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Formazione e occupazione. Il mismatch costa 44 miliardi


DOMANDA e offerta di lavoro non si parlano. Una frattura che nel 2023 è costata all’Italia 43,9 miliardi, pari al 3,4% del Pil dei settori analizzati. Cifra che non si misura solo in euro, ma in occasioni perse, ritardi industriali e crescita bloccata. È il quadro tracciato dal rapporto “Formazione e Lavoro 2025” dell’Osservatorio Proxima, curato da Enzima12. I numeri sono allarmanti: tra difficoltà a reperire personale e tempi lunghi per l’inserimento – da 2 a 12 mesi – le imprese faticano a trovare i profili giusti. E quando li trovano, spesso mancano gli strumenti per aggiornarli. Solo il 36% degli adulti italiani tra i 25 e i 64 anni ha partecipato ad attività di formazione o aggiornamento nell’ultimo anno. La media europea sfiora il 50%. E se da un lato migliora leggermente la partecipazione recente (11,6% nelle ultime quattro settimane secondo Eurostat), il problema resta strutturale.

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Tempi familiari e professionali inconciliabili, ostacoli economici e una cultura ancora debole della formazione permanente frenano l’aggiornamento delle competenze. “Il mismatch non è solo una questione tecnica, ma un costo sistemico che rallenta la competitività”, spiega Fabrizio Gallante (primo a sinistra nella foto), managing partner di Enzima12. Le imprese, infatti, non sono tutte uguali. Solo il 21,1% delle microimprese investe in formazione, contro oltre il 54% delle grandi aziende. Un divario che alimenta disuguaglianze nel tessuto produttivo e frena la diffusione di competenze essenziali per la transizione digitale ed ecologica. Il numero di imprese che ha organizzato corsi è addirittura calato: da 726.960 nel 2022 a 708.940 nel 2023.

Eppure, i contenuti formativi stanno cambiando. Il 41,6% delle imprese si concentra su digitalizzazione (cybersecurity, tecnologie 4.0, digital marketing), mentre il 30,3% punta sulla transizione green. Anche l’intelligenza artificiale entra tra le priorità del terzo Fondo Nuove Competenze, accanto a digitale, ambiente e welfare. Ma la tecnologia, da sola, non basta. Il nodo è anche finanziario: il 76,8% delle aziende autofinanzia la formazione, e solo il 15,4% usa i fondi interprofessionali, che però muovono quasi un miliardo di euro l’anno. Le piccole imprese li usano poco (8,5%), nonostante ne avrebbero maggior bisogno.

A pesare è anche il divario di genere: solo il 56,5% delle donne è occupato, 19,5 punti in meno rispetto agli uomini. Un gap che si riflette sull’accesso alla formazione e alla crescita professionale. In prospettiva, lo scenario demografico non aiuta. Entro il 2050, per ogni 1.400 senior in uscita, entreranno solo 1.000 giovani. L’età mediana è oggi 48,4 anni, e salirà oltre i 51 nei prossimi 25 anni.

“La tecnologia può aiutare, ma da sola non basta – spiega Vincenzo Vietri (ultimo a destra nella foto), co-fondatore di Enzima12 – Bisogna valorizzare il patrimonio di competenze dei senior e trasformarlo in risorsa formativa per i giovani. Serve una strategia nazionale che rilanci ITS, Pmi, donne e nuove competenze. E in Europa dobbiamo chiedere di escludere la formazione dal regime degli aiuti di Stato, per renderla davvero un pilastro delle politiche attive”.

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