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Le conseguenze della proposta Omnibus sul sistema bancario


Il presente contributo analizza la proposta di Direttiva Omnibus volta a ridisegnare il quadro di regolamentazione in materia di sostenibilità, soffermandosi sui suoi potenziali effetti per il sistema bancario.

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Abstract

La proposta legislativa della Commissione Europea Omnibus 2025/0044 (COD) segna una svolta nel design normativo della regolamentazione che contorna la sostenibilità, esaminando la direzione strategica dell’Unione.

In un panorama geopolitico con un USA disimpegnato, una Cina ambigua e un consenso internazionale sul clima frammentato, l’UE ha introdotto misure volte a ridurre gli obblighi di reporting sulla sostenibilità semplificando i requisiti e restringendo il perimetro delle imprese coperte dalla Direttiva sulla Rendicontazione della Sostenibilità delle Imprese (CSRD).

La proposta è stata ricevuta positivamente dai mercati industriali e finanziari che da tempo si sono lamentati del carico amministrativo e della difficoltà di conformarsi. Tuttavia, è stata anche interpretata come un segno di un passo indietro normativo, possibilmente in contrasto con l’aspirazione europea di rivendicare la posizione di leader globale nella transizione ecologica.

A partire dall’ambivalenza appena descritta, il presente contributo si pone queste domande fondamentali: l’Omnibus è un gesto di intelligenza strategica e attenzione alle esigenze effettuali del tessuto imprenditoriale europeo, capace di reinterpretare la governance della sostenibilità nella prospettiva più pragmatica ed efficiente? Oppure rappresenta una reazione difensiva a un cambio di clima politico mondiale, con la sostenibilità che perde il centro nei processi decisionali internazionali?  Attraverso un’analisi comparata del contesto normativo pre e post-Omnibus, e una riflessione sul posizionamento delle principali economie mondiali in materia di finanza sostenibile, l’articolo esplora il significato più profondo della proposta: se essa rappresenti l’inizio di una fase più matura, mirata e selettiva della regolazione green, o piuttosto l’inizio di un disimpegno progressivo dell’UE di fronte all’asimmetria globale degli sforzi ambientali.

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1. Contesto Politico

Nel contesto contemporaneo, la sostenibilità ha assunto un ruolo centrale nel dibattito geopolitico, divenendo, secondo le parole di Jeffrey Sachs (2006), la nuova “guerra fredda” del nostro secolo[1].

La sua definizione di “geopolitica della sostenibilità” sottolineava già allora come la stabilità globale dipendesse non solo dall’equilibrio delle superpotenze, ma anche dalla necessità di affrontare le crisi ecologiche, le disuguaglianze sociali e la destabilizzazione istituzionale in modo sinergico. Quasi vent’anni dopo, la ‘sostenibilità’ è emersa come un megatrend catturando governi, mercati e agende strategiche, sebbene all’interno di un contesto fondamentalmente plasmato da nuove fratture geopolitiche e da un crescente senso di fragilità sistemica.

In particolare, l’Unione Europea (UE), la Cina e gli Stati Uniti sono emersi come attori altamente motivati, ciascuno affermando di voler guidare la transizione globale verso pratiche più sostenibili. Tuttavia, questa convergenza di interessi crea un sistema profondamente asimmetrico in cui l’azione efficace o i quadri giuridici adeguati non corrispondono sempre alle proclamazioni strategiche. L’UE ha tentato di colmare questo gap dotandosi di un quadro regolamentare tra i più avanzati al mondo, ma ha dovuto fronteggiare resistenze interne, divergenze tra Stati Membri e l’urgenza di riformare il proprio impianto di disclosure finanziaria per garantirne l’efficacia e la comparabilità a livello globale [2].

A causa del recente periodo storico, il contesto globale si è fatto ancora più incerto. La pandemia da Covid-19 ha riportato al centro concetti come sovranità strategica, autonomia energetica e resilienza industriale, mentre la guerra in Ucraina ha sottolineato quanto le dipendenze carbonifere e le vulnerabilità infrastrutturali possano trasformarsi in vere e proprie minacce per la sicurezza nazionale. Basti pensare alle continue migliorie e alle strategie messe in atto con l’ottica di creare un’infrastruttura energetica sana e meno inquinante possibile, e a come finiscano per essere completamente irrilevanti in situazioni di instabilità politica che comportino conseguenze come quelle che ha avuto la guerra Russo – Ucraina sull’economia energetica mondiale.

Alla luce di questi eventi particolari, la sostenibilità è ora compresa in termini più difensivi, non solo come transizione ecologica, ma anche come protezione dagli shock geopolitici, mitigazione dei rischi di approvvigionamento e l’emergere di un nuovo equilibrio multipolare[3].

Non a caso, ​la ventesima edizione del Global Risks Report del World Economic Forum[4], pubblicata nel gennaio 2025, viene segnato il 20° numero che afferma che l’immagine del mondo sta diventando sempre più frammentata, sotto una grave pressione geopolitica, sfide ambientali multifaceted e rischi tecnologici. Principalmente i conflitti globali armati tra stati segnano evidentemente il rischio più acuto per il 2025, indicando un’aumentata instabilità internazionale. Allo stesso tempo, la diffusione di disinformazione e misinformation rimane una minaccia crescente per la fiducia sociale e la coesione all’interno delle istituzioni.

