’ufficio risorse umane, dell’ufficio commerciale e della pianificazione.

L’ambiente di lavoro deve essere misto, solo con gli uomini è difficile. Mi piacerebbe far crescere altre ragazze a livello di operation, ma purtroppo non se ne trovano. Le donne sono fin troppo modeste, spesso non se la sentono di diventare capi degli uomini, sono le prime detrattrici di sé stesse, si tirano indietro. Alla componente femminile in azienda cerco di rendere la vita più semplice, specie nella maternità, con part time e orari personalizzati. Dovrebbe contare di più sul sostegno dagli uomini. Ho sempre detto che la Merkel non avrebbe mai potuto avere un marito italiano. Se voglio promuoverle manager, e poi ne sono capacissime, devo fare in modo che non se ne accorgano, e spero che abbiano tanti figli”.

La crisi della Germania la preoccupa. “Ma sono ottimista. Le aziende italiane, a confronto di quelle tedesche sono più piccole e snelle. Ci possiamo riposizionare e trovare altri sbocchi. Ci metteremo degli anni ma lo faremo. Provate a immaginare invece gli investimenti che devono fare loro. Ho fiducia che la Germania si svegli, se non vuole fare la fine del topo”. Sul fronte interno, della politica del governo a sostegno delle imprese, secondo Dalla Vecchia manca uno step. “L’imprenditore decide di investire perché si basa sulle previsioni e sul portafoglio ordini, cioè quello che compreranno i clienti nel prossimo anno. Io parlo con i laboratori di ricerca nel mondo e ho contezza di quello che ci aspetta. C’è invece una sfasatura di informazione da parte degli analisti che va corretta in quanto loro si basano su quello che è successo negli anni precedenti. Perché non vengono presi in esame i dati previsionali della Banca d’Italia, o le analisi economiche congiunturali che Confindustria pubblica ogni tre mesi?”

Viaggia ancora spesso tra Stati Uniti e Cina. “Da gennaio a marzo avevo già preso venti aerei, spero di non ricominciare. Dobbiamo consolidare l’Europa, il nostro mercato principale è quello in cui siamo seduti e dobbiamo proteggerlo. I cinesi e gli Usa vogliono comprare le nostre aziende, ce le teniamo”. Esempio forte di resilienza è stata la mamma, Carla. “Persona saggia, mi ha aiutata tantissimo anche con la gestione dei figli, ho avuto la fortuna di averla dalla mia parte, devo ringraziarla tutta la vita. Si è sempre occupata anche di mia sorella Silvia, gravemente disabile, finché non è venuta a mancare. Entrambe mi hanno insegnato a non lamentarmi ‘perché avevo le gambe’. È stata una scuola, una grande educazione, è nella mia pelle”.

Il tempo libero è dedicato alla famiglia, la sua passione, con i sensi di colpa verso i figli adolescenti. “Corro a casa, cerco di essere là. Con mio marito condividiamo il gusto per le gite in bicicletta, siamo i migliori amici. E poi il gruppo di compagne delle superiori, la mia seconda famiglia. Casa giardino da architetto mancato, un cane simpatico, Nubi. Ho fatto la mia parte per il sociale e continuerò. L’impresa è un ecosistema in cui le persone devono convivere, è il livello più alto di lavoro che abbiamo, con contratti che danno ampie tutele. La partita iva per i giovani invece è la maggiore forma di precariato, di incertezza per il futuro e pericolo sociale. Messaggi utili: vai a lavorare, impara, tutelati, formati, poi se hai le capacità ti metti per conto tuo. Sennò creiamo dei poveri”.

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