Nella relazione tra Golfo e Stati Uniti i semiconduttori – elementi fondamentali per l’intelligenza artificiale (IA), l’elettronica, le auto elettriche, i pannelli solari e le tecnologie militari – possono davvero essere il “nuovo petrolio”.[1] Trasformando la special relationship tra monarchie del Golfo e USA in un’alleanza ad alto tasso d’innovazione. Nel 1945, a bordo dell’incrociatore USS Quincy, il presidente americano Franklin Delano Roosevelt e il re saudita Abdul Aziz ibn Saud siglavano al largo di Suez il patto “petrolio per sicurezza”: quel paradigma che ha dato struttura, per ottant’anni circa, all’alleanza fra Riyadh e Washington.
Non è esagerato sostenere che nel 2025 il viaggio dell’attuale presidente americano Donald Trump nel Golfo (13-16 maggio) abbia contribuito a ridisegnare le fondamenta della relazione speciale fra Stati Uniti e Arabia Saudita (nonché con Emirati Arabi Uniti e Qatar). Tra Golfo e USA i microchip possono diventare il nuovo petrolio perché le ambizioni e i capitali di Riyadh, Abu Dhabi e Doha e le tecnologie di Washington sono complementari, generando una partnership potenzialmente in grado di fare la differenza nell’innovazione tecnologica. A discapito della Cina che, come previsto, vede ridimensionarsi le prospettive di cooperazione strategica con le monarchie della regione.
C’è al momento una sola grande incognita in un quadro ormai definito: la guerra tra Israele e Iran. Il coinvolgimento di Washington nel conflitto aumenta i rischi, già alti, di ripercussioni regionali. Per l’Arabia Saudita e le altre monarchie, la posta in gioco è altissima, come testimoniano proprio gli accordi tecnologici firmati un mese fa, che necessitano di un contesto di stabilità per realizzarsi appieno.
Arabia ed EAU: corsa alla produzione interna
In tema di semiconduttori, Arabia Saudita ed EAU fanno sul serio, con un ritmo di investimenti che suggerisce anche una competizione – a suon di sconti fiscali e benefit – tra chi riuscirà ad attrarre più investitori. Nel 2024 il fondo sovrano saudita (Saudi Public Investment Fund, PIF) ha dato vita ad Alat, compagnia con una dote da 100 miliardi di dollari e una missione: trasformare il regno in un hub mondiale per la realizzazione di semiconduttori. Riyadh intende aprire 50 compagnie di progettazione di microchip entro il 2030, in collaborazione con la King Abdulaziz City for Science and Technology.
Negli Emirati il conglomerato tecnologico G42 (fondato nel 2018) ha lanciato nel 2024, insieme al suo investitore Mubadala (il fondo sovrano emiratino), una compagnia, MGX, che si occupa della progettazione e della realizzazione di tali dispositivi. A guidare MGX c’è Shaykh Tahnoon bin Zayed Al Nahyan, businessman, consigliere alla sicurezza nazionale nonché fratello del presidente emiratino. Shaykh Tahnoon è l’uomo-chiave della trasformazione economica della federazione: a lui fanno capo il fondo sovrano di Abu Dhabi (Abu Dhabi Investment Authority), G42 e International Resources Holding, quest’ultima impegnata anche nella supply chain delle materie prime critiche essenziali, tra l’altro, per semiconduttori e IA.
Arabia Saudita: microchip e formazione professionale
Durante la tappa saudita del tour nel Golfo di Trump, la compagnia statunitense NVIDIA ha annunciato un contratto con Humain, nuovissima start-up saudita di IA: la compagnia americana esporterà “centinaia di migliaia” di microchip per l’intelligenza artificiale, tra cui quelli più tecnologicamente avanzati. Humain, che fa capo al fondo sovrano saudita, svilupperà capacità di IA anche per data center, infrastrutture digitali e cloud. Nel comunicato stampa le due compagnie sottolineano l’intenzione di fare dell’Arabia Saudita “a global leader in AI, GPU cloud computing and digital transformation”, ponendo dunque enfasi sui processori altamente performanti che alimenteranno impianti IA con una capacità fino ai 500 megawatt.