Queste realtà evidenziano l’imperativo di strategie di sostenibilità solide e robuste per le banche per mitigare affrontando al contempo pressioni non ambientali, inclusi i complessi requisiti di rapidi cambiamenti politici ed economici. È sorprendente che l’ambizione di posizionarsi come pioniere della sostenibilità globale sia destinata a confrontarsi con la sistematica mancanza di strumenti, soprattutto per quanto riguarda il finanziamento.

Nonostante l’aumento degli standard ESG e l’ampliamento delle direttive europee sulla rendicontazione, persiste una forte eterogeneità tra giurisdizioni, con attori che dismettono gli obblighi informativi, altri che li riducono e solo una parte che continua a implementarli con convinzione. La sfida della sostenibilità si gioca quindi non solo nei contenuti, ma anche nella capacità di costruire un’infrastruttura normativa coerente, trasparente e accessibile, in grado di accompagnare le banche e gli investitori verso obiettivi realmente trasformativi.

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È in questo scenario che si inserisce la strategia europea di riduzione dell’onere normativo culminata nella proposta Omnibus 2025/0044 (COD), che mira a creare un sistema armonizzato e capace di riflettere le ambizioni geopolitiche dell’Unione nel campo della finanza sostenibile.

2. Leader della Sostenibilità

Nel contesto frammentato della transizione sostenibile, Unione Europea, Stati Uniti e Cina si sono posizionati come i principali aspiranti leader globali. Ciascuno di questi attori ha strutturato ambiziose strategie nazionali con l’obiettivo dichiarato di guidare il cambiamento verso un’economia decarbonizzata e resiliente.

L’Unione Europea ha assunto un ruolo pionieristico grazie al Green Deal e ai successivi piani REPowerEU e Fit for 55, ponendosi come il principale architetto normativo in materia di sostenibilità e finanza green[5]. Questa leadership, tuttavia, si scontra con una limitata capacità industriale e con la dipendenza da tecnologie critiche prodotte altrove.

Gli Stati Uniti, invece, hanno mostrato un approccio più pragmatico e industrialista, culminato con l’Inflation Reduction Act (IRA) del 2022. Il piano ha stanziato oltre 369 miliardi di dollari per la transizione energetica, con un focus su sovranità tecnologica, reshoring della produzione e incentivo agli investimenti privati[6]. Tuttavia, la natura federale del sistema statunitense e le profonde polarizzazioni politiche rendono difficoltosa l’implementazione a livello statale, rallentando in parte l’efficacia della strategia.

La Cina, infine, ha adottato un modello differente, legando la sostenibilità al proprio piano di espansione industriale. Pechino è oggi il principale produttore mondiale di pannelli solari, batterie al litio e veicoli elettrici, e ha definito obiettivi di neutralità carbonica al 2060 [7]. Tuttavia, la sostenibilità cinese è fortemente funzionale a logiche di competizione sistemica: l’obiettivo principale è dominare le filiere globali delle tecnologie pulite più che contribuire a un modello di sviluppo inclusivo o multilaterale.

Il recente contesto geopolitico precedentemente esposto, culminato dal report Globale sui Rischi 2025 del World Economic Forum, unito al cambio di priorità Statunitensi legate al clima, a seguito della rielezione di Trump, hanno causato un vero e proprio terremoto legislativo che ha ridisegnato ma non ancora ristabilito le priorità mondiali legate al mondo della sostenibilità. Le potenze precedentemente elencate, hanno iniziato un primo dietrofront dalle posizioni precedentemente intraprese nella seguente maniera.

Gli Stati Uniti, sebbene abbiano spesso rivendicato una posizione di guida nella transizione verde, la credibilità del loro impegno sul clima, è stata minata ultimamente dalla loro partecipazione discontinua agli accordi internazionali. A partire dal 2001, con il ritiro dal Protocollo di Kyoto da parte dell’amministrazione Bush, fino all’abbandono dell’Accordo di Parigi nel 2017 sotto la presidenza Trump, gli Stati Uniti hanno mostrato una fragilità strutturale nella governance climatica, aggravata da instabilità politiche interne e cambi di rotta a ogni ciclo elettorale.[8] Questo gesto, motivato come penalizzazione dell’industria americana, ha rappresentato un colpo alla cooperazione climatica globale, mettendo in discussione la tenuta stessa dell’accordo multilaterale più ambizioso mai sottoscritto.[9]

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Questa incertezza ha avuto ripercussioni anche sugli impegni del settore privato. Un caso emblematico è il progressivo disimpegno di grandi banche statunitensi dalla Net-Zero Banking Alliance (NZBA), iniziativa lanciata nel 2021 sotto l’egida delle Nazioni Unite per allineare il settore bancario agli obiettivi net-zero entro il 2050. Nel 2023, alcune delle principali banche Statunitensi, tra cui JPMorgan Chase, Morgan Stanley e Bank of America, hanno annunciato l’intenzione di uscire dall’Alleanza, citando vincoli normativi e conflitti con le proprie strategie commerciali[10]. La decisione ha rappresentato un colpo durissimo alla credibilità e tenuta delle alleanze multilaterali volontarie, mostrando come l’assenza di un framework vincolante possa rendere vulnerabile l’intento globale di raggiungere risultati di finanza e politica sostenibile.

