La legge 76 del 15 maggio 2025, entrata in vigore lo scorso 10 giugno, introduce per la prima volta in Italia un quadro normativo dedicato alla partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese, in attuazione dell’articolo 46 della Costituzione. Dopo ottant’anni di inattività su questo fronte, si tratta di un segnale politico importante, ma sul piano operativo la nuova norma si presenta priva di obblighi vincolanti e con incentivi limitati nel tempo, rischiando di produrre effetti marginali. È quanto emerge da un documento curato dal consigliere nazionale di Unimpresa, Marco Pepe.
Secondo quanto spiegato nel documento «il testo della legge definisce quattro forme di partecipazione: gestionale , economica e finanziaria , consultiva e organizzativa . La partecipazione gestionale consente l’ingresso di rappresentanti dei lavoratori negli organi societari, ma solo se previsto volontariamente dagli statuti aziendali: nessun obbligo, nemmeno per le società a controllo pubblico. La partecipazione economica prevede agevolazioni fiscali per la distribuzione di utili e per i piani di azionariato diffuso: per il 2025, la quota di utili fino a 5.000 euro sarà tassata al 5% ei dividendi derivanti da azioni sostitutive di premi di risultato saranno esenti al 50% fino a 1.500 euro. Tuttavia, si tratta di misure limitate al solo 2025. La partecipazione consultiva introduce il principio del coinvolgimento dei lavoratori mediante pareri e commissioni, ma senza carattere vincolante. La partecipazione organizzativa resta una categoria citata ma non dettagliata nel testo normativo».
A giudizio del consigliere nazionale di Unimpresa, «il principale limite della nuova legge è rappresentato dal suo carattere facoltativo : le imprese non sono obbligate ad attuare alcuna delle forme di partecipazione previste. Tutto dipenderà dalle scelte degli statuti societari e dalla contrattazione collettiva, che resta centrale soprattutto per definire la partecipazione economica. Alcune proposte avanzate in fase di discussione, come quella della Cisl che prevedeva la possibilità di destinare fino al 15% della retribuzione a strumenti partecipativi con deduzioni fino a 10.000 euro annui, sono state eliminate. Le agevolazioni approvate ricalcano di fatto quelle già esistenti, con marginali innalzamenti dei limiti. I piani di azionariato diffuso sembrano diffondersi sempre di più su iniziativa delle aziende per trattenere e fidelizzare i lavoratori e attrarne di nuovi. Mentre secondo la segretaria della Cisl Daniela Fumarola, esisterebbero già quasi duecento accordi di secondo livello in materia di partecipazione. E ora ci si aspetta che si moltiplichino. Il successo della legge dipenderà quindi tutto dalla capacità delle imprese di attrezzarsi e da quella dei sindacati di trasformarsi e incarnare un ruolo più maturo di collaborazione e non di solo scontro. Nelle aziende caratterizzate da un dialogo positivo con i sindacati, la legge può rafforzare la collaborazione e portare alla realizzazione di forme di partecipazione da usare anche come formule di Employer Branding.Altrove, invece, rischia di essere ignorata. Senza obblighi e con incentivi a tempo, la partecipazione rischia di restare un’opportunità per pochi pionieri. Dividendo di nuovo in due il mercato del lavoro. Le imprese probabilmente rimarranno a guardare cosa fanno i più grandi player industriali per valutare costi e benefici, senza correre rischi. E non si muoveranno finché non saranno soggette a pressioni sindacali forti oa indicazioni dalle associazioni di categoria».
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