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Nuovo Giornale Nazionale – TRUMP COMMISSARIA L’ECO-DITTAURA EUROPEA


 

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Dopo aver commissariato la Von der Leyen con il 5% del Pil all’Alleanza Atlantica, ora Donald Trump attacca  a testa bassa l’Unione Europea del Green Deal e, in generale, di una folle massa di norme che hanno disastrato l’economia dei Paesi membri.

Sotto attacco è l’eco-dittaura istituita dai socialisti e dai democristiani, i quali, ora, si defilano.

“L’Ue – ha detto Trump – imparerà presto a non essere cattiva con noi”. Trump ha accusato l’Ue di avere “molte tasse ingiuste” contro le aziende americane. “Sono molto cattivi – ha aggiunto – L’Ue è stata creata per danneggiare gli Stati Uniti”.

L’Unione Europea non potrà non tener conto di quanto è avvenuto al G7 il 28 giugno scorso e del fatto che il Canada, dopo aver applicato la tassa sui giganti tech, l’ha ieri ritirata.

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Il ReArm Europe, noto anche come Readiness 2030, è un piano strategico di difesa proposto il 4 marzo 2025 dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, con l’obiettivo di rafforzare le capacità militari dell’Unione Europea. Approvato dal Consiglio europeo il 6 marzo 2025 e dal Parlamento europeo il 12 marzo, il piano prevede investimenti fino a 800 miliardi di euro per potenziare l’infrastruttura di difesa europea entro il 2030. L’obiettivo è creare un’autonomia strategica attraverso l’aumento della spesa militare e l’incoraggiamento ai Paesi membri a raggiungere almeno il 2% del PIL in spese per la difesa.

L’approvazione del 5% del Pil per la Nato ingloba il ReArm e commissaria l’Unione Europea sul versante della difesa.

Ora Trump attacca il cuore della tenuta della maggioranza Ppe Pse che regge la Commissione della eco-dittatura: il Green Deal e le politiche ambientali autoritarie o eccessivamente restrittive.

Il Green Deal europeo, lanciato dalla Commissione Europea, punta a ridurre le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030 e raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.

L’eco-dittatura si è progressivamente imposta varando normative ambientali senza un adeguato processo democratico e dando un potere eccessivo a burocrati non eletti, i quali decidono su questioni che influenzano milioni di cittadini.

Ad esempio, regolamenti come l’ETS (Emission Trading System) o la normativa sull’eco-design appesantiscono le imprese senza sufficiente flessibilità.

Negli ultimi mesi, la Commissione Europea ha attenuato alcune misure ambientali sotto pressione di gruppi politici, in particolare del Partito Popolare Europeo (PPE) e di forze di destra. Ad esempio, è stata sospesa una proposta anti-greenwashing e indebolita la legge sulla restaurazione della natura, in parte per rispondere alle proteste degli agricoltori.

Questo ha portato alcuni, come il gruppo della Sinistra (GUE/NGL), ad accusare Ursula von der Leyen di aver “ucciso” il Green Deal in favore di un approccio più industriale.

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La decisione di finanziare il riarmo utilizzando fondi del Recovery Fund, originariamente destinati alla transizione ecologica, ha sollevato critiche per la deviazione dagli obiettivi climatici. Inoltre, il Parlamento Europeo ha contestato l’uso dell’articolo 122 del Trattato UE, che ha escluso l’Europarlamento da decisioni sul piano di riarmo, rafforzando l’idea di una governance percepita come poco democratica.

Le normative ambientali, come quelle sull’industria automobilistica o sull’agricoltura, hanno danneggiato settori chiave; hanno distrutto l’industria automobilistica con imposizioni green, come il passaggio ai veicoli elettrici.

Gli Stati Uniti chiedono che l’Unione Europea si impegni a non emanare più direttive considerate barriere come i Green Claims e la riforestazione.

Trump ha detto a chiare lettere che la digital tax “non funzionerà nemmeno per l’Europa” e che il Digital Market Act si dovrà gestire congiuntamente. Il Digital Market Act serve a favorire e finanziare le start-up digitali europee, creando un’asimmetria sfavorevole alle aziende Big-Tech americane.

Nel frattempo le sette maggiori economie al mondo hanno raggiunto un accordo per evitare che le più grandi aziende a stelle e strisce paghino più tasse all’estero. Una mossa accolta con favore da Washington ed altri Paesi, ma che potrebbe radicalmente modificare l’accordo sulla tassa minima globale del 2021.

L’intesa raggiunta al G7 “faciliterà ulteriori progressi nella stabilizzazione del sistema fiscale internazionale”, incluso un “dialogo costruttivo” sulla salvaguardia della “sovranità fiscale di tutti i Paesi”, si sottolinea in una nota della presidenza di turno canadese. Ora l’accordo sarà discusso nelle prossime settimane all’Ocse, l’organizzazione internazionale che quattro anni fa raggiunse lo storico accordo sulla ‘global minimum tax’ per porre fine alle pratiche di elusione fiscale delle multinazionali, in particolare le Big Tech statunitensi. Per il segretario generale, Mathias Cormann, la decisione del G7 è “un’importante pietra miliare nella cooperazione fiscale internazionale”.