La scelta di uscire dall’Alleanza è solo una delle varie decisioni prese dagli Stati Uniti che possano rappresentare un’effettiva retromarcia da parte della vigilanza USA. Tra le scelte degne di nota, Stati come Texas, Florida, West Virginia e Kentucky hanno approvato leggi per limitare l’uso di criteri ESG negli investimenti pubblici o per vietare rapporti con istituzioni finanziarie anti-fossili[11]. Inoltre, la Securities and Exchange Commission ha subìto pressioni politiche forti da parte del Congresso e da lobby economiche per ridurre l’ambizione della proposta di climate disclosure rule[12]. La versione finale, pubblicata nel 2024, è risultata molto più debole, con l’eliminazione dell’obbligo di rendicontare le emissioni Scope 3.[13]

A completare il quadro della ritirata USA dagli obblighi e le buone pratiche di sostenibilità, possiamo trovare le Autorità di Vigilanza Americane. Un valido esempio di “retromarcia” in quest’ambito, è rappresentato dall’Office of the Comptroller of the Currency (OCC), che tramite il suo Active Comptroller of the Currency Rodney E. Hood, ha recentemente comunicato la sua dipartita dai principi di interagenzia per la gestione del rischio finanziario legato al clima per le grandi istituzioni finanziarie. I principi che fornivano indicazioni alle banche per la gestione del rischio finanziario legato al clima sono stati ritenuti “gravosi” e “ridondanti”.  La direzione intrapresa dall’ente infatti resta quella di continuare a cercare, citando lo stesso Rodney E. Hood, “opportunità appropriate per calibrare i requisiti normativi affinché siano efficaci, non eccessivi, garantendo al contempo la sicurezza, la solidità e l’equità del sistema bancario federale”.[14] L’OCC rappresenta solo uno, tra i vari esempi di autorità di vigilanza USA in ritirata dagli obiettivi climatici o quanto meno dalla supervisione della loro attuazione. Nelle prime settimane del 2025 la Federal Reserve (FED) e la Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC) si ritirano dal Network for Greening the Financial System (NGFS)[15]. Analizzando le parole di Travis Hill, nominato in rappresentazione della FDIC in quell’occasione: “Come i leader delle agenzie hanno ripetutamente detto al Congresso e ad altri negli ultimi quattro anni, le autorità delle agenzie bancarie in questo settore sono limitate alla promozione della sicurezza e della solidità delle istituzioni, non all’utilizzo delle banche per perseguire politiche ambientali”[16], si denota un vero e proprio cambio di rotta.

A completare il quadro, il vero terremoto normativo, tuttavia, viene generato il 27 marzo 2025 dalla Securities and Exchange Commission (SEC).[17] In questa data, la SEC vota per cessare la difesa delle proprie normative sulle divulgazioni climatiche.  La SEC aveva precedentemente introdotto queste normative[18] con l’intento di permettere alle aziende di divulgare informazioni sui rischi climatici. Il dietrofront della SEC rappresenta forse il passo finale di una deregolamentazione voluta e indotta dal cambio di priorità statunitensi. Il cambio di priorità si riflette in un cambio di prospettive ed in un direzionamento delle industrie e dei mercati. Come ogni periodo di cambiamento, ad aumentare sono le incertezze verso il futuro, e in questo caso, incertezze che avranno grandi conseguenze in ambiti Ambientali, Sociali e Governativi, compromettendo in questo modo, principi e ideali che si davano per raggiunti, come i principi di trasparenza, di lavoro etico e di protezione e preservazione ambientale.

3. Pacchetto Omnibus: Deregolamentazione o Progresso Competitivo

La Non Financial Reporting Directive (NFRD) , Direttiva 2014/95/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2014, che modifica la Direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda l’obbligo di divulgazione di informazioni non finanziarie e informazioni relative alla diversità da parte di certe grandi imprese e gruppi, pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea (GUUE) L 330 del 15 novembre 2014 ed entrata in vigore il 1° gennaio 2017, segna un passo chiave negli sforzi dell’Unione Europea di aumentare la trasparenza sulle informazioni non finanziarie delle grandi imprese. La NFRD si applicava a società quotate, assicurazioni, banche e aziende di interesse pubblico con più di 500 dipendenti, per un totale approssimativo di 11.000 aziende europee in perimetro. Tutte le altre aziende, PMI e aziende private, avevano libertà di adesione alla reportistica non finanziaria. Uno dei punti deboli della NFRD individuati fu proprio l’esclusione di una grossa porzione dell’economia europea, oltre alla mancanza di standard comuni di rendicontazione e di comparabilità, affidabilità e rilevanza delle informazioni non finanziarie divulgate.

Nel 2021 l’Unione Europea risponde con la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), che aumenta il perimetro di aziende coinvolte del 320%, arrivando a circa 50.000 aziende europee, ed è affiancata da standard di rendicontazione, gli ESRS. La Direttiva (UE) 2022/2464 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 14 dicembre 2022, modifica la Direttiva 2014/95/UE per quanto riguarda la divulgazione delle informazioni sulla sostenibilità da parte delle imprese, ed è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea (GUUE) L 322 il 16 dicembre 2022. La Direttiva è entrata in vigore il 1° gennaio 2024 e gli Stati membri sono stati tenuti a recepirla nel loro ordinamento nazionale entro il 2024: in Italia, la Corporate Sustainability Reporting Directive è stata recepita con il D. Lgs. n. 125 del 06 settembre 2024, pubblicato in GU il 10 settembre 2024.

