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“Lo facciamo per voi europei”. Berlino ottiene dall’Ue bollette dimezzate per le sue industrie energivore


“Lo facciamo anche per voi europei”. È questa la linea ribadita fin dal primo giorno dalla ministra tedesca dell’Economia, Katharina Reiche. Dall’insediamento del governo guidato da Friedrich Merz, uno degli obiettivi chiave è stato introdurre un prezzo calmierato dell’elettricità per le imprese ad alta intensità energetica, come quelle dei settori chimico, siderurgico e cementiero.

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Nonostante la discesa dei prezzi energetici dopo l’inizio della guerra in Ucraina, la produzione manifatturiera tedesca ha subito un duro colpo, con un crollo della competitività e un crescente rischio di delocalizzazione verso Paesi con costi più bassi. Il pericolo di una deindustrializzazione della prima economia manifatturiera d’Europa è diventato un tema centrale nel dibattito pubblico ed è stato inserito anche nel contratto di governo firmato da CDU, CSU e SPD: “Nei limiti del diritto europeo, introdurremo un prezzo speciale per l’energia industriale”.

La svolta è arrivata. “Abbiamo ottenuto un grande successo a Bruxelles… Possiamo introdurre la tariffa dell’energia elettrica industriale in Germania”, ha annunciato Reiche al Bundestag, nello stesso giorno in cui il ministro delle Finanze, Lars Klingbeil, ha presentato la legge di bilancio.

La nuova manovra prevede spese per 503 miliardi di euro e entrate per 421,1 miliardi. Gli investimenti toccano i 62,7 miliardi, cui si aggiungono altri 53 miliardi provenienti da fondi vincolati, già autorizzati grazie alle modifiche costituzionali votate prima dell’insediamento del governo. Cresce anche la spesa militare: si passa da 15,2 miliardi nel 2024 a 21,7 miliardi nel 2025, con un totale destinato alla difesa che supera i 60 miliardi.

Ma il dato più rilevante è l’indebitamento: fino al 2029 sono previsti nuovi debiti per circa 847 miliardi di euro, destinati in larga parte a difesa e infrastrutture, ma anche a sostenere le imprese. Un cambio di passo radicale per un Paese storicamente simbolo del rigore fiscale, oggi minacciato dalla competizione internazionale, dalla guerra energetica scatenata dalla Russia, dalla concorrenza sleale cinese e dalle tariffe commerciali americane. 

Dopo due anni di discesa degli indici industriali e di recessione, la Germania ha portato avanti a Bruxelles una battaglia per convincere i funzionari europei e gli altri Stati membri ad allentare le regole sulla spesa e, soprattutto, sulla disciplina degli aiuti di Stato, ovvero quell’insieme di norme che tutela la concorrenza interna tra imprese europee. Dopo trattative complesse la Commissione Ue ha approvato un nuovo quadro per aiuti di Stato transitori che consente uno sconto fino al 50 % del prezzo all’ingrosso sull’elettricità, per massimo il 50 % del consumo annuo dell’azienda. Il prezzo effettivo non potrà quindi scendere al di sotto di 50 €/MWh: è un buon affare per le imprese tedesche dato che oggi il prezzo si aggira intorno agli 80 euro a megawattora. La misura è limitata nel tempo, al massimo 3 anni, e comunque entro fine 2030, ma presenta dei paletti, piuttosto blandi in verità, come la necessità di dimostrare il rischio di un fallimento di mercato e di perdita di competitività sul piano internazionale. Ma il paletto più importante è che almeno il 50 % del risparmio ottenuto con il prezzo calmierato sia reinvestito in progetti per la decarbonizzazione e modernizzazione industriale. Poco importa: la misura consentirà al Governo tedesco di aumentare il numero di aziende tedesche ammissibili ai sussidi sul prezzo dell’elettricità da 350 a circa 2200.

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Le nuove norme hanno dovuto superare forti resistenze in Europa, dovute alla preoccupazione di diversi Paesi che le aziende tedesche si avvantaggiassero troppo rispetto ai concorrenti europei. La Germania infatti in sede europea si è imposta per un irrigidimento dei vincoli fiscali, consapevole di avere a disposizione un margine di bilancio molto più ampio rispetto ad altri Paesi ai sensi delle regole e dei parametri europei. 

Le nuove regole “offrono più margine di manovra di quanto ne avessimo in precedenza”, ha affermato Reiche. Ma ora è possibile “aprire la strada a un prezzo dell’energia industriale”. A chi in passato ha accusato il Governo tedesco di fare gli interessi delle sue imprese a discapito di altri Paesi, Reiche ha replicato che era interesse comunitario che la Germania non andasse incontro alla deindustrializzazione. Ragionamento che fila, per certi versi, ma che stona tuttavia con le recenti battaglie di Berlino in sede di riforma del Patto di Stabilità, il quadro normativo che disciplina i limiti di spesa fiscale che gli Stati, specie quelli più indebitati, devono rispettare per non incorrere in una procedura per deficit eccessivo. Il nuovo Patto obbliga diversi membri, anche fortemente industrializzati come l’Italia e la Francia, a percorrere un rigido percorso di rientro del deficit e di riduzione della spesa pubblica, a causa del debito pubblico pregresso. Paesi che potranno naturalmente usufruire del nuovo schema di sussidi alle imprese energivore, a patto che trovino le risorse nelle pieghe del bilancio. Problema che, in questa fase, non si pone per la Germania, ieri guardiana del rigore, oggi pronta a spendere. Anche, sostiene Berlino, per aiutare l’Europa. 



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