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“L’industria va ripensata, ora un patto per un nuovo sviluppo di Brindisi”






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Gran parte del mio impegno sindacale e politico, sin dai primi anni Settanta, l’ho dedicato alle politiche industriali e agli insediamenti produttivi del nostro territorio. Oggi mi occupo d’altro: sono un vitivinicoltore, profondamente legato all’agricoltura brindisina. Ma non rinnego quell’impegno “industrialista” che ha segnato una parte importante della mia vita. Anzi, sento il dovere di riconoscere anche gli errori e i ritardi che hanno accompagnato quella fase, errori a cui, nella mia funzione di dirigente sindacale e amministratore pubblico, ho in parte partecipato.

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Uno di questi errori è stato l’aver sempre chiesto ad altri – grandi gruppi industriali, governo, enti esterni – di investire sul nostro territorio, spesso senza porre attenzione alla qualità e alla finalità di quegli investimenti. In passato, anche con qualche polemica, ho provato – inascoltato – a sostenere che il nostro territorio non poteva diventare una sorta di “carta assorbente” di decisioni prese altrove. È da questo passato che nasce il desiderio di offrire oggi un piccolo contributo a un dialogo che ritengo sempre più necessario. Un dialogo che auspico si concretizzi in un vero e proprio “patto per un nuovo sviluppo di Brindisi”.


L’ennesimo grido d’allarme sullo stato di crisi dell’economia brindisina – chiusura di attività, aumento della disoccupazione e della cassa integrazione, assenza di investimenti pubblici e privati – non può restare inascoltato né imbrigliato in ovvietà che sanno di rassegnazione. Il vecchio apparato industriale è da tempo in sofferenza. I settori più colpiti sono quelli della metalmeccanica, dell’edilizia e dell’indotto legato alla manutenzione degli impianti industriali, molti dei quali sono ormai in fase di esaurimento, se non già dismessi.


I numeri sono preoccupanti e pongono interrogativi pesanti sul futuro dell’economia locale e della città stessa. Non si può e non si deve rinunciare all’industria. Ma l’industria va ripensata. Va integrata in un disegno più ampio, che coinvolga anche altri settori: l’agricoltura e le sue filiere agroalimentari ed enogastronomiche, il turismo, le infrastrutture – a partire dal porto – che vanno valorizzate e potenziate. Il lavoro deve tornare al centro. È il lavoro il fondamento della coesione sociale e della sopravvivenza di una comunità. Molti imprenditori brindisini, per troppo tempo, hanno vissuto all’ombra dei grandi insediamenti industriali e di un porto utilizzato solo in funzione di essi.


Quando gli investimenti dei grandi gruppi rallentano o decidano dismissioni, queste imprese vanno subito in sofferenza. La grande industria ha garantito reddito e stabilità occupazionale per decenni, ma ha anche prodotto un pesante impatto ambientale, con danni alla salute e al territorio. La sfida del nostro tempo è conciliare sviluppo e sostenibilità. Il lavoro non può più significare devastazione del territorio; il rispetto per l’ambiente, però, non può significare la fine dell’industria.

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Dobbiamo puntare su un’economia circolare, su processi produttivi in grado di generare ricchezza riducendo al minimo gli impatti ambientali. Brindisi, con la sua eredità di impianti petrolchimici, energetici, e per ultimo quelli farmaceutici, è l’esempio perfetto di quanto c’è ancora da fare. Non possiamo limitarci a chiedere la sopravvivenza di vecchi insediamenti, quasi elemosinando proroghe di attività ormai superate. Occorre, invece, costruire una consapevolezza diffusa dell’esaurimento di un modello di sviluppo. E serve coraggio: non si può innovare continuando a fare le stesse cose. Il territorio va attrezzato in modo diverso.


Le opportunità ci sono: bonifiche, riconversione dei siti, dismissione del carbone, riutilizzo delle infrastrutture esistenti, ottimizzazione delle produzioni con tecnologie a basso impatto, investimenti in nuove tecnologie green. Non possiamo rinunciare al contributo dell’industria, ma i grandi gruppi devono essere richiamati al confronto, coinvolti in un nuovo piano di investimenti orientato all’innovazione sostenibile.


Qualche segnale positivo c’è. La politica cittadina, purtroppo in altre faccende affaccendata, dovrebbe giocare un ruolo attivo e propositivo, con trasparenza e rigore. Basta con l’atteggiamento passivo del passato, succube di scelte altrui. Serve una visione chiara, da esplicitare attraverso documenti di pianificazione e politiche industriali condivise. Un patto per lo sviluppo del territorio può ridare slancio e costruire condizioni in cui tutti gli attori – istituzioni, imprese, sindacati, associazioni – si sentano coinvolti, corresponsabili e motivati a dare il proprio contributo. Non si tratta di cedere al velleitarismo, né di difendere uno status quo ormai insostenibile. Una nuova pagina per Brindisi va scritta qui ed ora, indipendentemente da chi amministra la città oggi. Basta con la politica urlata delle denunce e delle colpevolizzazioni: è il momento del buon senso. Il muro contro muro non fa che rimandare soluzioni che, col tempo, rischiano di diventare impossibili. Si riaprano i tavoli del dialogo. Si dia voce alle categorie, ai sindacati, alle competenze, ai grandi player industriali.


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Tutti devono essere coinvolti e resi corresponsabili. E questi tavoli devono includere anche il governo nazionale e quello regionale, che non possono più limitarsi a generiche dichiarazioni di principio. Occorre una consapevolezza collettiva, essenziale per costruire un futuro di lavoro e sviluppo fondato su un’economia sostenibile, all’altezza delle sfide del nostro tempo.


Basta con un territorio passivo, “carta assorbente” di decisioni prese altrove. Un patto per lo sviluppo deve nascere dal basso, da nuovi protagonismi, da progetti e investimenti radicati nel territorio. Servono strumenti efficaci, risorse concrete, politiche pubbliche, volontà politica. E, se necessario, anche la lotta. Servirebbe per questo anche una sinistra competente, moderna, consapevole, capace di essere protagonista di questo percorso. Ma questo è un altro discorso.


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