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La CSRD introduce il nuovo framework di riferimento per la rendicontazione di sostenibilità, prevedendo dei requisiti più stringenti per le aziende, non solo a livello di reporting, ma anche a livello di Governance, identificazione degli impatti, dei rischi e delle opportunità (doppia materialità), nonché a livello di revisione e trasparenza sulle informazioni condivise con i principali portatori di interesse. Nello specifico sono tenuti ad applicare la CSRD le grandi società quotate ed altri Enti di Interesse Pubblico (EIP) già soggetti alla NFRD dal 2025 (su dati 2024), dal 2028 (su dati 2027) tutte le grandi società non enti di interesse pubblico e dal 2029 (su dati 2028) le piccole e medie società quotate[19].

Nonostante ciò, la CSRD riceve altrettante critiche portando alle pressioni politiche che hanno avuto come conseguenza la presentazione del pacchetto di semplificazione Omnibus lo scorso 26 febbraio. È chiaro il ridimensionamento, in quanto la soglia per le imprese soggette alla rendicontazione CSRD è stata innalzata a più di 1.000 dipendenti, riducendo il perimetro anche rispetto alla iniziale NFRD.

La presentazione di Omnibus è stata accompagnata dalla descrizione dei vantaggi previsti in termini di semplificazione normativa, flessibilità e competitività, soprattutto per le piccole imprese. Tuttavia, sono state diverse le accuse di deregolamentazione, arrivate per esempio dalle associazioni ambientali ed umanitarie[20]. Parlare di deregolamentazione rappresenta un fallimento dell’Unione Europea, che ammetterebbe di aver creato confusione e aver perso tempo con i vari cambiamenti normativi, per non menzionare i soldi già spesi per la preparazione dei processi a supporto della rendicontazione dei dati necessari alla CSRD. Nonostante l’Omnibus sia ancora una proposta, la sola posticipazione di due anni ha comportato l’accantonamento immediato di tutte le attività in corso.

La deregolamentazione è chiara, per esempio, nella limitazione degli obblighi di Due Diligence solo ai partner commerciali diretti, dove si potrebbe intravedere un mancato supporto a tematiche come la protezione dei diritti umani e ambientali lungo l’intera catena del valore.

Pertanto, nonostante la proposta possa sembrare una mossa che potrebbe portare sicuramente dei vantaggi competitivi evidenti nel breve termine, come evidenziato da Richard Gardiner della World Benchmarking Alliance[21], potrebbe risultare in un rallentamento nel supporto a lungo termine di tematiche generiche inerenti al mondo della sostenibilità.

Se Omnibus sarà adottato senza modifiche, rappresenterà un duro colpo agli impegni dell’UE del Green Deal, peccando di credibilità, ma allineandosi ai trend globali. D’altro lato, infatti, la riduzione della pressione burocratica sulle PMI, permette di concentrarsi su uno scenario economico sempre più impegnativo e minacciato dai cambiamenti negli equilibri commerciali internazionali.

4. La Sostenibilità e le Banche: Pre – Omnibus

Prima della proposta legislativa Omnibus della Commissione Europea, il coinvolgimento delle banche nella transizione sostenibile era fortemente orientato alla rendicontazione secondo la tassonomia verde dell’UE.

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Le banche europee erano tenute non solo a spiegare come, ma anche a che intento finanziano attività su un’economia sostenibile prospettica, in conformità con le disposizioni del Regolamento UE 2020/852 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2020, che stabilisce un quadro per favorire gli investimenti sostenibili, noto come “Regolamento sulla Tassonomia” (EU Taxonomy). Il regolamento è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea (GU UE) L 198 del 22 giugno 2020 ed è entrato in vigore il 1° luglio 2020. Questo regolamento fornisce una definizione di ciò che costituisce un’attività economica sostenibile, al fine di orientare gli investimenti verso attività che contribuiscono agli obiettivi ambientali dell’Unione Europea. La Tassonomia si applica alle imprese, agli intermediari finanziari e ai gestori di fondi che devono divulgare l’informativa riguardo alle attività che rientrano nella tassonomia, nonché ai criteri utilizzati per determinare la sostenibilità delle stesse.

Quest’obbligo rappresenta un componente della strategia della Commissione per reindirizzare il capitale disponibile verso investimenti volti a conseguire obiettivi ambientali, come la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici[22].

Le informazioni richieste devono catturare tutti i dettagli necessari per costruire il cosiddetto Green Asset Ratio (GAR), ovvero la misura degli attivi verdi rispetto al totale degli attivi nel portafoglio della banca[23]. Il Green Asset Ratio (GAR) è un indicatore che rientra in quella categoria di disclosure relativa alle politiche di finanza sostenibile e che mira ad attestare a livello percentuale la quota di attivi “green” in seno a un portafoglio creditizio. Gli attivi “green” sono quelli che rispondono ai principi stabiliti dalla EU Taxonomy (Regolamento (UE) 2020/852) che identifica quelle attività economiche che contribuiscono efficacemente al passaggio ad un’economia sostenibile, in particolare al fine di combattere i cambiamenti climatici e di incentivare la sostenibilità ambientale e che, a titolo esemplificativo, possono consistere in progetti aventi ad oggetto l’eolico, la bioedilizia, la riqualificazione energetica degli edifici, la gestione sostenibile dell’acqua, dei rifiuti e del verde, nonché l’incentivazione della mobilità.

