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Altro che Festa dei Lavoratori


Oggi è il 1° Maggio “la Festa dei Lavoratori”
Ecco che nel giorno della Festa del lavoro il Governo Meloni pare pronto a far uscire una nuova proposta anti-lavoratori: dopo voucher, Naspi, guerra al Reddito e agli scioperi, la proposta è abbassare l’età dei ragazzi nelle aziende, ossia l’anticipo dei PCTO (ex alternanza scuola-lavoro) al secondo anno del primo biennio degli istituti tecnici, cioè a studenti e studentesse di appena 15 anni, ancora in età di obbligo formativo. E inoltre, come non bastasse, un mini-scudo penale per le imprese che rispettano le norme di sicurezza.

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Il problema non è accarezzare l’idea che la scuola non debba avere a che fare col lavoro, con l’avviamento al lavoro, che debba essere piuttosto un luogo di conoscenze “pure”.
Dal mio punto di vista “Educare al lavoro” innanzitutto non può che essere insegnare ai ragazzi, a tutti (dai centri di formazione professionale al liceo classico) i propri diritti di futuri lavoratori; insegnare loro quotidianamente come e perché il mondo attuale, specialmente sotto questa angolatura, è letteralmente distopico, un puro orrore.

Ma ovviamente osare avventurarsi in quest’operazione “estremista” rischia di creare non pochi problemi anche ai professori più coraggiosi e con maggiore esperienza (figuriamoci ai giovani supplenti precari). La scuola infatti è un’istituzione, e nelle attuali condizioni politico-economiche il suo scopo ultimo non è altro che quello di disciplinare i corpi e iniettarli di discorsi provenienti dagli apparati ideologici più profondi e potenti dello Stato neoliberale.

La scuola dovrebbe impegnare tutte le proprie energie per costruire un mondo in cui un giovane che conosce i propri diritti, e le norme di sicurezza, viene premiato se ne denuncia l’assenza o la violazione in una delle strutture in cui fa l’apprendistato (o nell’azienda dove è neo-assunto).
Il PCTO, come tutte le altre forme di avviamento al lavoro, potrebbe essere una splendida occasione (non certo a 15 anni) per far sì che la scuola sorvegli un mondo del lavoro che è ormai sfacciatamente una fucina di sfruttamento selvaggio e abbrutimento intensivo.

E dobbiamo smetterla di dire che, siccome è così per tutti, siccome le cose ormai vanno così, allora va bene: No! Le cose non vanno bene! Non vanno bene per niente.

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La scuola non deve (come sta facendo) insegnare a diventare imprenditori di se stessi e start-upper, non deve insegnare ai ragazzi ad abituarsi fin da subito a sfruttamento e vessazioni, deve invece insegnare ai lavoratori di domani i loro diritti (soprattutto ai meno qualificati); offrire strumenti per tutelarsi di fronte allo sfruttamento, allenare i giovani a riconoscerlo.
La scuola non sta fallendo nell’insegnare ai ragazzi i propri doveri: sta fallendo nell’insegnare ai lavoratori di domani i loro diritti. Il rifiuto dei doveri e delle regole di cui ci si lamenta tanto nei giovani potrebbe essere strettamente legato, anche se in modo sotterraneo, alla percezione che i loro “diritti” non sono niente di reale, di concreto; che i loro “diritti” sono solo teorici… perché allora non dovrebbero essere così anche le loro “regole”?

Ai ragazzi dei tecnici e dei professionali spesso viene fatta in cinque minuti la lezioncina scialba e stucchevole su sicurezza e diritto del lavoro, e poi via a sorbirsi incontri online con presunti “esperti” che li fomentano a diventare imprenditori di se stessi.
Molti ragazzi finiscono a fare qualche settimana all’anno in “azienda”, dove spesso non si fa assolutamente nullaoppure vengono spediti a sgobbare in fabbrica, nei supermercati o nei ristoranti, non pagati e già educati soltanto a farsi sfruttare senza rompere troppo le scatole.

Come è possibile che un ragazzo, a scuola, si senta dire continuamente il messaggio che al lavoro “bisogna pedalare e non rompere le scatole”?
Come aspettarsi che poi i ragazzi non ritengano una balla inutile e priva di ogni valore la “lezioncina” sui diritti?

