La scorsa settimana si è parlato molto dei salari degli italiani e del loro andamento rispetto al costo della vita. La Lega ha annunciato che entro fine mese presenterà in Parlamento un Disegno di legge che, oltre a questo tema, affronterà anche quello del lavoro giovanile.
«La nostra idea – ci spiega il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon – è che l’inserimento nel mondo del lavoro non debba avvenire con stage o tirocini, che non verrebbero comunque abrogati dal Ddl, ma tramite un contratto a tempo indeterminato per dare più certezze e stabilità ai giovani under 30. Intendiamo, quindi, potenziare gli incentivi alle assunzioni già esistenti, prevedendo tre anni di decontribuzione totale. Inoltre, alle imprese verrebbe concessa, nei primi due anni, la possibilità di recedere versando al lavoratore un indennizzo pari a tre mensilità».
Per i giovani, quindi, il vantaggio consisterebbe solo nell’assunzione a tempo indeterminato?
No. Abbiamo pensato a una flat tax del 5% per cinque anni per i nuovi assunti con redditi fino a 40.000 euro. Questo può consentire anche di evitare l’emigrazione di tanti giovani, attirati da retribuzioni più alte che possono percepire trasferendosi all’estero: vista anche la bassa natalità nel nostro Paese non possiamo assolutamente permettercelo.
Non sono pochi, in effetti, i giovani italiani, laureati e non, che hanno scelto di emigrare.
Secondo l’Istat, nel decennio 2013-22 sono stati più di 352.000. Abbiamo pensato anche a loro e vogliamo fare in modo che i talenti che sono stati formati nel nostro Paese possano farvi ritorno. Per questo le misure di cui abbiamo parlato poc’anzi potranno essere utilizzate anche per i contratti dei giovani che torneranno a risiedere e a lavorare nel nostro Paese, ma con due modifiche.
Quali?
La prima riguarda l’età massima dei lavoratori, che passa da 30 a 35 anni, la seconda è relativa alla soglia di reddito annuo fino alla quale applicare la flat tax del 5%, che viene portata a 100.000 euro.
Per questi interventi serviranno delle coperture…
Non bisogna immaginare chissà quali costi, perché queste agevolazioni varrebbero per i nuovi contratti e non per quelli già in essere. Per quanto riguarda la decontribuzione, si può estendere l’utilizzo dei fondi già esistenti per i bonus sulle assunzioni. Per quanto riguarda le mancate entrate derivanti dalla flat tax al 5%, stiamo concludendo i calcoli sull’importo necessario in modo da definire meglio le coperture. Siamo comunque dell’idea che si tratti di un investimento sul nostro futuro necessario anche a evitare che i giovani formati nel nostro Paese si trasferiscano poi all’estero.
Il mismatch tra domanda e offerta presente nel mercato del lavoro mostra anche la necessità di interventi sulla formazione.
È un tema cruciale su cui il Governo ha messo in campo già degli strumenti – anche per chi ha già un’occupazione, come nel caso del Fondo nuove competenze -, che devono andare a regime e integrarsi per dispiegare al meglio i loro effetti.
Con il Ddl volete intervenire anche sui salari, un tema caldissimo…
Il ritardo con cui avviene il rinnovo dei Contratti collettivi nazionali di lavoro, momento chiave in cui si negoziano anche gli aumenti retributivi, incide negativamente sui salari reali. Noi siamo dell’idea che occorra rafforzare lo strumento della contrattazione tramite una defiscalizzazione dei rinnovi che avvengono nei giusti tempi e legando l’aumento dei salari all’andamento del costo della vita, tramite l’Ipca (l’Indice dei prezzi al consumo armonizzato), come già avviene in alcuni Ccnl, come quello dei metalmeccanici. Si tratterebbe, quindi, di incentivare l’estensione di una best practice esistente tramite una norma di legge.
Non c’è il rischio di tornare alla “scala mobile”?
L’idea non è quella di aumentare automaticamente per legge i salari in base all’inflazione, ma di lasciare spazio alla contrattazione tra le parti incentivando la possibilità che avvenga in tempi ragionevoli e con un adeguamento all’Ipca massimo del 2%. Non c’è, quindi, alcun ritorno alla scala mobile. Nel Ddl puntiamo a inserire anche un’altra importante novità.
Quale?
Sempre nell’ambito della contrattazione, ma di secondo livello, si prevede un “trattamento economico accessorio” con una defiscalizzazione collegata al costo della vita nelle diverse aree del Paese. Per fare un esempio, un contributo relativo all’alloggio in una città come Milano deve essere superiore a quello di una città della sua provincia. Questo, però, non ha nulla a che fare con le “gabbie salariali”.
Anche per questi interventi serviranno delle coperture…
Anche in questo caso si parla di defiscalizzare i nuovi contratti, non quelli in essere, quindi non dobbiamo immaginare chissà quali cifre. In ogni caso una volta che avremo definito con più precisione i costi di tutte le misure contenute nel Ddl presenteremo anche le necessarie coperture.
Il Ddl dovrà poi essere presentato e discusso in Parlamento, con le opposizioni che insistono sull’introduzione del salario minimo: siete fiduciosi sulla sua approvazione?
Penso che il dibattito parlamentare sia fondamentale per affrontare questi temi, specialmente quello relativo ai salari. A nostro avviso il salario minimo finirebbe per nuocere alla contrattazione e ai salari mediani. Questo non vuol dire che non siamo d’accordo sulla necessità di alzare le retribuzioni, ma pensiamo che il modo migliore per farlo sia quello che proponiamo.
(Lorenzo Torrisi)
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