Per calcolare il GAR le banche devono individuare coloro che hanno finanziato o partecipano, per quanto residualmente, a tali attività green, ma anche coloro che ne hanno tratto beneficio. La banca, perciò, dovrà calcolare la percentuale di questi attivi green rispetto al totale del proprio portafoglio creditizio, in modo da poter poi dichiarare tale percentuale nel suo GAR. Tale indicatore consente di monitorare da vicino non solo gli sforzi della banca in materia di sostenibilità, ma anche di soddisfare i crescenti obblighi di trasparenza che sempre più legiferatori europei fanno gravare sui soggetti sottoposti alle loro regole. Il suo scopo era quello di promuovere una migliore performance ambientale a livello aziendale, all’interno di un contesto che presentava una delle maggiori sfide della Finanza Verde, la fusione della competitività sostenibile.

Questi obblighi si aggiungevano a quelli del Regolamento sulla Disclosure della Finanza Sostenibile (SFDR), Regolamento (UE) 2019/2088 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 27 novembre 2019, relativo all’informativa sulla sostenibilità nei servizi finanziari, che è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea (GUUE) L 317 del 9 dicembre 2019. Questo regolamento è entrato in vigore il 10 marzo 2021, ed è obbligatorio per tutte le imprese finanziarie a partire da tale data. Il risultato fu l’ampliamento del campo d’azione delle banche, specialmente di quelle che forniscono prodotti ESG, obbligandole a comunicare i rischi di sostenibilità e gli impatti negativi su fattori ambientali, sociali e di governance.

Questo sistema si applicava senza eccezioni alle grandi imprese; più specificamente, a quelle con oltre 250 dipendenti e un fatturato superiore a 50 milioni di euro, soggette a requisiti di divulgazione ai sensi della Direttiva sulla rendicontazione della sostenibilità aziendale (CSRD)[24]. Di conseguenza, anche le banche, in qualità di sponsor finanziari, si affidavano alla qualità dei dati ESG forniti da queste imprese per preparare le loro comunicazioni sulla sostenibilità.

Un tale meccanismo a cascata, in linea con l’ambizione europea di armonizzazione del quadro normativo, ha portato alla complessità delle operazioni e all’alto onere amministrativo delle istituzioni finanziarie, con molti intermediari che affrontano le sfide di dataset incompleti o eterogenei. La realtà pre-Omnibus in Europa era una divergenza in due direzioni: da un lato, impegni multilaterali volontari, come la Net Zero Banking Alliance, dall’altro, un paesaggio politico in rapida evoluzione che imponeva una quantificazione, una rendicontazione e una ricanalizzazione dei fondi esaustive, documentando innumerevoli sfide operative.

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Questo è il problema che Omnibus mira a risolvere, una proposta pensata per semplificare il sistema di rendicontazione mantenendo il livello desiderato di trasparenza ambientale e responsabilità.

5. La Sostenibilità e le Banche: Post – Omnibus

Nel gennaio 2025 la Commissione Europea ha presentato il «Competitiveness Compass», un piano basato sulle raccomandazioni proposte all’interno del report «The future of European Competitiveness» di Mario Draghi. Con questo si vuole promuovere e facilitare le attività di business all’interno dell’Europa, al fine di garantirne una maggiore prosperità. Il Competitiveness Compass guiderà il lavoro della Commissione fino al 2029 sulla base di tre pilastri: ridurre l’«innovation gap» nei confronti delle altre grandi economie mondiali, garantire che la decarbonizzazione tuteli la competitività dell’Europa, ridurre le dipendenze dalle importazioni e aumentare la sicurezza.

Per raggiungere la maggiore competitività, con la proposta legislativa Omnibus[25], presentata dalla Commissione Europea, si vuole: semplificare le procedure amministrative, ridurre gli oneri normativi e accelerare le procedure amministrative per rendere l’Europa un luogo più attraente per gli investimenti; proporre uno strumento di coordinamento per la competitività il cui obiettivo sarà allineare meglio gli interessi strategici comuni a livello nazionale e dell’UE; presentare una strategia per l’Unione Europea dei risparmi e degli investimenti, poiché un’Europa più competitiva, innovativa e decarbonizzata avrà un notevole fabbisogno di finanziamenti, e quindi l’UE deve mobilitare in maniera più efficace gli investimenti privati e utilizzare i finanziamenti pubblici in modo più mirato.

Con il Pacchetto Omnibus, la Commissione Europea ha presentato quattro proposte di modifica legislativa, suddivise in Omnibus I e II, con l’obiettivo di semplificare il quadro normativo, riducendo gli oneri amministrativi del 25% e quelli per le PMI del 35% entro fine mandato. Le proposte puntano a una semplificazione trasversale in materia di informazione sulla sostenibilità, due diligence, tassonomia UE, meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere e programmi di investimento europei.

Con Omnibus I si propone: il c.d. «stop the clock», ovvero il rinvio degli obblighi di rendicontazione sulla sostenibilità; la «substantial proposal», ovvero le modifiche sostanziali ai contenuti delle normative CSRD, CSDDD ed EU Taxonomy; la semplificazione dei processi amministrativi, la riduzione della complessità burocratica ed il numero di imprese coinvolte nella EU Carbon Border Adjustment (CBAM) regulation. Con Omnibus II, anche nota come «investment omnibus», la proposta introduce modifiche ai regolamenti InvestEU ed EFSI, con l’obiettivo di semplificare gli obblighi di rendicontazione, riducendone sia la frequenza che il livello di dettaglio richiesto.

