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Msci, i fondi climatici riducono gli Usa


Per la prima volta in sette anni, i fondi climatici riducono le loro esposizioni in azioni statunitensi per puntare verso l’Europa e l’Asia-Pacifico. L’emergere di nuove opportunità e una crescente attenzione alla diversificazione stanno spingendo gli investitori a ribilanciare i portafogli climatici su scala globale

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«Le tensioni commerciali e l’incertezza politica degli Stati Uniti potrebbero distogliere l’attenzione della finanza climatica dalla più grande economia del mondo». Questa considerazione emerge dalle analisi di Msci relative ai recenti flussi all’interno dei fondi tematici sul clima.

 

La climate finance sta infatti cambiando rotta. Dopo anni di predominio assoluto, le società statunitensi stanno perdendo terreno all’interno dei fondi tematici focalizzati sul clima.

Se nel passato queste società hanno sempre attratto la maggior parte degli investimenti in queste strategie (basti pensare che, dal 2018, le società quotate negli Stati Uniti hanno rappresentato una quota sproporzionatamente elevata dei climate funds, con una media del 67%, rispetto al 58% del mercato globale più ampio rappresentato dall’indice Msci ACWI), a partire dall’inizio del 2025, si è registrato un calo di circa 10 punti percentuali nella quota di titoli Usa detenuti da questi fondi (nello stesso periodo all’interno dell’indice Msci ACWI la quota di azioni statunitensi ha subito un calo più ridotto di 3,1 punti percentuali).

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Come indicato dagli esperti di Msci, si tratta del primo cambiamento di questo tipo in almeno sette anni: «Sebbene parte della riduzione delle esposizioni alle azioni statunitensi nei fondi climatici rispecchi le tendenze di allocazione più generali, stimiamo che circa la metà (circa 6 punti percentuali) rifletta una riallocazione attiva da parte dei fondi climatici verso società in Europa e nella regione Asia-Pacifico».

CLIMA, OCCHI PUNTATI SU EUROPA E ASIA

Come anticipato, nel passato le azioni americane sono state per anni destinatarie di buona parte degli investimenti dei fondi climatici anche per via dei rendimenti registrati (nell’ultimo decennio hanno garantito, in media, oltre il 12% annuo, il doppio rispetto alle loro controparti globali). Tuttavia, oggi il quadro appare meno brillante, per via di un contesto, quello americano, caratterizzato da instabilità politica, tensioni commerciali e tassi d’interesse elevati, che sta iniziando a pesare sulle scelte degli investitori climatici.

Al contrario, l’Europa sta guadagnando terreno grazie a costi di finanziamento che potrebbero rimanere più bassi più a lungo rispetto agli Stati Uniti e a una maggiore sostegno politico.

Anche l’Asia-Pacifico si sta affermando come nuova frontiera degli investimenti climatici. Paesi come India, Taiwan e Corea del Sud ospitano aziende leader nei settori delle tecnologie pulite, mentre la Cina continua a dominare l’innovazione nelle energie rinnovabili. Tra il 2019 e il 2024, le società asiatiche attive nei settori dello stoccaggio di energia, green mobility e dell’energia low-carbon hanno registrato tassi di crescita annua dei ricavi fino al 74%, superando le controparti statunitensi ed europee.

Detto questo, nonostante l’esposizione alle aziende Usa dei fondi climatici si sia ridotta, gli Stati Uniti restano un mercato centrale per via della loro profondità, liquidità e leadership tecnologica.

 

Noemi Primini

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