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Il gap di genere si restringe, ma sono necessari altri 123 anni per la piena parità


“Le economie che sfruttano l’intero spettro del loro talento e capitale umano sono più preparate a orientarsi in un’era di trasformazione e accelerare la produttività e la prosperità”. Lo sottolinea Saadia Zahidi Managing, managing director del World economic forum (Wef). L’edizione 2025 del Global Gender Gap Report, redatto dal Wef e diffuso a giugno, offre una panoramica aggiornata sulla situazione della parità di genere a livello globale, evidenziando alcuni segnali incoraggianti ma anche la lunga strada ancora da percorrere.

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I principali risultati

Il 68,8% del gender gap globale è stato colmato dalle 148 economie analizzate nel Rapporto. Tra i quattro indicatori analizzati, i migliori risultati riguardano i settori di salute e sopravvivenza (96,2%) e istruzione (95,1%). Restano più ampi i divari nella partecipazione economica, indicatore che registra il 61% e nell’emancipazione politica, con 22,9 punti percentuali.

Al ritmo attuale, saranno necessari ancora 123 anni per raggiungere la piena parità. Nonostante il progresso, permangono ostacoli strutturali che rallentano l’avanzamento della parità di genere. Il tasso di partecipazione femminile alla forza lavoro globale ha raggiunto il 41,2% nel 2024, con miglioramenti in settori tradizionalmente maschili come quello delle infrastrutture, registrando un aumento di 8,9 punti percentuali. Tuttavia, la segregazione settoriale persiste e l’occupazione femminile rimane concentrata in ambiti a bassa retribuzione, come sanità (58,5%) e istruzione (52,9%).

Le donne continuano a superare gli uomini nell’istruzione terziaria, ma rimangono sottorappresentate nel lavoro retribuito e nei ruoli apicali, dove costituiscono solo il 29,5% dei dirigenti. I percorsi di carriera, inoltre, mostrano segni di rallentamento dopo il 2022: la presenza femminile nel top management si è fermata al 28,1%.

Sul fronte politico, la presenza femminile è ancora limitata. Meno di un terzo dei parlamenti è guidato da donne e l’occupazione femminile rimane bassa anche nei principali settori di governance economica, con impatti tangibili sulle priorità nazionali e sugli investimenti pubblici.

Gli ostacoli verso la piena parità

Uno degli ostacoli al progresso è il divario di attuazione, la discrepanza tra le leggi sulla parità di genere e le infrastrutture indispensabili per la loro applicazione. È necessario istituire solidi meccanismi di attuazione per ottenere risultati concreti nella riduzione del gender gap.

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Il Rapporto lancia inoltre un allarme sui nuovi rischi alla parità di genere. La trasformazione tecnologica e la frammentazione geoeconomica stanno generando incertezze che rischiano di annullare i progressi ottenuti fino ad oggi. Negli ultimi anni le donne, in particolare nei Paesi a basso e medio reddito, hanno trovato impieghi meglio retribuiti in settori legati all’export. Tuttavia, gli effetti negativi degli shock economici potrebbero mettere a rischio questi posti di lavoro in caso di contrazione del commercio globale, colpendo maggiormente le donne e accentuando le disparità esistenti in termini di guadagni, beni e ricchezza.

In un momento di incertezza economica globale, di prospettive di crescita ridotte e di rapidi cambiamenti tecnologici e demografici, la parità di genere rappresenta una forza chiave per il rinnovamento economico. Lo dimostrano i Paesi del Nord Europa che si confermano in cima alla classifica dal 2006: Islanda, Finlandia, Norvegia e Svezia mantengono una solida leadership anche nell’ultima analisi, registrando un punteggio compreso tra l’80% e il 90% di parità raggiunta. Gran Bretagna e Nuova Zelanda conquistano il quarto e quinto posto, rispettivamente con un punteggio dell’83,8% e dell’82,7%. Concludono la top 10 la Repubblica di Moldova (81,3%), la Namibia (81,1%), la Germania (80,3%) e l’Irlanda (80,1%).

Le tre regioni del mondo che guidano il progresso

Nel confronto tra aree geografiche, l’America settentrionale guida la classifica regionale, avendo colmato il 75,8% del gender gap complessivo. Il miglioramento principale si è ottenuto per l’empowerment politico, che è passato dal 10,4% nel 2006 al 29,7% nel 2025. Segue l’Europa con un tasso del 75,1% e una crescita continua in particolare nelle posizioni ministeriali e parlamentari. Tuttavia, un lieve peggioramento nell’aspettativa di vita in buona salute impatta negativamente sui punteggi relativi a salute e sopravvivenza.

La regione dell’America Latina e dei Caraibi si classifica al terzo posto e si distingue per il ritmo di avanzamento più rapido, con 8,6 punti percentuali guadagnati dal 2006. I risultati nel settore dell’istruzione raggiungono il 99,6% di divario colmato. Inoltre, Nicaragua e Messico hanno raggiunto la piena parità in leadership politica femminile e partecipazione parlamentare, mentre altri 15 Paesi hanno avuto una donna come capo di Stato negli ultimi 50 anni.

Secondo Zahidi, la parità di genere non è solo una questione di equità, ma di opportunità economica e sociale: “Gli investimenti nella parità possono aiutare i Paesi a costruire economie più resilienti, prospere e produttive. Il cambiamento è possibile e il progresso è a portata di mano”.

 

 

di Ilaria Delli Carpini

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Copertina: 123rf



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