Fino a che la scuola, a partire dai tanti eroici compagni docenti che vi combattono ogni giorno, non sarà in grado di educare a questi diritti e vigilare su di essi, non avremo la minima speranza: vedremo sempre più gente che non capisce nulla di quello che gli succede attorno, compresi quelli che pensano che tutti i ragazzi della scuola siano i fighetti dei licei “bene” delle città, a cui non spetta quella cosa “sporca” che è il lavoro manuale sotto padrone.

E invece in questa faccenda dell’alternanza scuola e lavoro sono proprio i ragazzi meno istruiti, quelli meno “importanti”, a essere i protagonisti, a contare di più.
In questa battaglia di civiltà è in gioco il futuro di tutti quei ragazzi che non andranno all’università, di tutti quei giovani che hanno poco tempo per imparare almeno che lo sfruttamento a cui sono destinati non è normale.

Se non insegniamo noi “adulti” ai ragazzi un modo per riconoscere e combattere questo sfruttamento, se non lo facciamo proprio perché noi stessi ci sforziamo continuamente di rimuoverlo (perché ci fa troppo soffrire), se non riusciamo a vincere questa doppia rimozione, allora purtroppo siamo involontariamente complici della pedagogia dello sfruttamento a cui i ragazzi sono sottoposti.

Per molti ragazzi non particolarmente istruiti, il lavoro manuale, fin da giovanissimi, compare nella vita come qualcosa che non piace, ma che si impara a fare bene, e con cui a volte addirittura si trova un’agrodolce forma di “convivenza”.

Il punto, per tutti i lavoratori giovani e meno giovani è come si lavora oggi nel nostro Paese e come sia in realtà insostenibile, intollerabile quello che capita praticamente ogni giorno: si muore (3/4 al giorno), si è costretti continuamente a fare di più, più veloce, oppure, ove non sia più possibile aumentare la “velocità”, si ricevono pressioni continue per accollarsi straordinari, servizi aggiuntivi.

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Non si tratta di abolire lo strumento dell’alternanza scuola lavoro, ma letteralmente di sovvertirlo, di trasformarlo davvero in una palestra grazie a cui allenare i ragazzi a riconoscere, denunciare e combattere lo sfruttamento.
Non sono sicuro però che l’Europa ci darebbe gli stessi fondi per questo ben più nobile scopo, perché non è questo ciò che interessa dalle parti della Commissione Europea, della Confindustria e dei Governi.

Non credo che siamo ancora riusciti a misurare con esattezza l’ampiezza e la profondità delle rimozioni, delle contraddizioni, in cui è impigliata buona parte di coloro che vorrebbero ancora dirsi “di sinistra” senza avere il coraggio di affrontare di petto questi problemi.
Certo, per riformare lo strumento dell’alternanza scuola lavoro, bisognerebbe riformare la scuola, il lavoro, l’intera società
Ma da qualche parte bisognerà pur cominciare, no?

Per esempio si potrebbe partire dalla denuncia della vera e propria teologia auto-imprenditoriale che, spacciata per laboratori, formazione, orientamento, viene propalata nelle scuole.
Questa è precisamente una delle tante cose che rimuoviamo (o semplicemente ignoriamo).
In questi anni ho sentito di tutto, veramente di tutto, ma il basso continuo di questi interventi “formativi” è letteralmente la criminalizzazione di ogni istinto, pulsione o desiderio che non rientrino nell’ambizione, nel lavorismo, nell’essere sempre impegnati, attivi, assorbiti in qualcosa di (capitalisticamente) produttivo.

Quello che capita oggi nel mondo del lavoro rivolto alle giovani generazioni si svolge in piena luce e nel silenzio più totale (quando non col plauso) di tutti coloro che un tempo credevamo avrebbero combattuto questa distopica deriva che è ormai il nostro presente: partiti che si definiscono di sinistra, parte dei sindacati, stampa e cultura pseudo-progressiste.

Cosa vorrei quindi da questo 1° Maggio, dalla Festa dei Lavoratori, che possa essere l’inizio di una sveglia!!
Sì, che ci si svegli e si riprenda a lottare.
Non si chiudano gli occhi.
Il buio in cui spesso ci rifugiamo, non è che il dietro delle nostre palpebre.
L’unica grande speranza è riprendere a lottare sul serio e non solo un giorno all’anno: quello del 1° Maggio.

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