Nello specifico le principali modifiche inerenti all’informativa di sostenibilità si concentrano su: esonerare circa l’80% delle imprese nell’applicazione della CSRD; garantire che gli obblighi di informativa sulla sostenibilità per le grandi imprese non abbiano poi conseguenze sulle piccole; posticipare per due anni gli obblighi di informativa per le imprese che attualmente rientrano o rientrerebbero nell’ambito di applicazione della CSRD (questo già approvato dal Parlamento Europeo il 3 aprile 2025); semplificare i criteri del Do Not Significant Harm; adeguare il GAR dando così l’opportunità alle banche di poter escludere dal denominatore del GAR le esposizioni relative a imprese con meno di 1000 dipendenti ed un fatturato inferiore ai 50 milioni di euro.

Per ciò che riguarda l’ambito delle modifiche nella Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD), si punta principalmente a concedere alle imprese più tempo per prepararsi a conformarsi ai nuovi obblighi di Due Diligence per poter sostanzialmente adeguarsi entro il 26 luglio 2028[26]. Un ulteriore tema della proposta in quest’ambito riguarda la riduzione nonché la limitazione delle informazioni, o meglio, la quantità di informazioni che possono essere richieste nell’ambito della mappatura della catena di valore delle grandi imprese.

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La semplificazione del meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere per un commercio più equo invece punta a fissare una nuova soglia annua cumulativa CBAM pari a 50 tonnellate per importatore, che elimina gli obblighi CBAM per circa 182 000 importatori ovvero il 90% di essi[27], per lo più PMI. L’intento è quello di rendere il CBAM più efficace nel lungo termine, considerando la volontà di aiutare importatori di piccole quantità di merci che rappresentano inoltre una piccola percentuale delle emissioni che entrano nell’Unione Europea.

La Commissione inoltre vorrebbe semplificare e liberare le opportunità di investimento. Un discorso che sicuramente riguarda le Banche e gli intermediari finanziari, che gioveranno in primis di una semplificazione dei requisiti amministrativi. In aggiunta, viene posta particolare attenzione all’aumento della capacità di investimento dell’Unione Europea, stimando un’eventuale mobilitazione di circa 50 miliardi di euro. Per rendere l’interazione fra stati Membri ancora più semplice, si ambisce a facilitare la loro contribuzione al sostentamento delle proprie imprese e a mobilitare investimenti privati.

Inizialmente, la proposta potrebbe apparire come una conseguenza delle forti scelte precedentemente esposte dettate dal contesto geopolitico, tra cui il ripiego statunitense dal fronte ESG. In realtà, la proposta Omnibus supporterebbe la volontà di rendere il framework europeo più competitivo e attraente rispetto agli standard internazionali, in un contesto globale segnato dalla deregolamentazione climatica negli Stati Uniti e dalle ambiguità strategiche della Cina.

La proposta mira anche a evitare fenomeni di green-fatigue, ovvero la crescente difficoltà da parte delle aziende e degli enti finanziari nel sostenere carichi regolatori sempre più complessi.[28]

Diversi osservatori hanno segnalato il rischio che la riduzione degli obblighi di reporting comporti una perdita di trasparenza, limitando la comparabilità tra operatori e la capacità del mercato di valutare la reale esposizione agli attivi verdi. Inoltre, sebbene il Green Asset Ratio (GAR) sia formalmente mantenuto, esso potrebbe perdere significato informativo se privato della base dati completa e sistematica che lo sosteneva nella fase precedente all’Omnibus.[29]

La proposta Omnibus rappresenta una razionalizzazione operativa, che consente una maggiore flessibilità nella gestione dei dati ESG e riduce il rischio di non – compliance formale. Tuttavia, essa apre anche a dinamiche discrezionali che potrebbero indebolire l’effettiva integrazione della sostenibilità nei processi creditizi, trasformandola in un requisito formale anziché strategico. La transizione verso un sistema bancario sostenibile, dunque, rischia di perdere slancio se non accompagnata da misure correttive e da un chiaro allineamento tra semplificazione normativa e obiettivi di lungo termine della finanza verde europea.

Come prevedibile, conseguentemente a tutto ciò che è stato elencato riguardante gli oneri amministrativi che le banche erano tenute a colmare ed implementare, la proposta deregolamentante dell’Omnibus è stata accolta positivamente.

In una nota ufficiale, l’European Banking Federation (EBF)[30] ha accolto con favore la volontà della Commissione di promuovere un approccio “più pragmatico, graduale e proporzionato” alla sostenibilità, in grado di migliorare l’attuabilità delle norme senza indebolire gli obiettivi ambientali complessivi. Secondo la EBF, la complessità del sistema attuale, alimentata da standard multipli, scadenze ravvicinate e mancanza di dati armonizzati, rischiava di ostacolare non solo la compliance, ma anche l’efficace integrazione dei fattori ESG nei processi bancari.

