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La guerra ibrida dell’Iran al mondo libero passa dall’Europa


Nel silenzio opaco di conti bancari offshore, attraverso Ong registrate in Europa e spedizioni di petrolio in alto mare, scorre una rete finanziaria che parte da Teheran e giunge dritta nel cuore del continente europeo. Non si tratta di un romanzo di spionaggio, ma della realtà documentata nei rapporti più recenti delle principali agenzie di intelligence finanziaria occidentali. È il volto nascosto della Repubblica Islamica dell’Iran, che da almeno un decennio usa un mosaico di strutture apparentemente legali per finanziare Hamas, Hezbollah e altri gruppi armati attivi in Medio Oriente. Ma il salto di qualità si è consumato negli ultimi tre anni, quando l’Europa è diventata non solo bersaglio di una propaganda jihadista rianimata, ma anche teatro operativo di un vero e proprio meccanismo di trasferimento occulto di risorse finanziarie.

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I due advisory pubblicati dal Dipartimento del Tesoro statunitense, FinCen FIN‑2024‑A001 e FIN‑2025‑A002, hanno squarciato il velo su questo sistema. I documenti descrivono come il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, in particolare la Quds Force, abbia progressivamente sviluppato un sistema di shadow banking globale che coinvolge banche islamiche, intermediari hawala, compagnie di navigazione e società di facciata per inviare fondi ai propri alleati armati. Al centro di questo sistema ci sono Ong attive in Europa, come Interpal nel Regno Unito, il Cbsp in Francia e la Palästinensische Vereinigung in Austria, tutte inquadrate come componenti della cosiddetta Union of Good, la galassia internazionale di associazioni caritatevoli pro-palestinesi che, secondo il Tesoro statunitense, altro non è che un’articolazione civile di Hamas.

Nonostante Interpal sia stata ufficialmente inserita nella lista delle entità terroristiche nel 2003, le sue attività si sono trascinate fino al 2020 e le sue connessioni continuano a manifestarsi sotto altri nomi o enti satellite. In Francia, il Cbsp è legato ai circuiti islamisti moderati ma politicamente orientati verso la Fratellanza Musulmana. Alcuni dei suoi promotori, come Mohammed Moussaoui, figura di riferimento nell’Union des Organisations Islamiques de France, sono stati più volte al centro di segnalazioni dell’intelligence interna. In Austria, invece, il legame diretto tra la Palästinensische Vereinigung e Teheran è stato evidenziato dalla figura di Fouad Kiwan, operatore culturale attivo a Vienna e con rapporti con esponenti del clero sciita europeo.

I rapporti FinCEN descrivono nei dettagli anche le tecniche operative di questo sistema: società petrolifere fittizie registrate in Medio Oriente ricevono bonifici da aziende apparentemente legittime, spesso collegate alla raffinazione, e riversano fondi su aziende di elettronica registrate a Hong Kong o a Dubai. In Europa, questi fondi vengono “lavati” attraverso fondazioni benefiche e Ong religiose, che incanalano le risorse in progetti umanitari di facciata. I documenti parlano chiaramente di codici Sar – i report interni alle banche – come IRANTF‑2024‑A001 e IRAN‑2025‑A002, identificativi standard per il monitoraggio di attività sospette legate al terrorismo.

Un ruolo centrale in questo intrico finanziario è giocato dalla cosiddetta ghost fleet, la flotta fantasma composta da centinaia di petroliere vecchie, senza assicurazione e con bandiere di comodo, utilizzate per trasportare petrolio iraniano e russo eludendo le sanzioni internazionali. Secondo fonti incrociate tra Reuters e FinCen, la flotta fantasma russa ha gestito oltre il settanta per cento del traffico marittimo di greggio del Cremlino, e ha offerto i propri canali anche all’Iran. In questi trasferimenti via mare, effettuati spesso attraverso ship-to-ship transfer in acque greche o maltesi, il petrolio cambia identità più volte prima di entrare nei circuiti commerciali globali. A beneficiarne sono le casse del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (i Pasdaran), che reinveste gli utili in operazioni militari per conto terzi, tra cui Hamas.

Il nodo russo non si ferma alla logistica. Diversi rapporti di intelligence occidentale e conferme pubbliche provenienti da Kyjiv hanno indicato che mercenari del gruppo Wagner avrebbero addestrato combattenti di Hamas in scenari simili a quelli ucraini, fornendo know how tattico e, in alcuni casi, armamenti non convenzionali recuperati dai fronti del Donbas. Questo asse tattico tra Russia, Iran e Hamas si sviluppa anche sul piano diplomatico: Mosca ha ospitato più volte delegazioni ufficiali dell’organizzazione palestinese, mostrando la volontà di creare un fronte anti-occidentale su più livelli.

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In tutto questo, l’Italia si ritrova coinvolta in modo indiretto ma non marginale. Milano è da anni uno snodo secondario del circuito hawala, utilizzato per il trasferimento informale di denaro contante tra Medio Oriente e Europa occidentale. Diverse segnalazioni di operazioni sospette, classificate nei report delle forze dell’ordine italiane, indicano come alcune fondazioni religiose sciite attive nel Nord Italia abbiano ricevuto fondi provenienti da broker mediorientali non tracciabili. Alcune inchieste, mai rese pubbliche, si sono concentrate sulla figura di Yassin Al Assir, referente di un’associazione culturale a base sciita, attivo tra Milano e Beirut, sospettato di aver coordinato flussi di contanti diretti ai Balcani e poi a Gaza.

In questo quadro, la frammentazione normativa dell’Unione europea gioca un ruolo favorevole per chi vuole aggirare controlli. Paesi come Austria, Malta e Cipro offrono ancora oggi porti sicuri per le società di facciata e le operazioni offshore, mentre il sistema bancario francese ha spesso mostrato ritardi nell’identificazione delle Sar, proprio come documentato nei casi Interpal e Cbsp. A livello politico, i segnali sono altrettanto preoccupanti: la lentezza delle istituzioni europee nel definire una policy unitaria per il contrasto al finanziamento del terrorismo consente al regime iraniano di operare indisturbato, in spazi grigi che si estendono ben oltre la sfera islamista.

Il denaro che parte da Teheran e arriva a Gaza passando per Vienna, Marsiglia e Londra non è un fenomeno astratto: è un’infrastruttura materiale, fatta di bonifici, trasbordi, donazioni e consulenti legali. Una struttura che alimenta una guerra ibrida costante, capace di travestirsi da carità e da cooperazione culturale, mentre pianifica la prossima ondata di destabilizzazione. L’Europa, finora, ha guardato altrove. Ma questo network, invisibile ai radar pubblici, merita di essere raccontato e soprattutto disinnescato.

Leggi qui la prima e la seconda puntata dell’inchiesta.



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