Soddisfatto il ministro dell’economia e delle Finanze italiano Giancarlo Giorgetti che ha definito l’accordo un “onorevole compromesso”. “Protegge le nostre imprese dalle ritorsioni automatiche degli Stati Uniti”, ha dichiarato. Il ministro si riferiva alla cosiddetta ‘revenge tax’, un emendamento alla legge di spesa di Trump che avrebbe consentito agli Stati Uniti di rivalersi contro tasse all’estero ritenute discriminatorie e che il segretario al Tesoro Scott Bessent ha già annunciato sarà eliminata all’annuncio dell’intesa al G7. Nel suo statement, la presidenza canadese ha spiegato che nei mesi scorsi “Bessent aveva espresso la preoccupazione degli Stati Uniti riguardo le regole di secondo pilastro” concordate a livello Ocse e G20 in materia di elusione fiscale e profit shifting, ossia la pratica delle multinazionali, specie digitali, di scegliersi la giurisdizione con le aliquote più favorevoli per registrare i propri utili.

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Il segretario Usa, prosegue la dichiarazione del G7, “aveva proposto una soluzione parallela nella quale i gruppi a controllo Usa sarebbero stati esenti dalla regola di inclusione degli utili e dalla regola sui profitti non tassati, in virtù delle regole di tassazione minima esistenti negli Usa a cui sono soggetti”. Dopo i negoziati – spiega ancora lo statement – e tenuto conto dell’annuncio degli Usa di rimuovere dal ‘One Big Beautiful Bill Act’ di Trump le disposizioni che autorizzavano una “tassazione di rappresaglia’ sugli investimenti esteri, “c’è l’intendimento condiviso che un sistema parallelo può mantenere intatti importanti passi avanti” nell’affrontare l’erosione di base imponibile e il profit shifting e fornire una maggiore stabilità e certezza al sistema di tassazione internazionale da qui in avanti”.

Per l’amministrazione di The Donald si tratta di un successo che farà risparmiare alle aziende Usa 100 miliardi di dollari in tasse all’estero. Proprio ieri il presidente americano era tornato a minacciare l’Unione europea dopo aver fermato i negoziati con il Canada. “Con la digital tax l’Ue non ne uscirà bene, come il Canada”, aveva avvertito il presidente nello Studio Ovale accusando il governo di Ottawa di aver agito “in modo stupido”.

La proposta Usa  all’UE di dazi generalizzati al 10% e del 25% su auto, acciaio e alluminio, sono solo la superficie.

La proposta arrivata a Bruxelles dal presidente americano chiede anche maggiore acquisto di Gnl e materie critiche, tra cui il combustibile per il nucleare.

Nel frattempo il Canada ha annunciato la revoca della tassa sui giganti tech nella speranza di raggiungere un accordo commerciale con gli Stati Uniti e la ripresa dei negoziati su questo tema interrotta due giorni fa da Donald Trump.

Il ministro delle Finanze canadese Francois-Philippe Champagne ha annunciato domenica  che il Canada cancellerà la tassa sui servizi digitali (Dst)”, secondo un comunicato stampa del governo. La nota afferma che la ripresa dei negoziati dovrebbe portare a un accordo commerciale con Washington entro il 21 luglio. Questa distensione tra Canada e Stati Uniti arriva due giorni dopo che il Presidente americano ha interrotto i colloqui, descrivendo la digital tax come un “colpo diretto ed evidente” agli Stati Uniti.

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L’imposta del 3% sui ricavi della pubblicità online, delle piattaforme di vendita, dei social network e della vendita di dati personali sarebbe dovuta entrare in vigore oggi e avrebbe colpito in modo particolarmente duro i pesi massimi della tecnologia statunitense.

Per quanto riguarda l’Unione Europea, lo scoglio riguarda il protezionismo attuato con normative tecniche: regolamenti, standard tecnici o requisiti burocratici per limitare l’accesso al mercato di prodotti o servizi esteri.

Questo tipo di protezionismo, spesso definito protezionismo non tariffario, si basa su misure che non implicano dazi doganali ma creano barriere indirette al commercio internazionale.

Il protezionismo tecnico riguarda normative su sicurezza, qualità, imballaggio, etichettatura o requisiti ambientali che i prodotti importati devono soddisfare; richieste di certificazioni complesse o test di conformità che richiedono tempo e costi elevati; iter amministrativi lenti o complessi; regole rigorose su prodotti agricoli o alimentari.

L’Unione Europea applica standard tecnici elevati (es. normative REACH per le sostanze chimiche o standard CE) che possono rendere difficile l’accesso al mercato per produttori di paesi terzi.

Il protezionismo green dell’Unione Europea si riferisce a politiche e misure adottate dall’UE per promuovere la sostenibilità ambientale, spesso integrando obiettivi climatici con la protezione dell’economia interna. Un esempio chiave è il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), un dazio sull’importazione di beni ad alta intensità di carbonio (come acciaio, cemento, fertilizzanti) da paesi con normative ambientali meno stringenti, per evitare il “carbon leakage”. Entrato in fase transitoria nell’ottobre 2023, il CBAM punta a raggiungere la piena operatività nel 2026.

Ora L’Unione Europea su alcuni aspetti è in retromarcia (vedi la direttiva Green Claims, che mirava a contrastare il greenwashing) e crea tensioni interne all’UE. La Commissione Europea, sotto pressione del Partito Popolare Europeo (PPE) e di gruppi conservatori, ha ritirato la proposta, suscitando critiche da socialisti, liberali e ambientalisti, che vedono un indebolimento del Green Deal europeo.

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Una pressione Usa sulle barriere protezioniste green dell’Unione Europea potrebbe far esplodere l’attuale maggioranza che sostiene la Commissione presieduta da Ursula von der Leyen.

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