Tale apprezzamento evidenzia una tensione ormai strutturale tra ambizione normativa e sostenibilità operativa. La posizione dell’EBF riflette infatti una prospettiva “bottom-up”, dove la reale capacità di raccolta, verifica e rendicontazione dei dati ESG da parte delle banche è vista come precondizione per la solidità del sistema. In questo senso, l’Omnibus è interpretato come un ponte tra aspirazioni regolatorie e realtà del mercato, necessario per evitare un’adozione formale e disallineata degli strumenti di finanza sostenibile. Tuttavia, se letta criticamente, tale posizione solleva interrogativi sulla possibile deresponsabilizzazione del sistema bancario, il quale potrebbe percepire la sostenibilità come un onere da contenere piuttosto che un driver strategico.

In altri termini, il rischio è che la semplificazione normativa diventi, nella prassi, una giustificazione per ridurre la qualità e l’ambizione del reporting, invece che un’occasione per rafforzare il ruolo proattivo del settore finanziario nella transizione ecologica. Inoltre, raggiungendo una forte riduzione del carico regolamentare come precedentemente espresso, il timore è quello di verificare una forte riduzione nel Green Asset Ratio delle banche.

6. La deregolamentazione strategica Europea: una proposta da leader o una risposta al contesto geopolitico?

Alla luce di ciò che è stato analizzato in precedenza, il vero elemento divisorio di questa analisi sta nell’ottica con cui la si guarda. Da un lato, l’Unione Europea, potrebbe aver presagito la difficile situazione geopolitica, ed essersi tirata indietro, dagli accordi che hanno regolato gli ultimi anni di sforzi economici e politici volti all’incremento della Sostenibilità ambientale, sociale e governativa.

Con la crescente dipartita delle varie potenze mondiali, l’Europa sarebbe rimasta l’unica potenza a indurre e obbligare le aziende e gli istituti bancari a sottostare a norme, volte a supportare una guerra a senso unico, o meglio, una guerra per cui i singoli non avrebbero le risorse necessarie. La lotta al cambiamento climatico richiede uno sforzo univoco e coordinato, e rischierebbe di generare azioni contrastanti qualora alcune parti decidessero di non contribuire, escludendo dal calcolo il cost of inaction.[31]

Da un’altra prospettiva, l’azione Europea potrebbe rappresentare una mossa strategica volta ad incrementare l’efficienza della sostenibilità. Supportata dall’attuale contesto geopolitico di incertezza e timore a causa delle guerre e dell’instabilità politica, l’Unione Europea potrebbe voler ridurre la quantità di aziende vincolate alla disclosure sostenibile, per renderla più pragmatica: è inutile affidarsi a milioni di aziende non realmente sostenibili, obbligandole a investire risorse per dimostrare la loro sostenibilità, quando possono essere usufruite in maniera più proficua nel cercare di rendere effettivamente un’azienda sostenibile.

La mossa dell’Unione Europea potrebbe quasi rappresentare una selezione di aziende, classificate come realmente sostenibili, in modo tale da poter affrontare le sfide politiche, sociali ed ambientali che interesseranno i prossimi 50 anni, così da raggiungere un risultato tangibile e a lungo termine, in grado di ribaltare le sorti poco rosee presagite dagli esperti scientifici circa il futuro.

 

Fonti:

  • European Commission. (2021). EU Taxonomy, Corporate Sustainability Reporting and sustainability preferences in financial advice.
  • Sachs, J. D. (2006). The End of Poverty: Economic Possibilities for Our Time. Penguin Press.
  • Scholz, R., & Wesseling, J. (2022). Geopolitics and Green Finance: Strategic Autonomy in a Fragmented World. Journal of Environmental Policy and Planning, 24(4), 512–530.
  • Coulson-Thomas, Colin. “Global risks and confronting insecurity and vulnerability.” Management Services1 (2025): 21-28.
  • European Commission. REPowerEU: Affordable, Secure and Sustainable Energy for Europe. 2022,
  • Xie, Z. (2023). China’s Green Industrial Strategy: Leadership, Technology, and Global Standards. Journal of Environmental Development, 32(1), 45–68.
  • Bang, G., Hovi, J., & Skodvin, T. (2016). The Paris Agreement: Short-term and long-term effectiveness. Politics and Governance, 4(3), 209–218.
  • (2023, October 12). JPMorgan, Morgan Stanley Among Banks to Exit UN Climate Alliance
  • United Nations. (2021). Net-Zero Banking Alliance: Commitment Statement.
  • Peters, G. P., Andrew, R. M., & Fuglestvedt, J. S. (2017). Paris Agreement climate proposals need a boost to keep warming well below 2°C. Nature Climate Change, 7(7), 449–452.
  • European Commission. (2020). Regulation (EU) 2020/852 on the establishment of a framework to facilitate sustainable investment (EU Taxonomy).
  • European Banking Authority. (2022). EBA Report on Green Asset Ratio disclosures under Article 8 of the Taxonomy Regulation.
  • European Commission. (2023). Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD).
  • European Commission. (2023). Proposal for a Directive amending Directives 2013/34/EU, 2004/109/EC, 2006/43/EC and 2007/36/EC as regards corporate sustainability reporting.
  • (2024). Position Paper on the Omnibus Proposal and its Implications for Sustainability Reporting.
  • European Banking Federation (EBF). (2023, October 17). EBF welcomes the Omnibus package.
  • WWF Europe. (2023). Omnibus Directive and the Risk of Regulatory Backsliding on Green Finance.
  • Commissione Europea. “La Commissione semplifica le norme sulla sostenibilità e sugli investimenti dell’UE.” Press Corner, 2025
  • (2024). Position Paper on the Omnibus Proposal and its Implications for Sustainability Reporting.
  • Sanderson, Benjamin M., and Brian C. O’neill. “Assessing the costs of historical inaction on climate change.” Scientific reports1 (2020): 9173.
  • EU Omnibus Regulation Is a ‘Massive Step Backwards’ Says Sustainability Expert.” Green Central Banking, 7 Mar. 2025
  • D’Angerio, Vitaliano. “Crisi ESG negli Stati Uniti: c’è chi vuol fare diventare reato l’investimento green.” Il Sole 24 Ore, 22 Mar. 2024
  • La SEC interrompe la difesa delle norme sulla divulgazione climatica.” com, 12 Apr. 2025

