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Start-up in sordina e i soldi tornano ai grandi colossi


I fondi che investivano nelle start-up scorrevano come l’acqua, ora i soldi tornano nelle mani dei grandi colossi. Oggi il fenomeno sopravvive in forma più silenziosa e selettiva, ma ancora potentissima

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Se vi sembra che le start-up, quelle che fino a ieri riempivano le prime pagine dei giornali con eccentrici visionari, un po’ geni e un po’ naïf, e valanghe di milioni, siano scomparse dai radar, non è un’impressione sbagliata: l’ecosistema digitale ha abbassato il volume.
Dopo l’orgia di capitali del biennio 2021-22, quando i venture capital (fondi che investono nelle imprese giovanissime e rischiose) scorrevano facili come l’acqua, il fenomeno non è morto: è mutato. Oggi sopravvive in forma più silenziosa e selettiva, ma ancora potentissima. Il primo trimestre 2025 ha visto rifluire 126 miliardi di dollari nelle tasche delle neo-imprese, il valore più alto da due anni.

Lo certifica il “Global Venture Pulse” di Kpgm, ma lo stesso rapporto avverte che quasi un terzo di quella cifra è finito sul conto di un solo beneficiario: OpenAI, fresca di un assegno record da 40 miliardi per spingere l’intelligenza artificiale. Sotto la superficie, il quadro cambia colore: i cosiddetti “round seed” (letteralmente: “raccolte seme”), la primissima iniezione di capitale, sono calati di oltre un terzo rispetto all’anno scorso, come rivela CB Insights. Il denaro non si è ritirato, dunque; si è semplicemente raggrumato in poche piazze e in pochissimi progetti di alta tecnologia, quelli che divorano chip, elettroni e miliardi.

Questa polarizzazione è lampante se si guarda alla geografia dei flussi. Stati Uniti e Canada, secondo le rilevazioni di Crunchbase, assorbono oltre il settanta per cento dei capitali globali, alimentati da mega-round in intelligenza artificiale, difesa e semiconduttori. In America Latina, invece, la fotografia è più vivace che drammatica: Reuters calcola un aumento del 26 per cento degli investimenti nel 2024, grazie a una popolazione giovane e a servizi digitali per i pagamenti e l’e-commerce, che scorrono ormai sullo smartphone di quasi chiunque.

Sul lato opposto della bilancia, il Sud-Est Asiatico tocca il minimo storico con meno di un miliardo di dollari raccolto nei primi tre mesi dell’anno, mentre in Africa la società di ricerca Partech parla di “cauta ripresa”: dopo il gelo del 2023, il continente si è fermato attorno ai due miliardi, con più acquisizioni che nuove società. Morale: il Nord globale fa il pieno, il Sud deve contendersi le briciole, e i riflettori mediatici finiscono là dove brillano i numeri a nove zeri.

Il vecchio continente non sta fermo, ma procede in folle. Sempre Kpmg conteggia 18 miliardi di dollari investiti fra gennaio e marzo, esattamente la stessa cifra di fine 2024. La vetrina è meno affollata, ma il retrobottega pullula: il rapporto di Atomico “State of European Tech” censisce più di 350 potenziali “unicorni” (le start-up non ancora quotate in borsa, che raggiungono una valutazione di almeno un miliardo di dollari) pronti a tentare la Borsa entro il 2026.

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L’ottimismo, tuttavia, inciampa negli scivoloni eccellenti: Northvolt, la gigafactory di batterie celebrata come simbolo della transizione verde, è finita tristemente in tribunale con otto miliardi di debiti. Bruxelles tenta di tappare le falle con la bozza dello Startup & Innovation Act, che promette regole fiscali omogenee e 1,4 miliardi extra per l’EIC Accelerator (il programma dell’European Innovation Council che, con contributi a fondo perduto, sostiene le start-up europee ad alta tecnologia) e con il programma delle Regional Innovation Valleys, pensato per portare laboratori e capitali nelle aree più lente. L’obiettivo è colmare un divario interno che vale ancora quattro a uno fra Nord e Sud dell’Unione.

Dentro i confini nazionali la musica è più sommessa ma non depressiva. Financecommunity ha contato 1,5 miliardi di euro investiti in 417 iniziative nel 2024, il 28 per cento in più dell’anno prima. È pur sempre lo 0,07 per cento del nostro Pil, contro lo 0,20 tedesco, però il numero cresce. Il vero problema è la distribuzione: l’osservatorio di Intesa Sanpaolo e Aifi certifica che metà delle società finanziate si colloca tra Lombardia e Piemonte, mentre l’intero Mezzogiorno raccoglie meno del nove per cento dei capitali. Il Parlamento ha prorogato la detrazione del 50 per cento per chi investe in start-up innovative e, con il Pnrr, CDP Venture (creata allo scopo dalla Cassa Depositi e Prestiti) gestisce 2,3 miliardi destinati a digitalizzazione e transizione verde. Restano scarsi, però, i fondi capaci di accompagnare le imprese oltre la serie B, cioè la fase di espansione internazionale.

La traiettoria globale si riflette nelle storie emblematiche. OpenAI, con il suo finanziamento da capogiro, dimostra che se l’idea è abbastanza radicale i soldi piovono ancora. Northvolt, caduta dal piedistallo in pochi mesi, ricorda quanto sia rischioso costruire faraonici progetti industriali senza margini di breve periodo. Dall’altra parte dell’Atlantico, Nubank ha superato i cento milioni di clienti e nel 2024 ha portato a casa utili per 2,2 miliardi di dollari: segno che il Sud globale può scalare e produrre profitti veri. In Africa, la nigeriana Moniepoint ha guadagnato lo status di “unicorno” puntando sui pagamenti digitali nelle zone meno servite dalle banche tradizionali. In Italia, infine, anche il caso Bending Spoons è un manuale di luci e ombre: dopo aver comprato WeTransfer, l’azienda milanese ha tagliato tre quarti del personale, dimostrando quanto sia complicato trattenere competenze quando si esce dal proprio cortile.

La prima lezione è che non eravamo di fronte a una moda passeggera. Il modello start-up vive e lotta insieme a noi, ma ha smesso di premiare la semplice velocità di crescita: oggi gli investitori vogliono vedere margini operativi, non solo le slide patinate delle presentazioni. La seconda è che il denaro continua a scorrere, ma piove dove ha già piovuto: la Silicon Valley, poche città cinesi e qualche hub emergente si spartiscono quasi tutto, mentre gli altri ecosistemi arrancano. La terza lezione riguarda il consueto rapporto squilibrato tra Nord e Sud, dentro e fuori i confini: il Sud del mondo, così come il Mezzogiorno italiano, dispone di talenti e incentivi, ma soffre la mancanza di fondi locali e di reti universitarie robuste.

Infine, le politiche pubbliche possono essere decisive: garanzie statali, norme fiscali amichevoli e programmi europei possono accelerare o frenare la crescita degli ecosistemi minori. Il viaggio, insomma, non è finito: si è solo fatto meno rumoroso. Meno clamore e più sostanza significa che le buone idee, sostenibili nei conti e rilevanti per la società, hanno ancora spazio per diventare grandi. Tocca a noi, lettori e cittadini, capire se vogliamo limitarci a osservare il gioco dal bordo del campo o provare a spostare la partita, magari in quei territori dove il silenzio non è vuoto ma attesa di futuro.

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