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il piano Meloni riapre le viscere dell’Isola in cerca di terre rare


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La Sardegna, storicamente terra di miniere, torna al centro delle attenzioni del governo nazionale. Con l’approvazione del Programma Nazionale di Esplorazione Mineraria (Pne) da parte del Comitato Interministeriale per la Transizione Ecologica (Cite), l’Italia si rimette a scavare nel suo sottosuolo, con l’Isola chiamata a essere nuovamente e pesantemente trivellata. 

Non è un caso: la Sardegna, con i suoi giacimenti di fluorite, rame, tungsteno e terre rare, è da sempre il perno dell’attività estrattiva italiana. Dietro le promesse di rilancio economico e indipendenza dalle importazioni straniere si agitano i fantasmi del passato e le incognite di un futuro che potrebbe mettere in discussione l’autonomia regionale.

Il piano, affidato a Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) con un investimento iniziale di 3,5 milioni di euro, prevede 14 progetti di esplorazione distribuiti in 11 regioni italiane. In Sardegna, si concentrano alcune delle aree più promettenti, come il distretto di Funtana Raminosa, nel centro-sud dell’isola, dove si cercheranno rame, tungsteno, terre rare e altri minerali strategici, e la miniera di Genna Tres Montis, a Silius, destinata a diventare una delle principali fonti di fluorite in Europa una volta completati i lavori di ristrutturazione. La fluorite, usata nell’industria dell’acciaio, dell’elettronica e delle batterie agli ioni di litio, è solo una delle materie prime critiche che l’Europa considera vitali per la transizione ecologica e digitale.

Il governo Meloni, con il ministro delle Imprese Adolfo Urso in prima linea, parla di “sovranità industriale ed energetica” e di un “ritorno strategico” alla valorizzazione delle risorse minerarie italiane. L’obiettivo è chiaro: ridurre la dipendenza da paesi come la Cina, che dominano il mercato delle terre rare, indispensabili per microchip, batterie e tecnologie verdi. In Sardegna, oltre a Funtana Raminosa e Silius, si esploreranno anche aree come la soglia di Siliqua e i vecchi distretti minerari come Montevecchio, dove si punta non solo a nuovi giacimenti ma anche al recupero di rifiuti estrattivi, quei 150 milioni di metri cubi di scarti che, secondo ISPRA, potrebbero trasformarsi da problema ambientale a risorsa economica.

La prima fase del programma, che dovrebbe concludersi tra giugno e luglio 2026, sarà esplorativa e non invasiva: niente scavi ma rilievi geochimici, immagini satellitari, radiografie muonica e intelligenza artificiale per mappare il sottosuolo. Solo in un secondo momento, previa autorizzazione ambientale, si passerà a sondaggi più approfonditi. Il tutto sotto la supervisione di ISPRA, che dovrà vigilare per evitare trivellazioni selvagge e coinvolgere enti locali e comunità, spesso scettiche di fronte a progetti che evocano le ferite di un passato minerario fatto di sfruttamento intensivo e abbandono.

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E qui si apre il nodo politico. La Sardegna, con il suo statuto speciale, ha competenze primarie sul settore minerario, ma il decreto governativo rischia di ridimensionare questa autonomia. Le aspettative sono alte. La miniera di Silius, gestita dalla Mineraria Gerrei con un investimento di 50 milioni di euro (di cui una parte finanziata da Aruba), promette di estrarre 70 mila tonnellate di fluorite e 6.800 tonnellate di galena all’anno, creando un centinaio di posti di lavoro. A Buddusò, in provincia di Sassari, l’Università di Ferrara ha individuato un giacimento di terre rare tra i più promettenti d’Europa, con minerali come lantanio e neodimio nascosti negli scarti di una cava di granito. Ma non mancano le ombre: l’impatto ambientale, nonostante le rassicurazioni sulle tecniche non invasive, preoccupa le comunità locali, memori delle discariche di Montevecchio e dei fanghi tossici lasciati dalle vecchie miniere.

Il governo Meloni scommette su un rilancio minerario “moderno e sostenibile”, in linea con il Regolamento UE sulle Materie Prime Critiche (Crma) del maggio 2024. Ma la Sardegna, che ha pagato per secoli il prezzo dello sfruttamento del suo sottosuolo, guarda con diffidenza a un piano che potrebbe portare ricchezza ma anche nuovi rischi. Tra le promesse di indipendenza energetica e le ferite di un passato mai del tutto chiuso, l’Isola si prepara a riaprire le sue viscere. Riuscirà il governo a convincere i sardi che questa volta sarà diverso?

 



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