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Clima, firmato il Protocollo per la sicurezza ma…


Abbiamo sottoscritto con convinzione il protocollo contro i rischi per la sicurezza del lavoro a causa degli eventi climatici. Ne riconosciamo il valore come strumento utile per affrontare in modo condiviso il tema della sicurezza dei lavoratori. Riteniamo che, per quanto perfettibile, rappresenta un passo nella direzione giusta o quanto meno non determina implicazioni eccessivamente negative verso il sistema delle imprese.

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Tuttavia, è necessario evidenziare come quella che continuiamo a definire “emergenza” climatica sia ormai una condizione strutturale, una preoccupante consuetudine che impone un approccio più ampio, stabile e pragmatico.
Va ricordato, infatti, che già oggi la normativa vigente in materia di salute e sicurezza sul lavoro prevede l’obbligo per il datore di lavoro di valutare i rischi connessi al clima, e quindi anche a condizioni climatiche estreme. In base a tale valutazione, è già oggi possibile e in alcuni casi doveroso interrompere o sospendere le attività quando non sussistano le condizioni minime di sicurezza per i lavoratori.

Il problema, tuttavia, è che le imprese si trovano spesso nell’impossibilità di adottare misure efficaci di prevenzione a causa di vincoli normativi locali, regolamenti comunali, ordinanze condominiali o disposizioni antirumore che mal si conciliano con le esigenze operative, soprattutto in settori come l’edilizia. È contraddittorio raccomandare di evitare il lavoro nelle ore più calde e, allo stesso tempo, vietare l’inizio delle attività prima di una certa ora. Se fosse possibile anticipare l’orario di inizio, molte imprese potrebbero recuperare diverse ore di lavoro in condizioni climatiche più favorevoli, tutelando sia la salute dei lavoratori sia la produttività.

A ciò si aggiunge un nodo delicato e tutt’altro che secondario: le responsabilità contrattuali. Quando, per effetto di condizioni climatiche estreme, le attività vengono sospese o rallentate, le imprese si espongono al rischio di ritardi nelle consegne, penali, contestazioni da parte dei committenti, pubblici e privati. È evidente che non si può chiedere alle imprese di farsi carico da sole di queste conseguenze, soprattutto se si vuole che le regole sulla sicurezza siano davvero applicate.

In alcune Regioni, purtroppo, si è scelto di intervenire solo con divieti generalizzati e sospensioni imposte dall’alto, che non tengono conto della complessità organizzativa del lavoro, delle esigenze produttive, né delle responsabilità contrattuali in capo alle imprese. Una simile impostazione, oltre a essere poco efficace, rischia di compromettere seriamente la tenuta economica di interi comparti produttivi.

Se vogliamo davvero tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, non bastano i divieti: serve un sistema integrato, fondato sul dialogo, che coinvolga in modo responsabile tutti gli attori in gioco. Non solo le imprese e i lavoratori, ma anche le istituzioni e, soprattutto, i committenti, pubblici e privati, che devono essere parte attiva nella gestione delle situazioni climatiche estreme e farsi carico delle conseguenze che queste comportano.

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Solo un approccio condiviso, equilibrato e realistico potrà garantire un’effettiva tutela della salute e al tempo stesso la sostenibilità economica e operativa delle attività produttive.

Approfondimento: Protocollo clima



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