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500mila ingressi, il 92% a rischio irregolarità


Il Governo annuncia 500mila ingressi ma il sistema è un inganno: solo l’8% ottiene un contratto. Una scelta politica che alimenta il lavoro nero.

Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al nuovo decreto flussi per il triennio 2026-2028, programmando l’ingresso di quasi 500.000 lavoratori stranieri. Nella relazione illustrativa, il Governo ribadisce la sua strategia: “deciso contrasto all’immigrazione irregolare e apertura all’immigrazione legale”. A tal fine, le quote sono state aumentate rispetto al passato, con un sistema che conferma il meccanismo del “click day” e introduce una ripartizione territoriale delle domande.

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La narrazione ufficiale è quella di una programmazione attenta, che vuole rispondere alle esigenze delle imprese in settori chiave come agricoltura, turismo e assistenza familiare. Tuttavia, dietro la facciata di questi numeri e delle buone intenzioni, si cela un meccanismo normativo che, nei fatti, opera in direzione diametralmente opposta, agendo come una vera e propria fabbrica di irregolarità.

L’inganno del click day: un meccanismo che produce fantasmi

Il sistema del decreto flussi, così com’è strutturato, è un paradosso giuridico. Se da un lato apre le porte a centinaia di migliaia di persone, dall’altro le abbandona in un limbo normativo dal quale è quasi impossibile uscire. I dati, forniti dall’associazione “Ero Straniero” sulla base di accessi agli atti ministeriali, sono impietosi: delle quote di ingresso autorizzate, solo il 7,8% si trasforma in un permesso di soggiorno per lavoro regolare.

Cosa accade al restante 92%? Queste persone, dopo aver pagato intermediari e affrontato un iter burocratico per ottenere un visto sulla base di una richiesta di un datore di lavoro italiano, arrivano nel nostro Paese. A questo punto, però, la legge rivela la sua falla più grave: non esiste alcun obbligo vincolante per il datore di lavoro di procedere all’assunzione. Se l’azienda cambia idea o, peggio, ha utilizzato la chiamata solo per scopi fraudolenti, il lavoratore si ritrova senza contratto e, di conseguenza, senza la possibilità di ottenere il permesso di soggiorno. Una volta scaduto il visto d’ingresso, diventa a tutti gli effetti un “irregolare”, un fantasma per lo Stato.

Dalla promessa al caporalato: la complicità normativa del governo

Questa falla non è un dettaglio tecnico, ma il motore di un sistema di sfruttamento. Il lavoratore, entrato legalmente in Italia con la speranza di un impiego, si trova improvvisamente ricattabile, costretto ad accettare qualsiasi condizione pur di sopravvivere. È questo il terreno fertile su cui prosperano il lavoro nero e il caporalato. La tragica morte di Satnam Singh, il bracciante abbandonato a morire dopo un incidente sul lavoro nell’agro pontino, non è un’anomalia, ma la conseguenza estrema e inevitabile di un sistema che produce vulnerabilità.

Il Governo è pienamente consapevole di questa stortura. La drastica riduzione delle domande per lavoro stagionale nel 2025, citata nella stessa relazione governativa, è legata proprio alle nuove norme anti-truffe, a dimostrazione che il problema degli abusi era noto. Eppure, di fronte a un crollo di oltre il 92% delle persone che riescono a ottenere un contratto, la scelta è quella di confermare in blocco il sistema del click day, definendo “sbrigativo” chi ne propone l’abbandono. Si sceglie di non intervenire sul cuore del problema: la totale assenza di tutele per il lavoratore e di responsabilità per il datore di lavoro.

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Le domande inevase: un’analisi giuridica della stortura

Dal punto di vista giuridico, la situazione solleva interrogativi che non possono più essere ignorati.

È compatibile con l’articolo 3 della Costituzione, che sancisce il principio di uguaglianza, un sistema che genera per via legislativa una disuguaglianza di fatto, creando una massa di persone prive di diritti e facilmente sfruttabili?

È tollerabile, in uno Stato di diritto, che l’ingresso regolare nel territorio nazionale possa trasformarsi in una condizione di clandestinità per la mera inerzia o per l’arbitrio di un soggetto privato (il datore di lavoro), senza alcuna forma di tutela per chi subisce il danno?

Le soluzioni tecniche per sanare questa ferita normativa sarebbero semplici: basterebbe introdurre un obbligo di assunzione a carico del datore di lavoro che attiva la chiamata, oppure garantire al lavoratore, una volta giunto in Italia con un visto valido, un permesso di soggiorno temporaneo per la ricerca di un nuovo impiego. Il legislatore ha gli strumenti, ma manca la volontà.

Conclusione: una scelta politica mascherata da emergenza

L’ostinazione con cui si perpetua un meccanismo palesemente fallato induce a una conclusione amara. La creazione di un bacino di manodopera irregolare e a basso costo non sembra essere un effetto collaterale del sistema, ma il suo obiettivo non dichiarato. Mentre si lamenta la mancanza di lavoratori in agricoltura, si alimenta un sistema che li rende schiavi. Mentre si stanziano (e si rischia di perdere) fondi del PNRR per gli alloggi, si spingono le persone a vivere in condizioni disumane.

La domanda finale, dunque, non è più tecnica ma squisitamente politica: la clandestinità generata dal decreto flussi è davvero un’emergenza da contrastare o non è, piuttosto, una scelta funzionale a un modello economico che si fonda sullo sfruttamento?



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