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“Voteremo con 5 no al populismo. I ‘nuovi italiani’ accettino prima la parità assoluta tra uomini e donne”


Incontriamo Mara Carfagna, deputata di Noi Moderati e Segretario del partito, con cui facciamo un punto sui referendum che il suo partito, al contrario della maggioranza, andrà a votare.

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A due anni e mezzo dall’insediamento del governo, qual è il contributo che Noi Moderati vuole dare alla maggioranza?
«Siamo una forza giovane e abbiamo l’ambizione di dare voce e rappresentanza ai milioni di cittadini che diffidano dell’approccio ideologico ai problemi e chiedono alla politica concretezza e pragmatismo: sul lavoro, sulla sicurezza, sul sostegno alle imprese e ai redditi delle famiglie. L’Italia ha pagato a caro prezzo gli esperimenti dell’estremismo, penso al reddito di cittadinanza: non vogliamo mai più vedere le tasse degli italiani sprecate per inseguire visioni astratte e insostenibili».

Sul Referendum per la cittadinanza Noi Moderati ha una posizione distinta dalle altre forze del centrodestra: andrà a votarlo, perché?
«Noi Moderati andrà a votare e voterà No. L’attuale soglia, che consente di chiedere la cittadinanza italiana dopo dieci anni di residenza mi sembra corretta, le stesse comunità di immigrati non l’hanno mai contestata ma semmai chiedono di semplificare l’iter burocratico delle domande, che allunga enormemente i tempi. Dovendo mettere mano alla legge, mi occuperei piuttosto di verificare che i “nuovi italiani” conoscano e accettino fino in fondo le regole del nostro stato di diritto, a cominciare dalla parità assoluta tra uomini e donne».

Quanto a quelli sul lavoro?
«Credo sia una battaglia tutta interna alla sinistra, che all’epoca di Matteo Renzi ha votato il Jobs Act e poi se ne è pentita. Elly Schlein ha tutto il diritto di cambiare linea per cercare di rinsaldare i rapporti tra Pd, M5S e Cgil, ma mi sembra davvero surreale che questa operazione si traduca in una chiamata alle urne su una legge largamente metabolizzata dal Paese, solo per poter dire che esiste una “battaglia comune” del cosiddetto campo largo».

Meloni ha parlato della tipizzazione del femminicidio, un passo avanti atteso e necessario…
«Condivido moltissimo. E sono stupita dalle reazioni critiche a questo passo di civiltà: c’è una parte della politica e dell’opinionismo che stenta ancora a comprendere i motivi profondi del femminicidio, ma non solo. Non lo avverte come una emergenza nazionale malgrado le cronache registrino un delitto ogni tre giorni. Mi consenta un paradosso: se si trattasse di uomini uccisi da donne perché vogliono essere liberi, il reato di maschicidio esisterebbe da un pezzo».

Guardando alle turbolenze del mondo, che giudizio dà dell’avvio delle trattative sull’Ucraina?
«Vedo uno stallo, e credo preoccupi tutti. La scelta americana del disimpegno militare era collegata all’idea di poter ottenere una tregua, se non addirittura una pace negoziata, entro poche settimane. È una linea che si è scontrata con l’indisponibilità di Vladimir Putin: anche gli Usa se ne cominciano a rendere conto, tanto è vero che hanno sbloccato un pacchetto di aiuti militari a Kyiv per 50 miliardi. In questa situazione adeguare la difesa europea diventa indispensabile».

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Crisi dell’Occidente, Europa ferma. Serve un cambio di passo?
«I veri temi sono la tenuta delle relazioni euroatlantiche e il nuovo espansionismo russo. In Europa abbiamo avuto una lunghissima fase di pace e sviluppo organizzata intorno a due pilastri: la protezione americana e il ritiro della Russia dentro i suoi confini. Entrambi questi pilastri stanno cedendo. Gli Usa ci chiedono di farci carico della nostra difesa, la Russia ha attivato una guerra ibrida a largo raggio per recuperare territori e aree di influenza nell’Est europeo. L’Unione è obbligata a svegliarsi, è in gioco la sua stessa esistenza».

L’Europa deve ritrovare la sua forza, a partire dalla Difesa. Meloni ha assicurato che per la difesa si arriverà presto al 2%. Cosa serve per il processo di difesa comune?
«Di difesa comune europea si parla dai tempi di De Gasperi, negli anni Cinquanta, e all’epoca fu la Francia a fermare quel percorso. Oggi gli elementi di blocco sono principalmente due. Il primo è il pregiudizio ideologico di certa sinistra, che va superato: l’Europa non si arma per attaccare qualcuno, ma per proteggersi, in assoluta coerenza con i valori della democrazia. Il secondo è il nodo dell’integrazione, rifiutato dall’estremismo sovranista ma imprescindibile: davanti a una minaccia comune, fare fronte comune è obbligatorio».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.

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