L’accordo include iniziative di formazione e aggiornamento per i lavoratori sauditi coinvolti: la “saudizzazione” del settore privato è un cardine di Vision 2030. Le monarchie del Golfo, a cominciare da Riyadh, sono consapevoli che la sfida della formazione è più che mai decisiva affinché le ambizioni tecnologiche possano trasformarsi in realtà.
Altre compagnie americane del settore, come Advanced Micro Devices e Qualcomm, hanno stretto accordi con Humain. Tra USA e Arabia Saudita la rotta degli investimenti tecnologici non è soltanto Washington-Riyadh: la compagnia saudita DataVolt investirà in suolo americano 20 miliardi di dollari in data center e infrastrutture energetiche collegate.
EAU: via libera ai semiconduttori “made in USA”
Sui semiconduttori gli Stati Uniti hanno quindi scelto di cambiare passo. Durante la tappa emiratina Trump ha annunciato che USA ed Emirati Arabi “si sono accordati circa la creazione di un percorso” per permettere ad Abu Dhabi di comprare “alcuni dei più avanzati semiconduttori per l’IA da compagnie americane”. Il riferimento è all’accordo raggiunto lo scorso maggio fra G42 e NVIDIA per l’importazione di 500mila microchip all’anno, almeno fino al 2027 (forse 2030). Ciò permetterebbe agli Emirati Arabi di procedere nella costruzione di data center per lo sviluppo di modelli d’intelligenza artificiale.
L’accordo preliminare tra Washington e Abu Dhabi sui semiconduttori rappresenta una svolta rispetto alla politica della precedente amministrazione (la AI Diffusion Rule di Biden è stata abrogata). La presidenza Biden aveva infatti posto restrizioni di legge all’export di microchip per impedirne l’acquisizione indiretta da parte cinese, nel quadro della rivalità sistemica con Pechino. Secondo Reuters, il contratto G42-NVIDIA triplicherebbe o quadruplicherebbe la capacità di processare dati (computing power) degli Emirati rispetto a quanto previsto dalla precedente amministrazione americana.
Inoltre, la Casa Bianca ha annunciato una partnership con gli Emirati Arabi, sempre tramite G42, per la costruzione di un grande data center per l’IA ad Abu Dhabi. Il campus, da 5 gigawatt di capacità, sarà il più grande al di fuori dagli Stati Uniti e fornirà servizi cloud, gestiti dagli USA, per l’intera regione. Secondo Washington, l’accordo “contiene forti garanzie di sicurezza per prevenire il passaggio di tecnologia americana” nel quadro della US-UAE AI Acceleration Partnership per la cooperazione nel settore IA e tecnologie avanzate. A marzo gli emiratini avevano annunciato investimenti per 1.400 miliardi di dollari negli Stati Uniti nell’arco di 10 anni, fra tecnologie, energia e industria.
Per gli Emirati Arabi, la svolta americana sui semiconduttori rappresenta un tonico per le ambizioni industriali della federazione: Abu Dhabi e le altre monarchie del Golfo non fanno mistero di voler diventare produttori ed esportatori di tecnologia avanzata. Un obiettivo che permetterebbe loro, innanzitutto, di progredire nella diversificazione economica e nell’innovazione tecnologica e, sul piano geopolitico, di sottrarsi alla scomoda dicotomia USA-Cina, ormai una costante della politica americana.
Nella percezione di Abu Dhabi questi accordi incarnano infatti il passaggio da una relazione bilaterale “energy-based” a una partnership “dinamica” fondata su tecnologia e innovazione. Una partnership digitale che guarda anche a investimenti in Paesi terzi, come l’accordo da un miliardo di dollari tra Microsoft e G42 per rafforzare la rete digitale del Kenya siglato nel 2024, all’indomani del maxi-investimento di Microsoft in G42 (pari a 1,5 miliardi di dollari).