 

[1] Sachs, J. D. (2006). The End of Poverty: Economic Possibilities for Our Time. Penguin Press

[2]  European Commission. (2021). EU Taxonomy, Corporate Sustainability Reporting and sustainability preferences in financial advice.

[3] Scholz, R., & Wesseling, J. (2022). Geopolitics and Green Finance: Strategic Autonomy in a Fragmented World.    Journal of Environmental Policy and Planning, 24(4), 512–530

[4]  European Commission. REPowerEU: Affordable, Secure and Sustainable Energy for Europe. 2022

[5] European Commission. (2022). REPowerEU: Affordable, secure and sustainable energy for Europe.

[6] The White House. (2022). Inflation Reduction Act Guidebook

[7] Xie, Z. (2023). China’s Green Industrial Strategy: Leadership, Technology, and Global Standards. Journal of Environmental Development, 32(1), 45–68.

[8] Bang, G., Hovi, J., & Skodvin, T. (2016). The Paris Agreement: Short-term and long-term effectiveness. Politics and Governance, 4(3), 209–218.

[9] Peters, G. P., Andrew, R. M., & Fuglestvedt, J. S. (2017). Paris Agreement climate proposals need a boost to keep warming well below 2°C. Nature Climate Change, 7(7), 449–452.

[10] Bloomberg. (2023, October 12). JPMorgan, Morgan Stanley Among Banks to Exit UN Climate Alliance

[11] D’Angerio, Vitaliano. “Crisi ESG negli Stati Uniti: c’è chi vuol fare diventare reato l’investimento green.” Il Sole 24 Ore, 22 Mar. 2024

[12] U.S. Securities and Exchange Commission. “SEC Adopts Rules to Enhance and Standardize Climate-Related Disclosures for Investors.” Press Release No. 2024-31, 6 Mar. 2024,

[13] La SEC interrompe la difesa delle norme sulla divulgazione climatica.” Investing.com, 12 Apr. 2025

[14] U.S. Department of the Treasury, Office of the Comptroller of the Currency. “OCC Withdraws Principles for Climate-Related Financial Risk Management for Large Financial Institutions.” News Release 2025-27, 31 Mar. 2025

[15] Network for Greening the Financial System. NGFS Official Website

[16] Thomson Reuters Regulatory Intelligence. “FDIC Withdraws from Central Bank Climate Alliance.” Regulatory Intelligence, 14 Feb. 2025

[17] U.S. Securities and Exchange Commission. SEC Votes to End Defense of Climate Disclosure Rules. Press Release No. 2025-58, 27 Mar. 2025

[18] U.S. Securities and Exchange Commission. SEC Adopts Rules to Enhance and Standardize Climate-Related Disclosures for Investors. Press Release No. 2024-31, 6 Mar. 2024,

[19] Le date esposte considerano l’attuale framework approvato, ovvero già incorporano l’approvazione della proposta Omnibus I in ambito di posticipo di due anni dell’applicazione della CSRD.

[20] WWF (2025, febbraio 26). Von der Leyen’s deregulation omnibus: A devastating blow to EU environmental objectives

[21] EU Omnibus Regulation Is a ‘Massive Step Backwards’ Says Sustainability Expert.” Green Central Banking, 7 Mar. 2025

[22] European Commission. (2020). Regulation (EU) 2020/852 on the establishment of a framework to facilitate sustainable investment (EU Taxonomy).

[23] European Banking Authority. (2022). EBA Report on Green Asset Ratio disclosures under Article 8 of the Taxonomy Regulation.

[24] European Commission. (2023). Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD).

[25] Commissione Europea. “La Commissione semplifica le norme sulla sostenibilità e sugli investimenti dell’UE.” Press Corner, 2025

[26] European Commission. (2023). Proposal for a Directive amending Directives 2013/34/EU, 2004/109/EC, 2006/43/EC and 2007/36/EC as regards corporate sustainability reporting

[27] European Commission. (2023). Proposal for a Directive amending Directives 2013/34/EU, 2004/109/EC, 2006/43/EC and 2007/36/EC as regards corporate sustainability reporting

[28] EFRAG. (2024). Position Paper on the Omnibus Proposal and its Implications for Sustainability Reporting.

[29] WWF Europe. (2023). Omnibus Directive and the Risk of Regulatory Backsliding on Green Finance.

[30] European Banking Federation (EBF). (2023, October 17). EBF welcomes the Omnibus package.

[31] Sanderson, Benjamin M., and Brian C. O’neill. “Assessing the costs of historical inaction on climate change.” Scientific reports 10.1 (2020): 9173.



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