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“Serve prima un accordo generale”


I Paesi del G7 hanno accettato di esonerare le multinazionali USA della Global Tax: l’OCSE frena sull’ennesima vittoria incassata da Trump

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Mentre proseguono i lavori del G7 che si è riunito in questi giorni, sembra sempre più evidente che l’obbiettivo generale sia quello di soddisfare tutti i capricci del presidente USA Donald Trump con i “grandi 7” che hanno raggiunto un accordo per esonerare dalla Global Tax le multinazionali statunitensi, il tutto in cambio di un possibile ritiro di quelle che lo stesso inquilino della Casa Bianca chiamò “revenge tax”, ovvero “tasse di vendetta”.



Facendo un passo indietro, è utile ricordare che la Global Tax esiste ormai dal 2021 quando in occasione di una riunione generale dell’OCSE – ovvero l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico – 139 (poi diventati 147) paesi al mondo accettarono di introdurre una tassa generalizzata del 15% che avrebbe colpito tutte le multinazionali mondiali con fatturato superiore ai 750 milioni di dollari, prevedendo anche un meccanismo di ripartizione degli utili che sarebbe scattato solo al superamento dei 20 miliardi di dollari di fatturato.



L’obbiettivo chiaro e dichiarato della Global Tax era quello di colpire le grandissime multinazionali che sfruttano i paradisi fiscali per eludere le tassazioni dei rispettivi paesi: neanche a dirlo il focus principale era stato posto sulle aziende statunitensi e, soprattutto, sulle cosiddette “Big Tech” che da sempre pagano cifre irrisorie di tasse, pur a fronte di fatturati stellari (si consideri che nel 2023 Meta ha fatturato 134 miliardi e Microsoft addirittura 245).

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Il G7 fa cadere la Global Tax: esonerate dal pagamento le multinazionali e le Big Tech USA

Non servirà neppure precisare che alle Big Tech e alle multinazionali USA, ovviamente, la Global Tax non è mai neppure lontanamente piaciuta, ma si è dovuto attendere l’arrivo di Trump affinché qualcuno si esponesse per difendere i loro (altissimi) interessi commerciali: già da tempo il tycoon, infatti, aveva promesso l’introduzione di una revenge tax del 20% che avrebbe colpito indistintamente e automaticamente i paesi firmatari della Global Tax.



Il G7 a Kananaskis, in Canada (Foto: ANSA-EPA/SPENCER COLBY)

Una minaccia che sembra aver avuto i suoi positivi effetti perché – esattamente come il controverso tema degli investimenti in Difesa promossi dallo stesso Trump, in sede del vertice NATO – all’Aja i paesi del G7 (ovvero Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e USA) hanno candidamente accettato di esonerare le multinazionali statunitensi dal pagamento della Global Tax, rendendola – di fatto – pressoché inutile; mentre Trump ha accettato di esonerare i medesimi paesi dal pagamento della revenge tax.

La presidenza canadese del G7 parla di un vero e proprio “progresso nella stabilizzazione del sistema fiscale internazionale” grazie all’accordo sulla Global Tax, mentre il nostrano ministro Giorgetti l’ha descritto come un “onorevole compromesso”; ma a tirare il freno a mano ci ha pensato la stessa OCSE che – tramite il responsabile della divisione fiscale Manal Corwin – ha fatto sapere che il G7 non ha competenze per prendere questo tipo di decisione, sottolineando che spetterà alla plenaria del 147 firmatari esprimere il loro parere vincolante.



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