Qatar: avanguardia nella tecnologia quantistica
Tra Qatar e Stati Uniti non sono i semiconduttori i protagonisti degli accordi nel mondo dell’innovazione, ma la tecnologia quantistica. Durante il viaggio di Trump a Doha, la compagnia americana Quantinuum ha stretto una joint venture con il gruppo qatarino Al Rabban Capital. Secondo l’accordo, l’emirato del Qatar investirà fino a un miliardo di dollari in tecnologia quantistica e formazione professionale, diventando così uno dei Paesi con maggiori investimenti nel settore. L’informatica quantistica (quantum computing) non ancora commercializzata necessita di dataset e tecnologie IA per funzionare, ma ha minori consumi energetici di altre tecnologie. L’obiettivo della cooperazione qatarino-statunitense è, quindi, rendere commercializzabile questa tecnologia emergente.
La variabile Taiwan e il rapporto Golfo-Cina
Dunque, la partnership tra Golfo e USA ull’IA ha cambiato passo, come testimoniato dai contratti di NVIDIA per l’export di semiconduttori. L’immediata ricaduta geopolitica riguarda lo stop agli investimenti tecnologici di Riyadh e Abu Dhabi con la Cina – già in atto dal 2024 seppur con forme diverse – nonché l’apertura di possibili trattative con Taiwan.
È di queste settimane la notizia che Taiwan Semiconductor Manufacturing (TSMC) sarebbe interessata ad aprire una fabbrica di semiconduttori negli Emirati Arabi. I dirigenti della compagnia di Taipei, che al momento hanno negato questa ipotesi, si erano già recati negli Emirati nel 2024 per discutere di possibili investimenti. Dal momento che TSMC produce microchip anche per le statunitensi NVIDIA e Advanced Micro Devices, l’operazione necessiterebbe dell’approvazione di Washington, data la rivalità con la Cina. Tuttavia, la recente firma della US-UAE AI Acceleration Partnership ridimensiona l’ipotesi di un altolà da parte americana. Per quanto riguarda l’Arabia Saudita, il regno è già il primo partner commerciale di Taiwan in Medio Oriente e nel 2023 è stato inaugurato il Taiwan Trade Center a Riyadh per promuovere le collaborazioni pubblico-privato fra le imprese dei due Paesi.
In tema di produzione di microchip, il gigante tecnologico Taiwan e le ambiziose monarchie del Golfo sono dei competitor. Tuttavia, gli investimenti dell’americana NVIDIA nel Paese, dove si produce il 60% circa dei semiconduttori mondiali e oltre il 90% dei più avanzati (“leading-edge”), inseriscono ora Arabia Saudita ed Emirati Arabi in un network tecnologico più vasto, aprendo la strada a possibili sinergie, a cominciare dalla formazione di lavoratori qualificati.
Le implicazioni per la difesa
In poco più di un anno Arabia Saudita ed Emirati Arabi sono passati da una cooperazione tecnologica sempre più stretta con la Cina – anche nel campo dell’IA – a una partnership privilegiata con gli Stati Uniti. Nel mezzo, la scelta emiratina di disinvestire dagli asset tecnologici cinesi e la disponibilità dei sauditi a farlo (anche se Riyadh aveva iniziato a investire in nuove tecnologie più tardi di Abu Dhabi). Siccome il nesso tecnologia-difesa diventa sempre più profondo, non è da escludere che Arabia ed Emirati optino in futuro per un ridimensionamento di alcune forme di cooperazione militare con Pechino.
Sull’economia tech, ovvero il perno della difesa di domani, il Golfo ha cavalcato il suo “momento multipolare” finché è stato politicamente possibile. Di fronte alla prospettiva di dover rivedere le proprie ambizioni nazionali, sauditi ed emiratini hanno infine scelto Washington – in questo settore – lasciando intravedere i segni di una stagione nuova. Visto dal Golfo, il multipolarismo appare un po’ meno multipolare di ieri. Anche se in Medio Oriente la diplomazia saudita continuerà a fare leva anche sulla Cina, nel tentativo di contenere la destabilizzazione della regione.
[1] Parafrasando la riflessione di Daniel Yergin, The Prize: The Epic Quest for Oil, Money and Power, NY: Simon & Schuster, 1991.
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